ROMA – Ancora un paio di giorni e poi sarà il momento di votare:giovedì alle 10 del mattino l’appuntamento con le votazioni per l’elezione del prossimo Capo dello Stato. Il Pd, il maggiore attore politico parlamentare, e con lui il Paese, si trovano di fatto di fronte ad un bivio. Da una parte una strada che porta a Romano Prodi presidente della Repubblica votato solo dal centro sinistra e poco più, seguita da elezioni subito o quasi, elezioni al buio. E dall’altra un percorso che porterebbe al Colle Giuliano Amato o un candidato comunque dall’identikit simile (quello dei “larghi consensi” con dentro quello di Berlusconi), viatico ad un governo nano e grigio “del Presidente” che rimanderebbe le elezioni di un anno o giù di lì. Certo, ci sono anche cinquanta sfumature intermedie di quel “grigio”, ma sempre governo nano resta quello “di scopo” e quello tenuto in vita da Pd e Pdl insieme non volendo e non potendo i due partiti avere davvero l’uno a che fare con l’altro. Certo in caso contrario sarebbero elezioni al buio, buio su come la prenderebbero i mercati, l’Europa e gli stessi elettori italiani.
Questa è la situazione, in estrema sintesi, che si para davanti al nostro Paese. Un quadro delle cose certo semplificato ma comunque valido e realistico. Governo grigio e nano o elezioni al buio? Come domandare se sia meglio la padella o la brace… Una prospettiva che sarà in buona parte gestita dal Pd, unico vero attore in grado di determinare quale strada sarà imboccata. Peccato però che, proprio il Pd, sia diviso su quale direzione prendere.
Prodi al Quirinale sarebbe una scelta che potrebbe contare, verosimilmente e visto l’inserimento del nome dell’ex premier tra i dieci papabili di casa Grillo, sull’appoggio di almeno una parte dei parlamentari del Movimento 5 Stelle. Una scelta che ricalcherebbe in qualche modo l’elezione di Pietro Grasso a presidente del Senato ed una scelta che terrebbe Silvio Berlusconi e i suoi fuori dei giochi. Sabato il Cavaliere, in un comizio a Bari, ha detto che con Prodi Presidente sarebbe il caso di fare le valigie e lasciare l’Italia. Con questi presupposti e con l’ormai si spera riconosciuta non volontà dei 5 Stelle di collaborare ad un governo, con Prodi al Quirinale si andrebbe velocemente ad elezioni. Forse già in estate, perfino, cosa mai vista, a luglio. Con Prodi al Quirinale l’intesa, piccola o grande, con Berlusconi non si fa.
Sicuramente un azzardo, vista anche l’attuale legge elettorale che, se non modificata, potrebbe regalare un altro Parlamento senza maggioranza. Un azzardo che ha però diversi sostenitori e di certo il pregio di dare una sferzata ad una situazione stagnante dal giorno delle ultime elezioni, oramai quasi due mesi fa.
Se invece dovesse prevalere in casa Pd una linea più “morbida”, una linea improntata alla ricerca delle larghe intese sulla scelta del prossimo Capo dello Stato, al Quirinale potrebbe finire Amato o un candidato simile. Un candidato in grado di fare se non la gioia almeno di raccogliere anche i voti del Pdl. Un candidato dalla larga base quindi che, proprio sulla larga base e a questa assegnerebbe un incarico di governo. Uno scenario che “figlierebbe” quello che viene definito un governo del presidente dai suoi sostenitori, e un governicchio dai suoi detrattori. Un governo cioè retto dai voti del Pd e del Pdl ma, in fondo, da questi un po’ evitato. Un esecutivo in grado di resistere un anno, forse un anno e mezzo, rimandando la data del ritorno alle urne.
Ipotesi affascinante se il governo in questione fosse in grado di varare delle riforme, prima fra tutte quella della legge elettorale, ma che espone soprattutto il Pd al rischio di un prossimo tracollo elettorale. Se infatti un simile esecutivo non riuscisse a concludere nulla, e forse anche se vi riuscisse, non è affatto detto che gli elettori democratici l’apprezzerebbero. E il rischio è, a meno che non si sia elettori di Grillo, che un accordo Pd-Pdl porti consensi ai 5 Stelle.
Sarà il Pd, in buona parte, a decidere quale delle due strade intraprendere. Si tratta però, per i democratici, di una scelta che somiglia da vicino ad una sorta di “dalla padella nella brace”. Il partito guidato da Bersani, nonostante abbia “non vinto” le ultime elezioni, è quello che ad oggi più ha da perdere. Padella o brace per il Pd e anche per il paese tutto. Meglio un governo debole e dal fiato corto con il rischio già domani di mezzo milione di cassa integrati che non vede un euro a fine mese e con altre centinaia e migliaia di aziende chiuse tra primavera ed estate o meglio una campagna elettorale e un voto mentre tutto questo succede? Padella o brace? Ci vorrebbe qualcuno, qualcosa che spegnesse il fuoco. Ma in Italia non c’è, l’unico vero pompiere o incendiario, l’unico capace davvero di fare l’uno o l’altro è, anzi srà, il vincitore delle elezioni tedesche del 22 settembre 2013, quello che deciderà di cosa farsi carico e di cosa no in Europa. Fino ad allora in Italia…padella o brace. Entrambe condite da olio bollente marca M5S.
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