Berlusconi, no salvacondotto? Muoia Silvione con tutti i… decreti

Silvio Berlusconi e Angelino Alfano (Lapresse)

ROMA – La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il decreto liste pulite. Se n’era andato poco più di un anno fa Silvio Berlusconi costretto e controvoglia, ma più o meno certo di avere in tasca un salvacondotto che lo avrebbe difeso da magistratura e “comunisti”. Lui ci credeva a questa storia del salvacondotto e non perché qualcuno glielo avesse promesso ma perché Berlusconi è certo, sicuro e convinto che sentenze e processi si aggiustano, comandano, alle bruttissime comprano.

Forte delle sue convinzione e della sua esperienza ha vissuto molti mesi tra fine 2011 e primavera 2012 certo che Napolitano soprattutto e poi Bersani e poi un po’ anche Monti potessero indicare alle Procure come comportarsi. In 12 mesi però quella sua convinzione è andata via via svanendo sotto il peso di processi e condanne. E alla stessa velocità con cui le certezze berlusconiane evaporavano, la sua voglia di tornare in campo, di prendersi una rivincita e forse una vendetta cresceva. Sino a ieri.

Aveva digerito, male, le sconfitte a Milano e in Sicilia, gli scandali nel Lazio e in Lombardia, aveva osservato più o meno silente l’agonia del Pdl e l’esplosione di Grillo. Ma l’inseguimento dei comunisti sulle primarie da parte di Alfano e compagnia e, soprattutto, l’incandidabilità per i condannati no. Quando è troppo è troppo. Nonostante persino i fidatissimi Gianni Letta e Fedele Confalonieri lo sconsigliassero Berlusconi non ci ha visto più. Nel 2013 il candidato premier del centrodestra sarà di nuovo lui, un giovane settantaseienne con un grande futuro dietro le spalle.

“E’ ricomparso pure Berlusconi, l’unico Napoleone per cui dopo Waterloo non arriva mai Sant’Elena. La bolsa rockstar si trascinerà sul palco, steccherà e scenderà rovinosamente fra i fischi, regalando ulteriore zavorra a questo Paese che non riesce a liberarsi del Novecento e a volare leggero verso un altro secolo, cominciato ovunque tranne che qui”, scrive Massimo Gramellini su La Stampa. E’ tornato pure Berlusconi, ma è un ritorno che il cavaliere covava da tempo.

Quando a novembre di un anno fa era stato costretto a dare le dimissioni non lo aveva certo fatto serenamente. Appariva livido l’ex premier in quelle ore, livido e irrancorito, deluso e in qualche modo anche stupito. Ma aveva in testa e nel cuore una convinzione che rendeva quella scelta, una scelta fatta e imposta da altri e non certo da lui, almeno tollerabile. Era la convinzione che il suo farsi da parte, riconsegnare il Paese a persone competenti o che comunque godessero dell’appoggio e dell’amicizia dell’Europa e dei mercati gli garantisse, in cambio, almeno una sorta di immunità, un salvacondotto, un ombrello che lo proteggesse dai magistrati comunisti e dai loro fastidiosissimi processi.

“Il fronte della magistratura, nel bilancio dell’annus horribilis del Cavaliere, ha pesato più di qualsiasi sconfitta politica. Non a caso Berlusconi non s’è mai rassegnato all’ingiunzione con cui i giudici del caso Mondadori lo hanno costretto a pagare più di mezzo miliardo di euro a Carlo De Benedetti. E per la stessa ragione, la condanna subita a Milano un mese fa, nel processo per l’evasione fiscale sui diritti cinematografici delle sue tv, lo ha convinto, nel giro di ventiquattrore, a rimangiarsi l’addio comunicato solennemente in televisione”, scrive Marcello Sorgi.

Che quello di Berlusconi fosse un addio e non un arrivederci in pochi l’hanno creduto. Ci sperava probabilmente Angelino Alfano come tutti quelli che a destra vorrebbero una, partito, una forza politica moderna e non fondata sul culto della persona. Ci speravano ma conoscendo Berlusconi è difficile sostenere che ci credessero. Anche perché il primo a non crederci era proprio lui, Silvio. Un uomo non certo abituato a farsi da parte né tanto meno a farsi mettere nell’angolo, e un uomo altrettanto certamente non abituato a subire le decisioni di altri. Restava solo da capire quando e come il vulcano Berlusconi sarebbe esploso, quando non sarebbe più riuscito a mordere il freno della moderazione e come avrebbe annunciato la sua sesta candidatura a presidente del consiglio. Un quando e un come che si sono materializzati e hanno preso corpo grazie al decreto sulle liste pulite, quel decreto che terrà fuori dal Parlamento e lontano dagli uffici pubblici i condannati a pene superiori di due anni. Non che sia questo solo ad aver convinto il cavaliere che il momento di rientrare era arrivato, ma questo è stato certo l’ultimo colpo che lo ha spinto in questa direzione.

Un decreto, appena approvato, per cui non potranno diventare deputato, senatore od europarlamentare, assumere cariche di governo ma neanche ambire a cariche elettive a livello regionale, comunale e circoscrizionale quanti hanno riportato condanne superiori a due anni per tutta una serie di reati gravi che vanno dall’associazione per delinquere al terrorismo, dalla riduzione in schiavitù alla tratta di persone, dal sequestro di persona all’associazione di tipo mafioso e per tutti i delitti contro la pubblica amministrazione (peculato, corruzione, concussione, malversazione ai danni dello Stato). Esclusi anche coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione sempre per delitti non colposi per i quali siano previste la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni e, quindi, la custodia cautelare in carcere (non viene indicato un elenco preciso, ma le fattispecie possono essere tante: furto, rapina, usura, truffa, favoreggiamento personale, stalking, bancarotta fraudolenta, manipolazione dei mercati, frode fiscale, etc). Le nuove norme, inoltre, prevedono la decadenza della carica qualora la causa di incandidabilità (ovvero la sentenza definitiva di condanna) intervenga durante il mandato.

Visto questo il cavaliere non ci ha visto più. Ha convocato i suoi, che da tempo si arrovellavano sulla questione primarie, e ha spazzato il campo. Basta giocare, fine delle primarie perché torno io. Nel Pdl, o in quel che ne resta, tutti hanno ubbidito. I più felici come non mai, qualcuno con un sorriso tirato e con i soli Franco Frattini e Giorgia Meloni a dire che è un errore. Infedeli. Dal salvacondotto all’incandidabilità e, estrema offesa, la decadenza dal seggio di parlamentare in caso di condanna definitiva in corso di legislatura, in appena 13 mesi era una parabola, una giravolta troppo ardita perché Berlusconi la potesse sostenere.

In una delle tante sere cupe, nell’ultima sera romana si è materializzata l’idea, l’incubo: cacciato domani dal parlamento perché condannato con sentenza definitiva. Anche se era solo incubo, anche se il governo aveva cambiato all’ultima ora il decreto e la decadenza non era più automatica ,a il Parlamento, la Camera di appartenenza avrebbe in futuro votato caso per caso, anche se Gianni Letta e sembra anche Fedele Confalonieri gli dicevano: ti spezzeranno le reni e le aziende tutti i governi europei, pare proprio che la parola che contava l’abbia pronunciata Marcello Dell’Utri sibilando il ci vogliono in galera. Meritavo il salvacondotto e voi non bloccate i magistrati? Allora muoia Silvione con tutti gli zebedei e Berlusconi scosse le colonne del tempio…Linguaggio e ricostruzione farseschi di una farsa che è realtà.

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