Ladri al comando dei soldi pubblici. Tangenti? Ora ordinano opera e spesa

Massimo Carminati (Foto Ansa)
Massimo Carminati (Foto Ansa)

ROMA – La corruzione. Se c’è una cosa, un campo in cui gli italiani sono dei campioni e persino dei precursori assoluti, è questa. Forti poi di una tradizione millenaria in materia, siamo ora riusciti addirittura a reinventarla, portandola ad un livello superiore che, forse, mai si era visto nella storia dell’uomo. Sì, c’è un po’ di iperbole nel “forse mai visto nella storia”. Forse altre volte nella storia si è visto qualcosa da analogo. Di sicuro tutte le vole, pèoche, che qualcosa di simile si è materializzato ed è diventato regola e costume nei comportamenti di una società, di sicuro quelle poche volte è finita male, malissimo.

Forse proprio mai visto nella storia no, ma a questi livelli di osmosi tra legale e illegale difficilmente si è visto e si vede qualcuno arrivarci. Dice: ma sono decenni che si sa della corruzione intorno ad appalti, cantieri, opere e spese pubbliche. Decenni e decenni di tangenti e mazzette, cosa ci sarà mai di nuovo e di tremendo? C’è che tangenti e mazzette i ladri in grande di soldi pubblici non le esigono, le pagano. I ladri di soldi pubblici modello e stile Mafia-Capitale (ma anche in Lombardia, Sicilia, Veneto, Campania…) non taglieggiano la spesa pubblica, il cantiere, il ponte, l’appalto mensa o quel che sia deciso da altri. Non impongono il “pizzo”, non si prendono una fetta. Tutt’altro: ora i ladri di soldi pubblici comandano di cucinare la torta, ordinano sia fatta la spesa e l’opera pubblica. La tangente, la mazzetta la pagano loro, i ladri, ai politici, ai funzionari, ai professionisti a libro paga. Sono loro al comando della spesa pubblica, i ladri.

I ladri ordinano sia aperto un centro di accoglienza, oppure ripavimentata una serie di strade, oppure messo in sicurezza (si fa per dire) un argine di fiume. I ladri ordinano lo stanziamento, ne seguono l’iter di autorizzazione prima politico e poi burocratico. Quindi, acquisito il finanziamento, gestiscono in proprio o in forma di holding criminale il cantiere o la mensa o quel che sia. Magari ottenendo dallo Stato facilitazioni monetarie e simpatie politiche perché i ladri di soldi pubblici si sono dotati di cooperative. E, si sa, le cooperative sono materiale politicamente corretto.

Questo aver cancellato il confine tra legale  illegale, questo modello di produzione della spesa pubblica basato sulla spesa che nasce dalla corruzione, questo aver rovesciato il mondo antico dove la corruzione nasceva dalla spesa, questa è rivoluzione copernicana del furto.

Dalla corruzione classica, quella in cui ad una decisione di spesa pubblica seguono le pressioni di gruppi malavitosi pronti accaparrarsi in modo fraudolento le relative commesse, siamo ora passati ad un nuovo modello, ancora in attesa di nome e definizione, che ha in sostanza ribaltato lo schema. Come l’inchiesta ‘Mondo di mezzo’ ha rivelato, il modus operandi è stato infatti capovolto, non più criminalità a valle della decisione, politica, di spesa. Ma criminalità a monte, che la decisione prende ed impone per poi, con calma, mangiarci su.

“Il meccanismo di corruzione e di intimidazione rivelato dalle indagini in corso risulta – scrive Mario Deaglio su La Stampa -, infatti, di tipo nuovo, con scarsi o nessun precedente nei Paesi avanzati. Il ‘modello classico’ della corruzione ipotizza, infatti, che la corruzione stessa sia successiva a una decisione di spesa di un’autorità di governo.  A valle di questa decisione autonoma – di costruire un ospedale, uno stadio, un ponte, oppure di fornire o modificare un servizio pubblico – si concentrano le pressioni dei gruppi malavitosi per accaparrarsi le relative commesse, pressioni che vanno dalla corruzione all’intimidazione di chi deve assegnare i lavori. (Una variante è la concussione, ossia il procedimento inverso, con la richiesta di ‘tangenti’ da parte degli stessi funzionari). (…) Con le recenti vicende romane si è fatto, purtroppo, un passo in avanti. Come le cronache hanno illustrato, l’intervento corruttore-intimidatorio ha spesso preceduto e non seguito le decisioni dei politici: i mafiosi, in altre parole, dicono (impongono?) ai politici ciò che desiderano sia fatto. Decisioni apparentemente ‘virtuose’, come la costituzione di un campo per i Rom o interventi infrastrutturali degli enti locali, sono spesso diventati poco più che un veicolo per trasferire reddito dalle casse pubbliche a organizzazioni malavitose. Si spiegano così le opere fatte male e con materiali scadenti, gli argini che non tengono, le autostrade che si logorano troppo in fretta e via discorrendo. La corruzione, in sostanza non è un baco che dall’esterno si inserisce su una mela buona; la mela della spesa pubblica è già marcia al suo interno, quando è ancora sopra l’albero”.

Come diligentemente riporta il sito della Treccani, il termine ‘corruzione’ deriva dal latino corruptio -onis, derivato del verbo corrumpĕre. Prova evidente che già al tempo dell’antica Roma la pratica era nota. Ma come raccontano le opere e le orazioni di Cicerone non solo era nota ma anche diffusa, e diffusa anche ad alto livello coinvolgendo personaggi di primo piano dell’epoca. Ma la corruzione è pratica ancor più antica, tanto è vero che già il profeta Isaia se ne lamentava.

Radici antiche quindi, antichissime, che darebbero alla vera e propria rivoluzione recentemente scoperta lustro e prestigio, se non si trattasse di corruzione, quindi di furto, ruberia, intimidazione, violenza fisica e non. Copernico, in campi più nobili, capovolse il punto di vista e cambiò il mondo.

Massimo Carminati e i suoi sodali, e probabilmente non solo loro, hanno fatto altrettanto. Se le ipotesi investigative verranno confermate, il Guercio e gli altri di Mafia Capitale, saranno dei veri e propri geni e rivoluzionari, ma del male, del delitto, del ricatto.

Deaglio, nella sua riflessione, rileva come nella lotta alla corruzione “sdegno e azioni di contrasto non basteranno senza un altro tipo di cambiamento: accanto alle riforme giuridiche e a quelle amministrative, è indispensabile anche la ‘riforma’ delle coscienze, il recupero di una comune moralità pubblica che invece sembra sfuggita dalle nostre mani”.

Riflessione anticipata e condivisa dal premier Matteo Renzi che, nel suo videomessaggio in cui annunciava l’inasprimento delle pene e comunque un nuovo impegno nella lotta alla corruzione, sottolineava come queste saranno inutili “senza una rivoluzione culturale”. Quella rivoluzione che già Cicerone, 2mila anni fa, auspicava

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie