Bersani, dove può perdere le elezioni: al Senato il pasticcio dei secondi

Pier Luigi Bersani (foto Ansa)

ROMA – Lombardia, Veneto e Sicilia. Saranno queste tre regioni a decidere se Pierluigi Bersani e il centrosinistra avranno i numeri per formare il prossimo governo. Tre regioni dove Pd e soci potrebbero perdere una partita che sembra imperdibile, complice il tanto vituperato ma mai superato Porcellum. L’attuale legge elettorale infatti, tra premi di maggioranza per il Senato assegnati su base regionale e soglie di sbarramento che potrebbero essere superate da più di due realtà politiche, renderà il risultato di queste regioni decisivo. Silvio Berlusconi lo sa, e per questo sta facendo una corte spietata alla Lega di Roberto Maroni.

“Anche questa volta sarà decisivo il voto dell’Ohio, non si capisce perché gli altri stati si ostinino a votare”, battuta sarcastica che commentava le ultime elezioni americane dove, spesso se non sempre, sono due o tre stati a spostare la lancetta verso una presidenza democratica o una repubblicana. La legge elettorale targata Calderoli, legge con cui si eleggerà il prossimo Parlamento, non certo per una vocazione esterofila dell’autore assegna alle tre regioni citate, e in particolare alla Lombardia, un ruolo simile a quello dei famosi “stati-chiave” a stelle e strisce.

Nel caso italiano non più stati, ma “regioni-chiave” che da sole saranno in grado di determinare l’esito del voto. Se infatti il Porcellum assegna alla Camera dei Deputati il 54% dei seggi alla coalizione che prende anche un solo voto più degli altri, garantendo così una maggioranza sicura, non altrettanto fa al Senato. Gli inquilini di palazzo Madama sono infatti scelti su base regionale, e ogni regione assegna un premio di maggioranza. Comprensibile che le regioni più grandi e popolose abbiano un ruolo quindi maggiore rispetto a quelle più piccole, ma non è tutto, perché il numero di senatori assegnati a chi arriva primo è fisso mentre gli altri si dividono il resto.

Il tutto con una soglia di sbarramento per accedere fissata all’8%. Il che, tradotto, significa che se una regione assegna ad esempio 50 senatori, e il primo ha diritto ad averne 27, se solo due schieramenti superano la soglia di sbarramento il secondo avrà diritto a 23 senatori, non pochi. Ma se a superare l’8% sono tre, o magari 4 partiti, quei 23 senatori vanno divisi, divenendo pochi, se non pochissimi.

Il funzionamento dell’attuale legge elettorale, quella legge che sia Giorgio Napolitano che Mario Monti si erano augurati che fosse cambiata, è noto a tutti. Ma spesso molti dimenticano di come tra le sue pieghe si nascondano insidie che potrebbero mettere il Pd e la sua coalizione, l’unica che sembra ora in grado di avere i numeri per governare, nella condizione di non avere una maggioranza per formare il nuovo esecutivo. Non l’ha però certo dimenticato Silvio Berlusconi che, conscio di questa situazione, sta cercando in tutti i modi di chiudere un accordo elettorale con Maroni.

Non può credibilmente aspirare a vincere il cavaliere, ma può puntare a mettere i bastoni tra le ruote di Bersani, sino al punto di lasciarlo senza maggioranza a palazzo Madama. Le Lega, per il momento, tentenna. Non tutti i suoi elettori, che ormai si sono ridotti allo zoccolo dei “duri e puri”, vede di buon occhi una nuova alleanza con Berlusconi. Ma è probabile che le sirene pidielline riescano, alla fine, a far breccia nel cuore di Maroni.

Entrando più nel dettaglio l’attuale legge elettorale assegna, su base regionale, il 55% dei seggi al partito vincitore. Regola che vale per 17 regioni italiane e a cui vanno aggiunti i senatori eletti da Molise, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e dalla circoscrizione estero. Questo sistema elettorale è stato utilizzato due volte producendo due risultati differenti in termini di governabilità.

Nel 2006 il risultato fu una risicata maggioranza a favore dell’Unione di Prodi. Nel 2008 invece Berlusconi vinse conquistando una maggioranza “comoda”. Cosa accadrà l’anno prossimo non è certo, anche perché la campagna elettorale è appena all’inizio e gli schieramenti sono ancora in via di definizione. Quelli che sono certi sono però i numeri, e su questi si possono costruire delle previsioni.

Previsioni che dicono che, per vincere, Bersani dovrà riuscire ad essere particolarmente attraente per gli elettori lombardi. Anche supponendo infatti che Pd e Sel si aggiudichino tutte le altre regioni, il voto delle tre “regioni-chiave” sarà determinante. E qualora il centrosinistra non conquistasse tutti le altre 17, potrebbe bastare un risultato negativo in Lombardia per eleggere un Senato senza maggioranza.

I numeri e i conti li fornisce Roberto D’Alimonte sul Sole24Ore: “Abbiamo immaginato che la coalizione Pd-Sel ottenga 3 seggi in Trentino Alto Adige, 3 nella circoscrizione estero e uno in Molise. Se vincesse il premio in tutte le altre 17 regioni arriverebbe a 178 seggi. La maggioranza al Senato è 158. (…) se Pd e Sel non vincessero il premio in Lombardia e Veneto la maggioranza si ridurrebbe a 169, ammesso che prendano tutti i seggi residui. Se poi alla sconfitta in queste due regioni aggiungessimo quella in Sicilia la maggioranza si ridurrebbe ulteriormente a 165. Ma questo calcolo non tiene conto di un fattore importante, e cioè la distribuzione dei seggi destinati ai perdenti in ciascuna regione. Questo è un elemento meno intuitivo ma decisivo. Infatti i 169 seggi del primo caso e i 165 del secondo sono tali perché abbiamo assegnato alla coalizione Pd-Sel tutti i seggi destinati ai perdenti, cioè 21 in Lombardia, 10 in Veneto e 11 in Sicilia. Ma non è affatto detto che vada così. Se Berlusconi arriva primo in queste tre regioni, Pd e Sel potrebbero essere costretti a dividere questi seggi con altri partiti. Questo succede se tra i perdenti ci sono partiti che riescono a superare la soglia dell’8% dei voti. Nella nostra simulazione abbiamo ipotizzato che sia il Movimento Cinque Stelle che un eventuale terzo polo riescano a farcela. In questo caso Pd e Sel otterrebbero in Lombardia e Veneto rispettivamente 12 e 5 seggi invece dei 21 e 10 della ipotesi A e il loro totale nazionale scenderebbe da 169 a 155. La maggioranza non ci sarebbe più. Pur vincendo il premio in ben 15 regioni la perdita di Lombardia e Veneto li priverebbe della possibilità di governare da soli. Dovrebbero fare un accordo post-elettorale con un altro partito. Se poi alla sconfitta in queste due regioni aggiungessimo anche quella in Sicilia il totale scenderebbe a 146”.

La Lombardia, con i suoi 47 senatori totali e i 26 assegnati al vincitore giocherà, com’è evidente, un ruolo fondamentale nella formazione del prossimo governo. E anche se è vero che il centrosinistra è riuscito da poco a scegliere l’inquilino di palazzo Marino e si appresta ad aggiudicarsi anche il governo della regione dopo gli scandali che hanno travolto la giunta Formigoni, è anche vero che il Pd non è mai riuscito a sfondare nel nord del Paese. Qui anzi Berlusconi prova a riunirsi definitivamente con la Lega di maroni proponendo il gran patto tra una Regione Lombardia data a Maroni e quindi tre governatori leghisti tre su tre grandi regioni del nord e l’appoggio della Lega al Pdl in campo nazionale. Scambio però non graditissimo alla base elettorale leghista che di rivotare Berlusconi premier non ha gran voglia.

Una condizione fragile che suggerirebbe, forse, la necessità di un’alleanza pre elettorale con il centro. Buona sia per portare più voti alla coalizione di centrosinistra, ma anche per ridurre il numero di forze candidate a superare la soglia dell’8%. Anche perché, senza bisogno di essere degli strateghi, appare evidente che saranno almeno in 3 a superarla: Pd, Pdl e M5S. E di conseguenza, i 21 senatori lombardi riservati ai secondi, andranno divisi almeno tra due forze politiche.

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