Serie A: la giornata di Conte, dell’Inter e della Roma. Sale il Milan

Antonio Conte

ROMA – Il nuovo che avanza ha un nome e cognome, Andrea Stramaccioni. Al netto del ritorno in panca di Antonio Conte, è l’allenatore dell’Inter la più bella novità dell’ scorcio del girone di andata, nel quale un altro giovane virgulto, Vincenzo Montella, perde qualche colpo ma pour cause. La sua Fiorentina – caduta a Roma dopo nove turni positivi, frutto di sei vittorie e tre pareggi – sta pagando a caro prezzo l’assenza di Jovetic. Rimane comunque una bella realtà, gioca un calcio moderno e fantasioso, insomma sull’Arno possono essere soddisfatti. Ma per favore, non si parli di scudetti. Il fico non è maturo.

L’Inter di Stramaccioni sta ritrovando il passo dei tempi belli, ha battuto il Napoli, terzo incomodo nella rincorsa alla Juventus – più che mai cannibale, il ritorno di Conte è la ciliegina su una torta ricchissima – e ha dimostrato di aver superato la crisetta, atletica più che tecnica, coincisa con i passi falsi di Bergamo e Parma e il pareggio interno contro il Cagliari. Stramaccioni – e qui sta il plus dell’Inter – ha saputo traghettare la sua squadra con polso e buonsenso, rimediando alla doppia assenza per squalifica di Cassano e alla flessione di rendimento di alcuni giocatori, tra cui Milito che contro il Napoli è tornato a segnare dopo quattro turni di digiuno. Contro il Napoli, senza restare aggrappato a teoremi tattici, Strama ha sì confermato al difesa a tre ma – in assenza di Samuel, squalificato – si inventato Cambiasso difensore centrale tra Ranocchia e Juan Jesus e ha rimodellato la squadra dalla cintola in su, schierando un centrocampo a cinque con Zanetti subito a ridosso di Cambiasso, con Gargano a far legna nel mezzo, Pereyra e Nagatomo a presidiare gli esterni e Guarin, uno dei match winner, sguinzagliato alle spalle dalle due punte, Cassano e Milito.

Nell’occasione il tecnico ha rinnegato senza battere ciglio la formula a tridente e dirottato Palacio in panchina. Che c’è di strano? Ho voluto, ha spiegato, infoltire il centrocampo, il reparto dove il Napoli esprime il meglio di sé, in virtù di un mix azzeccato di classe, forza fisica e atletismo, grazie a Inler, Behrami, Zuniga, Maggio, impreziosito dalla classe di Hamsik. L’accorgimento ha funzionato, sebbene nel secondo tempo, dimezzato con Cavani il doppio svantaggio provocato dai gol di Guarin e Milito, il Napoli si sia impadronito del gioco, ribaltando il quadro tattico iniziale. L’Inter racchiusa nei suoi ultimi trenta metri, pronta a rilanciare il contropiede negli spazi che il Napoli, costretto ad accorciare, inevitabilmente le concedeva.

Guarin è un interno di lotta e di governo, ha piede docile, corsa e vigoria atletica e può funzionare da grimaldello in appoggio agli attaccanti di ruolo. Stramaccioni in sede di commento ha spiegato che ogni partita va preparata in modo specifico e che l’obiettivo è esaltare le proprie virtù e deprimere quelle altrui, facendo emergere i difetti dell’avversaria di turno. E’ una frase che illustra l’intelligenza di questo giovane tecnico che ha bruciato le tappe e dimostra di saper gestire una squadra tradizionalmente difficile come l’Inter con polso fermo e lungimiranza. E se l’Inter incalza la Juve ad appena quattro lunghezze di distanza, si può parlare di un’ottima performance. L’Inter è tutt’altro che una macchina perfetta ma sa coniugare efficacia e praticità. Lucra al massimo le occasioni da gol, grazie ad uno dei più prolifici e micidiali bomber del terzo Millennio: è un vero peccato che Diego Milito abbia già doppiato la boa dei 34 anni. La difesa a tre è ormai una opzione consolidata e l’Inter vanta la terza retroguardia del campionato col 17 reti subite dopo la Juve (10) e il Napoli (14). Se se vuol cercare il pelo nell’uovo si può notare che manca un regista, un costruttore di gioco alla Pirlo, capace di calibrare al meglio i tempi di gioco di tutta la squadra. Difficile si possa provvedere a gennaio – lo stesso Stramaccioni lo ha concesso pubblicamente nel posto partita – sebbene resti aperta la pratica Sneijder. E qui le vie d’uscita appaiono ardue, sempre che l’olandese accetti di discutere una eventuale destinazione alternativa.

Il Paris Saint Germain sarebbe interessato a trattare, concedendo a Sneijder un contratto perlomeno analogo a quello che percepisce a Milano (sei milioni e mezzo di euro netti) ma prolungato di una stagione, scadenza al 2016. I dodici milioni cash che il PSG verserebbe all’Inter permetterebbero di riaprire il discorso-Paulinho (centrocampista brasiliano del Corinthians), vecchio sogno nerazzurro valutato sui 15 milioni. La triangolazione per ora non prevede di coinvolgere Pastore che ha dichiarato di e lusingato dell’interesse delle milanesi (anche il Milan ha fatto un cauto sondaggio proponendo un prestito oneroso) ma di voler restare a Parigi, dove peraltro non gode di grandi spazi nel team di Ancelotti. Il quale ha negato che si pensi di portare l’olandese sotto la torre Eiffel. All’Inter servirebbe un vice Milito ma non è facile reperirlo sul mercato, avaro di bomber. La controprova sulla salute e le ambizioni dell’Inter non si farà attendere, sabato è in calendario Lazio-Inter. Col rientro di Samuel dal turno di squalifica rivedremo Cambiasso a centrocampo (Gargano in panchina?) e probabilmente la conferma dello schema 3-5-2 varato contro il Napoli. Il Napoli è scivolato al terzo posto e il problema che si ripropone è la gestione della sconfitta. Un pubblico appassionato ma terribilmente emotivo, che va sul ottovolante e non trova equilibrio, un presidente fin troppo volitivo e impaziente, Mazzarri è giustamente fiducioso perché sa di avere in mano una squadra solida e talentuosa, ma deve fare i conti con l’emotività dell’ambiente – società e tifosi – non ancora maturo per i massimi traguardi. Ultima grana, la richiesta, da parte della Procura Federale, di penalizzazione di un punto a carico della società e di squalifica per nove mesi a carico di Cannavaro e Grava, coinvolti per omessa denuncia nell’illecito tentato (dal terzo portiere Gianello) di Sampdoria-Napoli del 2010.

Squilli di riscossa arrivano anche dalla Roma, giunta alla quarta vittoria filata. Dai e dai la squadra giallorossa ha disintegrato la Fiorentina, aiutata peraltro dalle papere del portiere viola Viviano e da un sontuoso Francesco Totti. A trentasei anni, il capitano della Roma sta vivendo una seconda giovinezza. Mai visto tanto in salute atletica come nella versione contemporanea e quanto a classe e fantasia Francesco è tuttora quanto di meglio propone il calcio italiano: Parere personale: Totti è il miglior prodotto nostrano dell’ultimo ventennio. Ha segnato 221 gol, è a quattro lunghezze dal mitico Nordhal. ma dimostra di non aver perso confidenza con la specialità primigenia, l’assist che manda il compagno in porta. E bisogna pur rendere merito a Zeman che è certamente un integralista che non deflette dalle proprie convinzioni tattiche anche a costo di fare, talvolta, harakiri. Ma ha un’idea nitida di un calcio offensivo che è una goduria per i suiveurs del pallone, per tutti coloro insomma che non sottopongono il proprio giudizio all’amore per i colori del cuore. La Roma ha il miglior attacco del campionato, 38 gol segnati. Il rovescio della medaglia è che la difesa ne ha incassati la bellezza di 26. Se troverà equilibrio (e magari un rinforzo per la difesa a gennaio, si parla del genoano Granqvist), la Roma potrà correre per un posto in Champions. Con l’auspicio che si risolva il tormentone De Rossi che notoriamente non è nelle grazie di Zeman, il quale non si esime dal ricordarlo ad ogni occasione, Capitan Futuro potrebbe chiedere di essere ceduto, il City e il PSG stanno in campana ma l’affare non è semplice. Neppure la convivenza con Zeman lo è e se gli toccasse ancora la panca, è improbabile che De Rossi chini la testa. Anche Osvaldo sembra aver perso terreno nelle gerarchie interne, contro la Viola, Zeman gli ha preferito Destro, bravo ma ancora acerbo ai massimi livelli. Sembra quasi che il boemo vada a cercarsi le grane, pur di affermare la centralità indisponibile del suo Credo calcistico.

Il Milan sta rimettendo fuori la testa (terza vittoria consecutiva a Torino), la vetta della classifica rimane lontana. Allegri ha gestito bene la crisi, confortato dalla copertura offerta da Galliani (imparate, gente, come si comporta una società seria). E’ consapevole di non poter puntare a niente più che ad un miracoloso aggancio al treno che conduce all’Europa che conta. Balotelli è il sogno. Mancini ha dato luce verde alla sua cessione, ma servono 35 milioni cash, di prestito non si parla. Purtroppo il Berlusconi del 2012 non è quello di dieci anni fa, difatti la figlia Barbara incorona El Shaarawy e dichiara che i campioni occorre farseli in casa. Una rivoluzione copernicana. Il caso Pato rimane congelato in attesa di tempi migliori. Il ko di De Jong (stagione finita per via della rottura del tendine d’Achille) impone una riflessione in sede di mercato. Difficile che ci si accontenti di riqualificare Muntari e Strasser, il genoano Kucka potrebbe essere un’utile alternativa.

Nei bassifondi della classifica si fa drammatica la situazione del Genoa, Delneri è riuscito nell’impresa di perdere sette partite su otto (derby compreso) e l’ultimo ruzzolone ha impietosamente messo a nudo i “buchi” tecnici ma soprattutto di carattere, di convinzione, di adesione al progetto come si sua dire, da parte della squadra rossoblù. Il presidente Enrico Preziosi ha ribadito di non aver mai preso in considerazione di sollevare Delneri dall’incarico, e dunque il tecnico di Aquileia siederà in panchina a Marassi, domenica prossima, nello spareggio col Torino. Ma non si può far finta di niente, come se tutto rientrasse in una normalità, ancorché travagliata. Negli spogliatoi di Pescara c’è stato un durissimo faccia a faccia tra Delneri e la squadra, che al suo interno si è spaccata. Una parte dei giocatori spinge per l’esonero, un’altra difende il tecnico. Ma Preziosi nega l’evidenza (“non è successo nulla negli spogliatoi di quello che hanno raccontato i giornali”) e prosegue imperterrito sulla strada tracciata, a costo di provocare lacerazioni ancora più devastanti all’interno dello spogliatoio e fra i tifosi. I nomi di De Canio (allontanato a ottobre dopo la sconfitta interna con la Roma, quando il Genoa aveva raccolto nove punti in 8 gare e viaggiava a metà classifica) e di Delio Rossi continuano a ronzare nell’aria. Il caos è al culmine. Il Vecchio Grifone è appeso ad un filo. Gennaio porterà novità nell’organico, Matuzalem è già arruolato, Floro Flores quasi. Si lavora su Kjaer e su Edu Vargas, ma potrebbero esserci anche nomi in uscita. Granqvist e Immobile.

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