ROMA – Cristian Stellini, collaboratore di Antonio Conte appena squalificato dalla giustizia sportiva per due anni in relazione al calcio scommesse, può godere del pieno appoggio della sua società: la Juventus. I bianconeri infatti, infischiandosene della sentenza e del codice etico adottato dopo calciopoli, hanno immediatamente comunicato che lo manterranno in organico confermandogli, nei fatti, piena fiducia. E confermando così piena sfiducia nei confronti della giustizia che ha ritenuto Stellini colpevole, Stellini che dai tempi del Siena accompagna Antonio Conte. Episodio questo, ultimo in ordine di tempo, rivelatore della vera e propria guerra che il club presieduto da Andrea Agnelli ha deciso di combattere contro le istituzioni del calcio: dalla federazione alla giustizia sportiva. Anzi, penultimo: il più netto e fresco di giornata è il presidente della Juventus Andrea Agnelli che, dopo il rinvio di Conte a processo sportivo, “constato che la Figc e la sua giustizia sportiva, continuano ad operare fuori da ogni logica di diritto e di correttezza sostanziale”. Quindi la Figc fuori legge e sostanzialmente scorretta secondo le leggi della Juventus.
Che la Juventus si senta presa di mira e vittima non è una novità. Lo hanno dichiarato apertamente e diffusamente i bianconeri stessi. Eppure sono i suoi tesserati ad essere sotto processo sportivo e sempre suoi tesserati sono quelli che sono stati giudicati colpevoli e sanzionati. Eppure il club di Torino la guerra e l’indignazione non l’indirizza verso quelle persone, calciatori e dirigenti, che hanno coinvolto il nome del club in indagini e sospetti con i loro comportamenti sanzionati come non regolari, ma verso chi questi comportamenti accusa o giudica.
Prima della conferma di Stellini, il club presieduto da Andrea Agnelli aveva già dato mostra di quelli che erano i suoi sentimenti e il suo modo di vedere le cose: dopo il rifiuto di patteggiamento per Antonio Conte il club aveva parlato di “atto gravissimo” riferendosi ad una decisione della giustizia sportiva; ancor prima, in anticipo persino sulla conclusione del campionato poi vinto, i bianconeri avevano cominciato a reclamare i due scudetti ‘persi’ per colpa di calciopoli e, sulle maglie del prossimo anno, per questo comparirà la scritta “trenta sul campo”, mentre gli scudetti riconosciuti sono 28. E sempre in tema titoli vinti, anche sullo stadio dei bianconeri campeggia un tricolore con il numero 30, in spregio manifesto e voluto a quanto affermato dalla federazione, di cui la Juve fa parte. E poi la ricusazione dei giudici e la decisione di ‘premiare’ Bonucci, sotto processo per illecito sportivo, cioè perché avrebbe preso parte a delle combine, con la fascia di capitano nella partita contro il Benfica.
E poi un mare di dichiarazioni di tutti, dai giocatori alla presidenza passando per i dirigenti, volte a criticare e disconoscere quanto fatto e detto dalle istituzioni del calcio. Ma se il club bianconero non condivide e, soprattutto, non rispetta le decisioni della federazione di cui fa parte e che organizza il campionato in cui gioca, e non accetta, di fatto, le decisioni della giustizia sportiva che su quel campionato vigila, perché continua a giocarlo? Perché continua ad iscriversi? Non glielo impone mica, come si suol dire, il medico. Se non le piace come è fatto, se ritiene gli organizzatori e i giudici non all’altezza e anzi, li ritiene dei nemici, perché continua a parteciparvi?
La domanda è retorica, ma fino ad un certo punto. Il campionato di calcio, nonostante quello che si possa credere, non è una creazione divina a cui non ci si può sottrarre, ma un torneo organizzato annualmente da esseri umani per altri esseri umani. Riportandolo a questa dimensione diventa incomprensibile l’atteggiamento della Juve e la domanda da retorica diviene seria. Poniamo il caso che organizzino un torneo di calcetto nella vostra città ad esempio, e che voi riteniate che chi lo organizza vi rubi ingiustamente i titoli e che gli arbitri vi puniscano senza motivo, vi iscrivereste? Ovviamente no. La Juventus invece al campionato partecipa, e lo vuole comprensibilmente vincere. Ma allo stesso tempo presenta esposti contro gli organizzatori per riavere uno o più di quegli scudetti che i cattivi organizzatori gli hanno sottratto solo perché è stata ritenuta colpevole di comportamenti antisportivi, cioè perché influenzava gli arbitri e altre nefandezze. E chiede risarcimenti per centinaia di milioni di euro per le condanne di calciopoli. Ma non li chiede a Moggi e amici, giudicati colpevoli, ma alla Figc. Un comportamento da sindrome bipolare.
Che Andrea Agnelli decida di abbandonare la serie A, offeso, non è credibile. Ma la conseguenza logica dell’esser contro tutti, del sentirsi vittima, del non riconoscere le istituzioni del calcio e le sue regole sarebbe, solamente e unicamente, quella di chiamarsi fuori. La logica però non domina la vita e tantomeno il calcio, la Juve senza campionato non esisterebbe, e il suo sbraitare, il suo protestare e il suo non accettare le decisioni servono semplicemente a cercare di limitare i danni. Danni che giudica realmente ingiustificati, ma a cui non può sottrarsi. Lasciare la serie A sarebbe manifestazione di una battaglia ‘alta’, per cui valga la pena arrivare alle estreme conseguenze, ma in questo caso la Juve combatte una battaglia molto più ‘terrena’, dove i soldi dei diritti tv e di tutto il resto sono molto più importanti dell’innocenza o meno dei suoi tesserati. Ci si potrebbe ancora chiedere però, e in questo caso la domanda non ha nulla di retorico, perché invece gli ‘organizzatori’ del torneo, vedendo una squadra che rifiuta apertamente quanto da loro deciso, non prendono l’iniziativa di cacciarli dal torneo? Queste sono le regole, o vi sta bene o ‘tante care cose’….
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