Bersani firma! Ha ragione Grillo, ma M5S diritto pieno a soldi pubblici non ha

di Riccardo Galli
Pubblicato il 12 Marzo 2013 - 14:48| Aggiornato il 25 Settembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Bersani firma qui”, scrive, chiede e provoca Beppe Grillo. Firma per rinunciare ai quasi 50 milioni di euro che al Pd spetterebbero come rimborsi elettorali. Firma per aprire una possibilità alla trattativa che tanto invochi o firma perché, come twitta il sindaco Pd di Bari Michele Emiliano, “se non firmiamo siamo finiti”. Firma perché Matteo Renzi te lo chiede, anzi te lo ha già chiesto mesi fa di rinunciare al finanziamento pubblico dei partiti e solo firmando puoi sperare di non essere soffocato dai tuoi avversari interni ed esterni al partito. E firma perché, in fondo, anche i tuoi elettori te lo chiedono. Di motivi per firmare la proposta-provocazione di rinuncia ai rimborsi arrivata dal Movimento 5 Stelle ce ne sono e ce ne sarebbero a bizzeffe, ma Pierluigi Bersani sembra avere, come il suo partito, un crampo alla mano: siamo pronti a discuterne – è la posizione del segretario Pd – purché la riflessione “si leghi alla trasparenza”. A voler però essere pignoli il M5S, che di fronte alla posizione bersaniana gongola, ai rimborsi che tanto enfaticamente annuncia di aver rinunciato, non avrebbe in realtà diritto.

La proposta-provocazione di Beppe Grillo è arrivata come d’abitudine tramite la rete. Pubblicata sul blog dell’ex comico è stata rilanciata su twitter con l’hashtag #Bersanifirmaqui e raccolta da molti, in primis dal sindaco Pd di Bari che ha colto come l’unica possibilità per non essere travolti sia quella di cedere e rinunciare ai rimborsi. “Il Movimento 5 Stelle – scrive Grillo – rinuncia ai contributi pubblici, previsti dalle leggi in vigore, per le spese sostenute dai partiti e dai movimenti politici e non richiederà né i rimborsi per le spese elettorali, né i contributi per l’attività politica”, oltre 42 milioni di euro nel caso del M5S e aggiunge “Il mio auspicio è che tutte le forze politiche seguano il nostro esempio, in particolare il pdmenoelle al quale spetta la quota più rilevante: oltre 48 milioni di euro (al pdl ‘solo’ 38). Non è necessaria una legge, è sufficiente che Bersani dichiari su carta intestata, come ha fatto il M5S, la volontà di rifiutare i rimborsi elettorali con una firma. Per facilitare il compito ho preparato il documento che Bersani può firmare per ufficializzare il rifiuto. Bersani, firma qui! Meno parole e più fatti”.

Non servirà è vero come piacerebbe al segretario Pd questa rinuncia a far nascere un governo se non sostenuto almeno non osteggiato dai grillini, come è altrettanto vero che la materia finanziamento pubblico andrebbe discussa e rivista in maniera organica e la semplice rinuncia non risolve il problema, ma quella firma sembra essere l’unica via d’uscita dal vicolo cieco in cui Bersani e il Pd si stanno infilando. La risposta “siamo pronti a discuterne purché la questione si leghi alla trasparenza” è musica per Grillo e i grillini, sono voti, altri, che dal Pd migrano verso i 5 Stelle eppure, Bersani, sembra non capirlo. Anche se non stupisce poi molto che il segretario non si accorga di questo, in fondo i risultati elettorali di appena una ventina di giorni fa testimoniano che l’attuale dirigenza democratica ha capito poco o nulla del fenomeno Grillo.

D’accordo o meno, firmare quella benedetta rinuncia è ormai una necessità più che una scelta. Necessità per Bersani anche per tentare di mettere un argine ed un freno a quella che sta assumendo i contorni della fronda interna. L’ex sfidante alle primarie Matteo Renzi predica da tempo la rinuncia ai rimborsi (“È dalla Leopolda che dico che va abolito il finanziamento pubblico ai partiti”, ricorda il sindaco di Firenze) e oggi, a maggior ragione, la sua posizione sta conquistando consensi nel Paese ma ancor più nel Pd.

Segnali, indicazioni e umori che Bersani & co. sembrano non percepire o che volutamente ignorano. La mano che la firma dovrebbe apporre sembra colta da un improvviso crampo che ne blocca il movimento. Congelata in uno stato immoto prodotto dall’ennesima ottima provocazione grillina che sembra aver colto in pieno il bersaglio. Bersani sta fermo e incassa un colpo dopo l’altro, non ce la fanno al Pd a capire che il no ai soldi pubblici oggi è il primo documento di identità da esibire come passaporto alla frontiera del consenso.

A voler però essere pignoli e in punta di legge, a stare alla forma e non alla sostanza, un appunto va mosso anche a quella che sembra la perfetta strategia di Grillo e Casaleggio. “Il Movimento 5 Stelle – scrive Grillo e abbiamo letto – rinuncia ai contributi pubblici, previsti dalle leggi in vigore”, ma a voler spulciare leggi e regolamenti in verità il M5S non ne avrebbe propriamente diritto. Recita infatti l’articolo 5 della legge n° 96 del 2012 dal titolo “Norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei medesimi”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 9 luglio dello scorso anno: “1 – I partiti e i movimenti  politici,  ivi  incluse  le  liste  di candidati che non siano diretta  espressione  degli  stessi,  qualora abbiano diritto ai rimborsi per le spese elettorali o  ai  contributi di cui alla  presente  legge,  sono  tenuti  a  dotarsi  di  un  atto costitutivo e  di  uno  statuto,  che  sono  trasmessi  in  copia  al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente  della  Camera dei deputati entro quarantacinque giorni dalla  data  di  svolgimento delle elezioni. L’atto costitutivo e lo statuto  sono  redatti  nella forma dell’atto pubblico e indicano in ogni caso l’organo  competente ad approvare il rendiconto di esercizio e l’organo  responsabile  per la gestione economico-finanziaria.

Lo statuto deve essere  conformato a principi democratici nella vita interna, con  particolare  riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e  ai diritti degli iscritti.  2 – I partiti e i  movimenti  politici,  ivi  incluse  le  liste  di candidati che non siano diretta espressione  degli  stessi,  che  non trasmettano al Presidente del Senato della Repubblica o al Presidente della Camera dei deputati gli atti di cui al comma 1, nel termine ivi previsto, decadono dal diritto ai rimborsi per le spese elettorali  e alla quota di cofinanziamento ad essi eventualmente spettante”. Cavilli certo, e anche il tanto sbandierato “non-statuto” dei 5 Stelle potrebbe valere come statuto e far rientrare il movimento di Grillo tra gli aventi diritto. Ma prima che a qualcuno appaia ovvio e naturale che una legge è tale solo se è scritta sul web, prima che un blog si trasformi nella testa di troppi in fonte legislativa, è anche il caso di essere pignoli e ricordare che la pessima e da cancellare legge sui soldi pubblici ai partiti c’è e vale per tutti, cittadini di Grillo compresi.