Elezioni: Web spopola il seggio, più navighi meno voti

di Riccardo Galli
Pubblicato il 19 Giugno 2015 - 12:53| Aggiornato il 29 Marzo 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Che senso ha impegnarsi per ridurre il “divario digitale” garantendo internet per tutti se questo provoca poi un “divario politico” tra ricchi e poveri? E l’interrogativo che tre ricercatori italiani si sono posti vedendo le conclusioni della loro ricerca. Ricerca che voleva indagare il possibile rapporto tra internet e il voto, e ricerca che ha scoperto che, più diffuso è l’accesso ad internet e più alta è la percentuale d’astensione alle elezioni.

I tre ricercatori – di cui racconta la storia Gabriele Romagnoli su Repubblica – sono italiani ma lavorano tutti all’estero, tra l’altro in prestigiosi atenei che sono una garanzia per l’attendibilità dell’indagine, e sono Tommaso Valletti e Alessandro Gavazza, a Londra, rispettivamente all’Imperial College e alla London School of Economics, e Mattia Nardotto, all’Università di Colonia.

“Credevamo che la Rete con la sua disponibilità di informazioni e opinioni creasse una nuova leva di cittadini più consapevoli e avidi di partecipazione – scrive Romagnoli -, vogliosi di votare sapendo bene per chi e che cosa farlo. Invece, anticipando il risultato finale: dato un incremento del 10% nell’accesso al web si registrerà un calo del 3,5% di elettori che si presentano al seggio”.

La ricerca dei tre italiani si basa sul caso inglese, ma è ritenuta valida universalmente, e non fa nient’altro che mettere insieme una serie di dati nient’affatto sconosciuti ma mai messi in relazione. Il primo è quello del ‘perché’ ci si connette ad internet, e non è certo una sorpresa scoprire che la risposta ‘per leggere siti d’informazione o informarmi sui candidati’ non è nemmeno sul podio, sovrastata dai social network, dai giochi e ovviamente dal porno. Non si naviga per informarsi dunque, o almeno non principalmente.

Ma “con la diffusione della banda larga – spiega ancore Romagnoli con un paragone decisamente calzante – è cambiato anche il quadro delle fonti da cui vengono tratte le notizie. La tv resta la prima (78%), seguita dai giornali (40%) e dalla radio (35%), ma il web è già la fonte primaria del 32%, praticamente un terzo dell’elettorato. Da un media all’altro però la rilevanza della politica è ben diversa. Se nei giornali occupa le prime pagine, grandi spazi interni, concede ogni giorno interviste ai protagonisti, è dunque il piatto di portata, con la tv diventa un contorno, anima i notiziari e i talk show, fa comparsate nei varietà, ma non domina affatto il palinsesto. Su internet arriva alla frutta. Nella cronologia degli accessi di un utente medio viene dopo il porno, il gossip, il bizzarro (non necessariamente in quest’ordine). Un coreano che balla “Gangnam style” è infinitamente più cliccato del presidente Obama che parla di relazioni internazionali”.

Ci sono poi i dati numerici, che dopo le motivazioni e dopo lo spazio concesso all’informazione nel web, fotografano quali sono i siti a cui ci si connette. Ed anche qui, come nella classifica del perché si accede, l’informazione e l’informazione politica non sono ai primi posti. E dulcis in fundo, l’elettore medio che si connette ad internet molto più facilmente per vedere un porno, giocare ad un videogioco o cercare delle scarpe ad un prezzo conveniente (non sono solo gli uomini ad usare la rete), in diversi casi commentando sui vari social, blog e quant’altro sente di aver fatto il suo dovere di cittadino, come e più che recandosi al seggio.

A questa analisi si potrebbe aggiungere, sotto forma di postilla, un’eccezione italiana. Eccezione che è rappresentata dal M5S ed eccezione che è tale perché, sostanzialmente, è questo il primo partito che è nato nel web. In questo caso l’equazione ‘più navigazione uguale più astensione’ probabilmente non vale anche se, del web i cinquestelle non portano solo il nuovo ma anche i limiti.