Cento assenti: deputati svogliati o i partiti provano il Ponzio Pilato?

di Riccardo Galli
Pubblicato il 2 Dicembre 2011 - 15:53 OLTRE 6 MESI FA

foto Lapresse

ROMA – Voti favorevoli 464, contrari zer0. L’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio è stato approvato alla Camera il 30 novembre scorso. Con le felicitazioni del neo ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda: “La vastissima maggioranza testimonia la ferma volontà nel proseguire sulla strada del risanamento strutturale della finanza pubblica”. Maggioranza vastissima, vero, se non fosse che i sì al governo Monti dello scorso 18 novembre furono 556, 92 in più rispetto a quelli di mercoledì scorso. È vero che non c’è stato nessun contrario, e che mentre tutti i leghisti avevano detto no alla fiducia stavolta ben 42 di loro (in tutto sono 59) hanno votato a favore. Ma ben 153 deputati non hanno proprio votato: 43 perché in missione, quindi assenti giustificati, ma gli altri 110?

Cento assenti quindi ad una votazione che non si può certo definire di secondo piano, sia perché era la prima sotto l’egida del nuovo governo, sia perché di una norma costituzionale, e fondamentale, si trattava. Qualcuno avrà senz’altro avuto ottimi motivi per non essere a Montecitorio. Novembre è mese di influenze e tra acciacchi e incidenti qualche deputato sarà stato certamente impossibilitato a votare, ma non 100. Sono troppi. La spiegazione di un così elevato numero di assenze deve per forza essere un’altra.

Il clima di fair play che si respira oggi nella politica italiana fa dire a tutti gli interessati che si è trattato di un caso, figlio magari di un’atavica pigrizia nostrana. Sapere che il proprio voto è importante ma non decisivo toglie appeal alla votazione stessa. Ma se a pensar male si fa sempre bene, non si potrebbe trovare la spiegazione delle assenze nella volontà diffusa di non essere “correi”? Deputati e Senatori di destra e sinistra saranno presto chiamati a votare provvedimenti ben più “compromettenti” rispetto al pareggio di bilancio.

Dovranno dare il loro via libera alla riforma delle pensioni, alla reintroduzione dell’Ici, alla patrimoniale, insomma a tutte quelle misure che il governo Monti riterrà necessarie per il risanamento. Poter dire un domani, agli elettori, “io non l’ho votato”, potrebbe essere per alcuni parlamentari un’ipotesi allettante. I pidiellini allergici a patrimoniale e Ici sono molti, come molti sono i democratici dubbiosi sulla riforma delle pensioni. Le assenze, casuali, di ieri, potrebbero quindi essere la prova generale delle assenze, strategiche, di domani.

Dei 110 assenti ingiustificati, ben 53 erano del Pdl. Se a questi poi si sommano i “fiancheggiatori” berlusconiani di Popolo e Territorio, si sale a 58. Ma anche il Pd ha contato molte assenze, una ventina, e tra queste Bersani e Veltroni. Ma del Pdl, con le eccezioni di Carfagna e Fitto, mancava praticamente tutto l’ex governo: Berlusconi, Gelmini, Frattini, La Russa, Romani, Tremonti, Brunetta, Rotondi, Brambilla, Bernini, Cosentino, Roccella. In missione poi Cicchitto, che alla Camera è il capogruppo, Lupi e Martino. E mancava pure Angelino Alfano, l’assenza più notata perché il giorno prima, per dirla con la cautela che usa il Pd Roberto Giachetti, “ci eravamo fatti carico reciprocamente affinché il voto finale sulla legge cadesse in un momento in cui tutti potessero essere presenti”. Tradotto: si era fatto slittare al giorno dopo il voto finale perché quella sera c’era la presentazione del libro di Angelino Alfano, e si sapeva che sarebbe stata una vera e propria passerella per i big del Pdl.

Persino I’ldv, l’unica forza politica che era presente al gran completo e che ha votato all’unisono, limitandosi ad esprimere contrarietà solo sulla creazione di un’apposita authority che vigili sulla sua applicazione invece di affidarla alla Corte dei Conti, rifiuta di commentare. “Non è affar nostro” dice Antonio Di Pietro. Fair play e prudenza che animano anche le parole di Luigi Zanda, vicepresidente del Pd in Senato, dove la regola aurea approderà presto: “È talmente chiaro e grave il rischio che l’Italia sta correndo che preferisco interpretare le assenze del Pdl come un frutto, sia pure estremo, del caso”.

Il caso quindi, ma oltre a questo, come racconta La Stampa, potrebbe esserci la “depressione”. Un ex ministro, che naturalmente non vuole essere citato, spiega: “Ci sono colleghi intristiti dal ritrovarsi deputati semplici, e per capirlo basta guardarli abbandonati su uno scranno, attaccati al telefonino, o vagare per i corridoi, i La Russa, i Frattini, le Gelmini…”. Il vuoto del potere, certo. Ma anche una certa inveterata abitudine del centrodestra a sottrarsi. In fondo, alla prima prova all’opposizione fecero l’Aventino. Alla seconda, specie in Senato, lasciarono gioco facile all’Ulivo che chiedeva la verifica del numero legale. Non sarà un caso nemmeno se lo stesso Berlusconi ha dovuto porre un centinaio di fiducie.

Che sia stato il caso, l’intristimento, l’abitudine a sottrarsi o un’allergia agli obblighi, lo scopriremo presto, appena i provvedimenti targati Monti approderanno in Parlamento. E allora sapremo anche se non si sia trattato, invece, di strategia.