ROMA – Non sarà armato come l’Ottobre Rosso, il sommergibile di hollywoodiana memoria ma certo, l’ottobre che aspetta il Pd, sarà un mese tutt’altro che semplice.
Sarà il mese in cui si celebrerà il congresso dei democratici, quel congresso che dovrebbe gettare le basi per una ricostruzione sulle macerie di oggi, sulle ferite aperte e apparentemente insanabili delle ultime elezioni, delle votazioni per il Capo dello Stato, delle spaccature interne e delle alleanze di governo più che altro subite. Un Congresso che sarà durissimo e intenso come mai nella storia del partito ma che arriva almeno quattro mesi in ritardo rispetto alla velocità delle cose d’Italia e del mondo. Qualunque Ottobre sarà, sarà un Ottobre Lento.
Ad oggi, tre sembrano essere gli aspiranti segretari, sostenuti da altrettante diverse visoni del partito e del Paese: Sergio Chiamparino, sostenuto da Matteo Renzi e Walter Veltroni; Guglielmo Epifani, sponsorizzato da Pier Luigi Bersani, Enrico Letta e Dario Franceschini; ed infine, Gianni Cuperlo, sostenuto da Massimo D’Alema e dai “giovani turchi”.
“Se si creeranno le condizioni per dare una mano al centrosinistra, a prescindere dal ruolo, sono disponibile”, ha fatto sapere l’ex sindaco di Torino. Parole che, di fatto, a soli tre giorni dall’insediamento di Epifani nel ruolo di traghettatore, suonano a tutti gli effetti come una candidatura. Una figura, quella di Chiamparino, su cui si va formando un insolito asse nel Pd: il tandem Renzi-Veltroni. Coppia inedita questa ma potenzialmente molto forte in seno ai democratici. “Una convergenza su un’impostazione riformista incarnata da una leadership di una personalità che pure se non più giovane, appare come nuova”, ha commentato un veltroniano ripreso da La Stampa. “Ho sempre condiviso la sua idea di Pd – riferendosi a Chiamparino – e questa è una bella notizia”, ha detto invece il renziano Paolo Gentiloni. E che il sindaco di Firenze e i suoi apprezzassero l’ex sindaco di Torino non è un mistero, come stanno a dimostrare i 90 voti raccolti sul suo nome nella bagarre dell’elezione del Presidente della Repubblica. Ruolo per cui proprio Renzi aveva fatto il nome di Chiamparino.
Dall’altra parte, Guglielmo Epifani, forse involontariamente espressione e candidato dell’attuale segreteria. A sostenerlo sono infatti il segretario uscente, anzi ormai uscito, Bersani, il suo ex vice Letta insieme a Franceschini. Intorno alla figura dell’ex segretario generale della Cgil il Pd si era e si è ricompattato, ma indicandolo come traghettatore, come guida unitaria fino appunto al congresso di ottobre. In autunno sarà tutta un’altra storia e i nomi che lo sostengono, fino a ieri i dirigenti massimi, potrebbero rivelarsi controproducenti. Specialmente in relazione al necessario rinnovamento che i democratici devono mettere in atto per uscire dall’angolo in cui da soli si sono chiusi. Ne è probabilmente consapevole lo stesso Epifani che per ora si tira fuori dalla discussione, per quanto la sua scelta di rimanere alla presidenza della commissione Industria della Camera almeno sino ad ottobre, appaia rivelatoria.
Infine Giovanni “Gianni” Cuperlo, nome meno noto tra i non addetti ai lavori ma dalemiano di vecchia data. Su di lui, ovviamente, la benedizione di “baffetto” e, quasi conseguentemente, dei giovani turchi.
Questi i nomi che, a poco meno di 6 mesi dall’appuntamento congressuale, sono in lizza per la poltrona di segretario. Molto se non tutto potrà cambiare da qui ad ottobre, vista anche la capacità con cui ultimamente il Pd riesce a “bruciare” i suoi candidati a qualsiasi cosa. Certo l’elezione di un segretario dovrebbe essere cosa più semplice rispetto alla scelta di un Capo di Stato o a quella di un capo di governo, ma la probabilità che non sarà una scelta “pacifica” è forte.
Il tutto in un’Italia, in un Paese che non se la passa meglio di quanto non faccia quello che sino a tre mesi fa, sino alle ultime elezioni politiche, era seppur non di molto il primo partito. Il tempo delle prudenze – scrive Walter Veltroni nel suo nuovo libro – “è stato tagliato dai fatti”. Il rischio per il Paese è altissimo, ed è un rischio che la sinistra rischia di spianare e si chiama Weimar. “I partiti forti non esistono più”, continua l’ex segretario, che indica la necessità di trovare una leadership vera come una delle condizioni indispensabili per uscire da quello che è forse il peggiore momento vissuto dal Pd. La leadership è un punto centrale, la capacità di “mettersi contro, se necessario, anche parte delle proprie constituences elettorali”, avendo una indispensabile visione del Paese.
Quale che sia il nome ad incarnarla, dovrebbe questa leadership, almeno per il centrosinistra, uscire proprio dal congresso di ottobre.