ROMA – Cinque settimane e neanche con l’aggiunta di una mezza, fino al tre di novembre e poi, se non si è fatto nulla, “una catena di fallimenti bancari”. “”Avete cinque settimane per salvare l’euro”: l’avvertimento, l’allarme, lo scongiuro, la maledizione o comunque preferite definirlo, viene dall’amministrazione Obama ed è rilanciato dal New York Times ma, a conti fatti, le settimane per salvare la moneta unica sono anche meno. La data-limite infatti, secondo gli Stati Uniti, è il G20 che si terrà a Cannes sotto la presidenza francese il 3 novembre prossimo, tra 30 giorni esatti, poco più di 4 settimane. Un mese scarso quindi per salvare l’economia dell’eurozona che, ogni giorno, incassa non cattive, ma pessime notizie. E’ di oggi (4 ottobre ndr) la stima di Goldman che prevede un 2012 senza crescita per l’Europa e addirittura di recessione per l’Italia. E intanto le Borse continuano a perdere pesantemente, tirate in basso principalmente dai titoli bancari, la belga Dexia lascia in questo momento oltre il 25% sul terreno, e slittano gli aiuti per la Grecia in attesa di nuove misure da parte del governo di Atene. Non certo un buon viatico per le cinque settimane cruciali per la sopravvivenza dell’euro.
Giulio Tremonti in Italia parla solo in apparenza un’altra lingua: dice che i conti sono in ordine e resteranno “sicuri anche in caso di crescita zero”, dice che l’Italia è forse “l’unico paese che avrà un avanzo primario”. Ma, difeso così il suo operato e quello del governo, allontanato per l’ennesima volta il calice dell’aumento generalizzato e massiccio dell’età pensionabile, Tremonti fa suo malgrado eco alle “cinque settimane” e anche meno. Dice: “L’epicentro della crisi è in Europa, il debito degli Stati e quindi le banche”.
La stima fatta dallo staff di Obama forse è pessimistica e forse è di parte, ma anche le previsioni fatte da Nouriel Roubini, economista di fama mondiale che, tra l’altro, per primo comprese i rischi che portarono alla crisi del 2008, sono tutt’altro che rosee. Secondo l’economista infatti, bene che vada, “anche se non andiamo forse incontro ad una nuova violenta recessione mondiale, il meglio che possiamo aspettarci è un lungo periodo di alta disoccupazione, per bene che vada debole crescita, e un alto potenziale di nuovi rovesci finanziari”. Roubini chiama tutto questo “Multipli dips”, cadute multiple.
Le notizie che arrivano intanto dall’economia europea non potrebbero essere peggiori. La decisione riguardo all’erogazione della sesta tranche di aiuti alla Grecia è slittata almeno fino a dopo il 13 ottobre, data in cui la zona euro avrebbe dovuto dare il via libera con un incontro ad hoc. Ma Atene, seppure non è ancora pronto il rapporto completo della Troika (Fmi, Bce, Ue) non rispetterà i target fiscali concordati per il 2012 e, anche per questo, dovrà “fare ancora di più” per i due anni successivi, come ammonisce il presidente dell’organismo Jean Claude Juncker che chiede nuove misure. Resta poi ancora aperta la definizione della dotazione del fondo salva stati Efsf di cui molti paesi vorrebbero accrescere la potenza di fuoco mentre la Germania, per bocca del suo ministro Wolfgang Schaeuble rileva come sia “prematuro” parlare di leverage, cioè di leva finanziaria capace di moltiplicare i 440 miliardi di dotazione del Fondo. Leva fa rima con debito e la Germania non vuol sentir parlare di altro debito.
E se la politica della finanza tentenna, i mercati non possono che far peggio sprofondando sempre più: a metà giornata Milano è a -2,8%, mentre Parigi e Francoforte perdono oltre il 3%. Appena meglio Londra. A spingere le vendite in Europa le auto e le banche. Per le prime pesano i dati sulle vendite di settembre: il peggior risultato dal 1996. Per le ultime la causa è, come è noto, la crisi greca: Atene scivola verso il default e sicuramente chiederà un ulteriore sconto alle banche, imbottite di titoli di Stato.
Fra gli istituti più in difficoltà Dexia, primo istituto di credito del Belgio, che ieri ha perso il 10% e oggi cede il 25%: in portafoglio ha ancora 21 miliardi di titoli di stato di Pigs e Italia. Dal cda è stato dato mandato all’amministratore delegato per studiare la cessione di asset.
Come sostengono americani e greci però, la crisi del paese ellenico non è l’unico motivo della crisi dell’euro. “Non siamo il capro espiatorio dell’euro”, ha detto il ministro Evangelos Venizelos prima di entrare alla riunione a Lussemburgo, e ci tiene a sottolineare che il Paese ha preso misure “necessarie e difficili” e che il budget per il 2012 è “molto ambizioso”. La crisi greca, vista dall’altra sponda dell’Atlantico, è invece al tempo stesso un diversivo e un’aggravante. Un diversivo, perché con un Pil pari al2% dell’eurozona “la Grecia non è il vero problema”. E tuttavia l’incapacità a circoscrivere e isolare questa crisi, imponendo una soluzione definitiva, contribuisce a incancrenire la sfiducia e a confermare l`impressione d’impotenza dell’eurozona.
Il Wall Street Journal fa i conti intasca alle banche europee, se arriva quel default della Grecia che i mercati considerano sempre più probabile, e che i ministri delle finanze europee smentiscono: “Gli istituti di credito europei avrebbero nei loro bilanci 50 miliardi di euro di titoli pubblici greci che a quel punto non varrebbero più nulla, in assenza di un accordo di ristrutturazione (che ne allunghi la durata e riduca i rendimenti, ma garantisca qualche percentuale di pagamento ai creditori, ndr)”. Moody’s Investor Service, un dipartimento dell’agenzia di rating, stima che in caso di “default ordinato”, cioè di ristrutturazione concordata, le banche dovrebbero rassegnarsi a perdere il 60% su quei titoli, cioè una perdita tripla rispetto al piano precedente che i leader dell’eurozona avevano concordato a luglio.
La Casa Bianca e Wall Street hanno in comune la stessa preoccupazione: “L’eurozona deve costruire una barriera anti-incendio attorno all’Italia e alla Spagna, prima di imporre perdite aggiuntive alle banche. Altrimenti una reazione di panico a catena colpirebbe Italia e Spagna, sfociando su una crisi globale del sistema bancario”. Cinque settimane, poi, se il New York Times ventriloquo di Obama ha ragione e se l’Unione Europea non stende cordone di sicurezza, davanti e nelle banche sarà fila di correntisti, una fila mossa e fatta grossa dal panico.
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