GENOVA – L’anno prossimo, in estate, la Pro Recco, il più glorioso sodalizio della pallanuoto italiana, festeggerà il secolo di vita. Già, ma come? Con quali prospettive? E con quali speranze di consolidare e arricchire ulteriormente un palmarès di assoluto prestigio, che fa del Recco la squadra di pallanuoto più titolata al mondo?
Sette coppe dei Campioni, 26 titoli italiani, sette coppe Italia, 4 supercoppe europee, un titolo della Liga Adriatica. E due volte pure il Grande Slam, nel 2008 e nel 2010. Fra i più freschi trofei figurano anche quelli conquistati dalle ragazze del club biancoceleste che infatti hanno portato a casa una coppa dei Campioni, uno scudetto e una supercoppa europea.
La maggior parte dei trofei ha impreziosito la bacheca sociale nelle ultime stagioni, condotte nel segno del patron, Gabriele Volpi, 69 anni, che aveva rilevato il club nel 2005. Una svolta che ha riacceso le ambizioni del club biancoceleste, regalando sette scudetti, cinque coppe dei campioni, sei coppe Italia e quattro supercoppe. Tutto in soli sette anni. Un record nei record.
Ma ora l’orizzonte – e qui sta il paradosso – inclina alle tinte scure della incertezza. Eh già, perché dall’estate scorsa Volpi ha di fatto staccato la spina. Ha ridimensionato drasticamente l’organico della prima squadra, cancellato la formazione femminile, ridotto le spese e gli investimenti. Di fatto, è uscito di scena. Stanco di sbattere la testa contro i muri innalzati attorno, ma sarebbe più giusto dire “contro” i suoi progetti di rilancio e di espansione europea dello sport acquatico più duro e, volendo, spettacolare del pianeta.
Volpi aveva infatti tentato, invano, di sdoganare la pallanuoto dalla dimensione locale o al più nazionale nella quale – Olimpiadi a parte – è tradizionalmente confinata. Sognava di costruire un campionato europeo, al quale avrebbero partecipato organicamente – e non più episodicamente come accade nelle Coppe, la Champions e nella Coppa Len – le più forti squadre del Continente.
Il progetto immaginava una pallanuoto totalmente rinnovata e liberata dal provincialismo romantico ma limitativo dei tempi pionieristici; quando si giocava in mare e l’arbitro “ballava” in equilibrio su una barca a remi. Affrancata anche dalla dimensione delle piscine precarie, dotate di minima capienza e assediate da problemi logistici vari che avevano affondato il tentativo di trasformarla in uno sport invernale e radicato anche nelle grandi città.
Volpi guardava ad una pallanuoto giocata in impianti moderni e capienti, attraente per le tv che finora l’hanno snobbata, più forte e attrezzata nella cura del movimento giovanile. Una rivoluzione copernicana per uno sport di origine britannica, nato e giocato dai pionieri in mare, che in Liguria aveva trovato l’habitat ideale, in particolare sulla riviera di Levante.
Era riuscito addirittura a combinare un matrimonio d’affari con gli odiati rivali del Camogli, protagonisti di accesissimi derby con la Pro Recco. Una joint venture che si era arrestata solo sul limite, evidentemente invalicabile, della fusione prospettata da Volpi tra Recco e Camogli ma cancellata dalla rivolta delle due tifoserie, acerrime nemiche e indisponibili a mescolarsi, seppure in vista di più ampi e felici traguardi sportivi.
Il progetto di una nuova pallanuoto era passato attraverso la partecipazione della Pro Recco alla Lega Adriatica, il campionato riservato alle squadre croate, montenegrine e slovene. Una scelta azzeccata, il club di Volpi ha subito conquistato il titolo 2011/2012. Ha tuttavia incontrato tali e tanti ostacoli e una avversione così pronunciata da parte del movimento pallanuotistico nazionale, da dover rinunciare al bis.
L’esperienza della Lega Adriatica (che aveva sdoppiato il Recco in due squadre, entrambe fortissime, impegnate sui fronti straniero e nazionale) si è quindi interrotta. Lo scorso luglio, Volpi ha deciso il disimpegno totale. Annunciandolo con un duro comunicato: “Gabriele Volpi rinuncia alla Presidenza onoraria, i figli Simone e Matteo Volpi rassegnano le dimissioni dai rispettivi incarichi di Presidente e Vice Presidente della Pro Recco con effetto immediato e irrevocabile”.
I motivi? : “Gabriele Volpi e la famiglia hanno preso questa dolorosa decisione in virtù delle delusioni provocate in particolar modo negli ultimi anni dalle gestioni e politiche della Len (la lega europea), Fin (la federazione italiana) e dall’atteggiamento tenacemente negativo mantenuto dalla maggior parte delle società di pallanuoto nazionali ed europee”. Più chiaro di così…
Una dura polemica lo aveva di conseguenza messo faccia a faccia con il potente presidente della Fin, Paolo Barelli, Ci sono stati roventi scambi di accuse, in risposta ad una intervista di Barelli al Secolo XIX, Volpi sullo stesso quotidiano gli aveva risposto per le rime. Contestando punto per punto le affermazioni di Barelli.
Dichiarò Volpi: “Innanzi tutto c’è un passaggio: ‘Con Volpi non ho mai discusso, mai litigato e mai ricevuto un progetto su cui discutere’. Falso. Ci saremo visti 4-5 volte, almeno. Ci sono i testimoni”. E ancora: “Poi leggo che si potrebbe dare – cito testualmente – ‘una forma di autonomia organizzativa’ alla pallanuoto nell’ambito della federazione. Allora io domando: perché Croazia, Ungheria, Serbia, Montenegro e Spagna hanno una federazione nuoto e una pallanuoto e noi no? La verità è che il presidente della Fin vuole mantenere lo status quo e continuare a gestire lui tutto, come ha sempre fatto”.
Secondo Volpi la pallanuoto italiana dovrebbe avere una Lega autonoma . “Il fatto triste è che le società non hanno nemmeno la velleità di costituirla, una Lega. Annotò Volpi – Come può una federazione non rispettare le regole sulla libera circolazione dei comunitari stabilite dalla Ue? E poi, quando Barelli dice che Nazionale e società collaborano, mi chiedo di cosa parli. Sono le società che pagano acqua, giocatori, che curano la salute degli atleti, e non ho mai verificato questo rapporto di collaborazione”.
Conclusione: “La Fin gestisce tv, pubblicità, tutto. Nel calcio la Lega distribuisce proventi. Qui le società pagano e basta”. Insomma, guerra su tutti i fronti. L’appoggio di Volpi a Giorgio Quadri, rivale di Barelli nelle recenti elezioni per il rinnovo dei vertici Fin si è rivelato inutile. Barelli in autunno ha vinto a mani basse la contesa e resta il padrone del nuoto e della pallanuoto azzurre.
Le conseguenze del disimpegno del tycoon ligure si sono scaricate sulla Pro Recco. Pino Porzio, l’allenatore che l’aveva condotta alle ultime travolgenti vittorie, ha lasciato la panchina a Riccardo Tempestini. Via tutti gli stranieri tranne il campione magiaro Norbert Madaras.
La società è stata consegnata nelle mani di Angelino Barreca, uno dei più stretti collaboratori di Volpi. Una smobilitazione evidente che tuttavia non ha impedito al Recco di vincere anche nel 2012. Scudetto, coppa Italia, Supercoppa europea, coppa Campioni, Liga Adriatica. Un en plein che difficilmente si ripeterà in futuro.
Gli interessi di Volpi hanno virato decisamente verso il calcio. È arrivato ad un passo dall’acquisto del glorioso Bologna calcio, ma si è dovuto accontentare dello Spezia, squadra di Lega Pro (la vecchia C1). Ai tifosi degli Aquilotti ha promesso la serie B subito e presto addirittura la serie A e un nuovo stadio. Il glorioso, vetusto impianto dedicato ad Alberto Picco non è più adeguato alle ambizioni del patron. La campagna acquisti è stata sontuosa, lo Spezia vede i playoff, la partita è aperta.
I rivali nella waterpolo lo avevano accusato di fare dumping alla rovescia. Acquistando i giocatori migliori, anche quelli che non gli sarebbero serviti, pur di sottrarli ai club concorrenti. Con ingaggi a cifre astronomiche (fino a 300mila euro a stagione a Kasas, Benedek, Madaras e Tempesti, addirittura oltre un milione in tre anni più i premi per Slokovic), disponendo di un budget plurimilionario che gli avversari potevano soltanto sognare. Volpi si era mosso insomma come il primo Berlusconi che da presidente del Milan scatenò l’impennata degli ingaggi e dei cartellini dei calciatori. Inflazionando il mercato.
Le assonanze tuttavia terminavano lì. Tanto Berlusconi è presenzialista e “bauscia”, quanto Volpi si manteneva defilato. Low profile, insomma. Poche apparizioni pubbliche e pochissime interviste. Una regola alla quale Volpi ha contravvenuto negli ultimi tempi. L’ingresso nel mondo del calcio e il desiderio di riaccreditarsi in patria, evidentemente lo hanno convinto a sposare un approccio più aperto. Il calcio, si sa, impone una certa sovraesposizione mediatica. Anche a costo di esagerare e di diventare troppo visibile.
Anche gli sforzi di Volpi di fare qualcosa per la sua città di origine, Recco appunto, si sono infranti contro difficoltà burocratiche e ostacoli politici. Volpi aveva proposto al comune di costruire una cittadella dello sport sull’area dell’ex IML, l’azienda nella quale aveva lavorato da ragazzo. Un palazzetto dello sport da 1500 posti, una piscina da 40 metri per 25 e una palestra multifunzionale con un robusto contorno di insediamenti residenziali.
E la ristrutturazione in project financing della storica piscina di Punta Sant’Anna, che sarebbe stata destinata alle squadre giovanili. In cambio Volpi chiedeva al comune il via libera alla costruzione di un parcheggio interrato sul lungomare. “Il mio scopo è di tirar via i ragazzi dalla strada”, spiegò al Secolo XIX. Tutto bloccato. Bruciato dalla pallanuoto, Volpi si è buttato nel calcio.
Villa a Santa Margherita, uno yacht da 60 metri, il Gi.Vi. da 30 milioni di dollari che ha sostituito qualche anno fa il glorioso Galu, Volpi continua ad essere animato dalla frenesia del businessman planetario. Si sposta nei viaggi d’affari a bordo del suo Falcon 900 da undici posti. “Una necessità, non un vezzo”, chiarisce. Potrebbe vivere di rendita ma non è nel suo dna. Non si accontenta. Vuole sempre qualcosa di più. Sfidando il mondo.
Come gli accade, nel piccolo, a proposito del progetto di ristrutturazione del porto turistico di Santa Margherita, con annesso centro talassoterapico. Una proposta presentata in pompa magna da Volpi, osteggiata dalla popolazione locale e bocciata addirittura da Renzo Piano in persona. La sua reazione? “Vuol dire che investirò altrove”.
In una terra avara di slanci e avarissima di mecenati ambiziosi come la Liguria, Volpi è una mosca bianca. Un’eresia. Forse un errore della storia. Tutto da decifrare, però. Malevolenze e sospetti circondano da sempre la sua figura come mosche sul miele. I suoi legami con i vertici politici della Nigeria hanno alimentato i peggiori sospetti. Addirittura che si sia arricchito facendo traffico d’armi.
Lui ha respinto le accuse al mittente: “Ho 15 mila dipendenti. Non ho mai avuto bisogno di ricorrere a quel tipo di affari”. In Africa aveva messo piede la prima volta nel 1976 prendendosi una aspettativa di sei mesi dalla Carlo Erba, dove lavorava come informatore sanitario.
Fu il fraterno amico Gianangelo Perrucci, recchelino come lui (sono nati a un giorno di distanza l’uno dall’altro) a convincerlo a lasciare la tranquillità del lavoro da rappresentante e tentare l’avventura, sotto gli auspici di Astor Norrish, un businessman inglese trapiantato in Liguria, presidente della Pro Recco degli anni d’oro, quella del “Caimano” Eraldo Pizzo che vinceva gli scudetti in serie.
Anni dopo Perrucci con la sua Medafrica andò a bagno, Volpi invece si salvò e anzi crebbe in fortuna e affari. Ancora al Secolo XIX Volpi raccontò: “Avevo scelto la logistica petrolifera che non dipendeva dalle bizze del mercato. Dalla Nigeria mi ero allagato all’Angola, dove ora ho concentrato i miei affari. Nell’83 compresi che occorreva dotare i porti nigeriani e angolani di una logistica capace di assistere l’intero ciclo del petrolio. Dall’estrazione alla produzione, alla spedizione oltremare. Con la mia Intels mi sono attrezzato per fornire materiali e mano d’opera non solo per realizzare la piattaforma ma tutto ciò che occorre al suo servizio: infrastrutture portuali e residenziali, servizi di disistivaggio, il cargo handling, lo stoccaggio e la consegna dei materiali”. Il suo impero africano oggi fattura due miliardi l’anno. E non conosce crisi.
Padre milanese (funzionario di banca), madre recchelina, (era una Bisso, sorella dei gemelli del ristorante da ö Vittorio, dove la nonna lavorò come cuoca), 69 anni, Volpi è il classico self made man. Orfano dei genitori, a 18 anni va a lavorare alla “Bulloneria”, l’Industria Meccanica Ligure di Piero Sanguineti, primo presidente della Sampdoria.
Da ragazzino l’incontro con la pallanuoto. “Volpi era un giocatore molto furbo e intelligente – ricorda Eraldo Pizzo, il leggendario Caimano, che col fratello Piero gli fece da chioccia in piscina – Vinse un campionato juniones nel 1962, a 19 anni. Calottina numero 2, come il sottoscritto. Andò a giocare in serie B a Lodi, nel Fanfulla”.
Continua Pizzo: “Trovò un lavoro, rappresentante della Carlo Erba, e prese moglie. Rimase molto legato a Recco. Ci chiamava nella sua casa di Sestri Levante, me e mio fratello Piero, e discutevamo di pallanuoto. Andavo spesso a Lodi a giocare partite dimostrative. La pallanuoto allora era un affare quasi esclusivamente ligure e campano, con pochissime eccezioni”. Preistoria. O quasi. Per la terza dimensione della waterpolo italiana pregasi ripassare.