ROMA – In lotta ufficialmente contro l’amministrazione comunale ma anche contro, in sostanza, i propri concittadini. Sono i dipendenti del Comune di Roma, un’armata da 26 mila circa unità, che da qualche settimana danno corpo e sostanza alla “battaglia di Roma”. Battaglia che sta conoscendo e sviluppando la sua massima intensità. Esempio: all’Anagrafe di Roma i cui uffici sono da 24 ore aperti d’imperio fino alle 18 si possono fare e avere carte di identità fino alle 18, ma alle 13 chiude la cassa e quindi se non hai pagato prima…Sublime esempio di boicottaggio o di auto boicottaggio.
Non ci stanno i dipendenti comunali, dicono che sono orari impossibili da sostenere negli uffici e negli asili e ovunque. Impossibili da sostenere per loro, la gente, “l’utenza”, i cittadini li trovano sostenibilissimi anzi graditi. Non ci stanno e una ventina di educatrici e maestre provano a occupare un po’ di Campidoglio. Domandi e ottieni la risposta al perché mai “insostenibile”. Eccola: se i dipendenti a tempo pieno prolungano un po’ l’orario di lavoro prestato per giustificare quel po’ di salario in più che prendono, allora i precari che coprono e sostituiscono che fanno? Insomma la funzione sociale dell’inefficienza.
Protestano e provano, un po’ a trattare e un po’ a boicottare. Un po’ di ragione possono averla: hanno salari medi da 1.500 al mese, “accessorio” compreso. Un po’ hanno torto: perché mai e in mome di quale diritto e giustizia i 2/300 euro di integrazione salariale dovrebbero essere loro pagati anche se nulla di “accessorio” fanno?
Protestano, i dipendenti comunali, contro quella che si può sintetizzare nella formula “riforma del salario accessorio”, cioè salario accessorio resta in busta ma arriva anche lavoro accessorio che prima non c’era. Quella parte di stipendio, intorno al 20% dell’emolumento totale, composto da voci appunto accessorie e che retribuiscono, o dovrebbero retribuire, specifiche mansioni “extra”, cioè non già incluse nel contratto. E salario che, sino a ieri, era corrisposto a tutti i dipendenti in maniera più o meno indiscriminata, cioè a prescindere dal fatto che i suddetti “extra” esistessero o meno, e che da oggi verrà invece legato al reale svolgimento del “di più”.
Insieme ai dipendenti in lotta, i sindacati che protestano. Dall’altra parte, l’amministrazione comunale che vuole portare avanti e crede nella sua riforma e i cittadini che della riforma beneficerebbero. Una dicotomia, quella tra cittadini-dipendenti e cittadini-utenti, che i commenti raccolti ieri negli uffici dell’anagrafe testimoniano alla perfezione. “Ottimo, fantastico” è il mantra di chi ha potuto chiedere per la prima volta una carta d’identità alle 17, perché tra le novità compare anche l’apertura pomeridiana degli uffici pubblici. “Per due genitori come noi, che lavorano entrambi, con la bambina che esce alle 16.30 è molto comodo”, dicono i due cittadini-utenti che hanno appena ritirato il documento che gli serviva.
“Disastroso, terribile”, tagliano invece corto i cittadini-dipendenti infuriati. “Questo prolungamento di orario è molto pesante – si lamenta un’altra cittadina-dipendente – io sono stanchissima. Qui c’è personale tra i 50 e i 60 anni che si stanca più facilmente”. Quello che sembra non essere accettabile è il turno dalle 11 alle 18.42. “Ci parte l’intera giornata”, dicono ricordando i bei tempi in cui gli sportelli erano aperti dalle 8 alle 12, e solo due volte a settimana il pomeriggio.
Ma sono, gli orari d’apertura, uno solo degli aspetti della riforma come tante sono le indennità in gioco. Come racconta Flavia Amabile su La Stampa infatti, “nel mondo della scuola esisteva un’indennità di articolazione oraria come compensazione del disagio procurato a maestre e maestri dal diverso orario d’ingresso dei bambini. Oppure esisteva un’indennità di specifiche responsabilità, come compensazione di compiti che venivano considerati straordinari quali i colloqui con i genitori o l’affissione di avvisi nelle bacheche scolastiche. Godevano anche di un’indennità di reperibilità nonostante le scuole abbiano gli stessi orari da sempre”.
E ancora, l’indennità badge: 2 euro extra al giorno per gli impiegati obbligati alla difficile e assolutamente stressante pratica dello strisciamento del cartellino. E poi l’indennità per lavorare il pomeriggio nonostante non ci fosse alcuno straordinario e quella per la pericolosità del terminale, corrisposta anche a chi il computer nemmeno lo accendeva. L’indennità di servizio esterno per i vigili urbani, che come Alberto Sordi insegna, all’esterno dovrebbero lavorare normalmente e via elencando.
Chi la spunterà tra i 26mila dipendenti e i cittadini ed il Comune lo sapremo a breve, nuovi incontri tra le parti (senza i cittadini) sono previsti nei prossimi giorni e l’amministrazione capitolina sembra comunque molto decisa nell’andare avanti, forte anche dell’appoggio degli utenti.
Intanto appare chiaro come buona parte dello scontro sia ideologico e frutto, nella migliore delle ipotesi, di un equivoco. Quello che viene definito come “salario accessorio” dovrebbe essere, come già il suo nome rivela, un di più da riconoscere in cambio di qualcosa che il lavoratore fa e che non è prevista, e pagata, dal contratto originale. E dovrebbe, ovviamente, essere destinato a chi quel di più fa, e non a tutti. Questo tipo di salario è invece percepito, in primis dai dipendenti e dai sindacati che quasi come tale lo rivendicano, come una parte del salario stesso. Come cioè una sorta di integrativo. Equivoco cui, spesso, anche le amministrazioni pubbliche hanno contribuito, concedendo questi “accessori” come fossero aumenti che non potevano o volevano ufficialmente dare.
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