ROMA – Dialetto veneto seconda lingua, il cui uso sia libero e obbligatorio, il cui insegnamento sia pagato dallo Stato italiano. E’ una legge, fresca fresca, della Regione Veneto a trazione leghista. Nell’ indomabile, infinito, multiforme e inarrestabile blob creativo della politica e vita pubblica italiane in fondo non sorprende ci sia anche una legge così. Una legge che dichiara i veneti minoranza linguistica da tutelare con scuole di “veneto”, posti nella Pubblica Amministrazione riservati ai veneti…
Dialetto veneto e sia, da insegnare a scuola, da stampare su atti e cartelli pubblici. Sì, ma quale dialetto veneto? Ferdinando Camon, che veneto è, su La Stampa osserva: “in padovano ragazza è tosa, in veronese putela, al di là di Treviso mula…”. Un modo semplice quello di Camon per mostrare come il dialetto sia la lingua sì genuina del territorio ma che lo stesso territorio evolve, muta praticamente ad ogni valle e guado. E che quindi proclamare seconda lingua un dialetto è cosa altamente insensata.
In ogni regione, non certo solo in Veneto, cinquanta chilometri in qua o in là cambia il dialetto. E soprattutto dialetto locale e lingua italiana non hanno tra loro lo stesso rapporto che c’è tra, ad esempio, italiano e inglese. Italiano e inglese o tedesco o francese o russo o cinese sono due lingue. Il dialetto è…dialetto. Scrive Camon e ciascuno può constatare nella sua personale e familiare esperienza “non è sparito il dialetto, è sparito il mondo dialettale”, sparite gran parte delle cose materiali e immateriali che si denominavano e parlavano in dialetto. Proclama, ode e inno al parlar veneto come seconda lingua sono quanto meno ingenui, come voler trattenere nel pugno stretto un palmo d’acqua raccolta in mare.
Ma non c’è solo ingenuità e neanche solo politica. C’è talvolta stolidità, pericolosa stolidità dietro e dentro la retorica del “locale è bello e buono”. E complicità nel farsi danno da soli, talvolta non manca entusiastico autolesionismo. La legge asserisce che una “patente di veneticità” è il marchio di garanzia, di ogni garanzia. E’ una frase praticamente senza senso e un concetto fatto solo di sillabe e consonanti infilate a collana…Ma volendo prendere sul serio la “veneticità-garanzia” c’è qualcosa di altrettanto fresco della legge da osservare.
Due venetissime banche, fino a ieri e ancor oggi ad altissimo e indiscusso tasso di “veneticità”, due banche, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, fatte e gestite da veneti, per i veneti, nelle cui stanze e uffici probabilmente non mancava il veneto dialetto, queste due banche venete in cui i veneti stavano sicuri hanno scavato un buco, un fallimento, uno sperpero di 15 miliardi di euro veneti e messo nei guai 200 mila e passa risparmiatore e investitori veneti. Sì, certo, parlavano in purissimo veneto, erano le riconosciute “banche di territorio”. Sono in duecentomila e passa i veneti che, avendoci rimesso fior di soldi, preferiscono oggi avessero parlato altra lingua.