Sprechi sanità: 3 miliardi di etichette fantasma sulle ricette

ROMA – Alzi la mano chi sa cosa sono le etichette “salva privacy”? Nessuno, vero? Dal 2005 ad oggi delle suddette etichette ne sono state stampate circa 3 miliardi e mezzo. Stampate dalla zecca e pagate con soldi pubblici. E mai utilizzate. Anzi, pardon, in questi sette anni ne sono state utilizzate, si stima, circa un migliaio. Gli altri tre miliardi 499 milioni 999 mila sono finite al macero o, nel migliore dei casi, sulle buste dei surgelati.

Ma cosa sono, a cosa servono queste etichette sconosciute ai più? Le cosiddette etichette “salva privacy” servono, come è facile intuire, a tutelare la privacy dei cittadini. Per l’esattezza di quanti ricevono dal medico una prescrizione, una di quelle rosse con cui si comprano i farmaci o si effettuano analisi. Sulla prescrizione, l’etichetta, dovrebbe essere applicata sopra il nome del paziente, celandolo a chi la ricetta riceverà. Ma non è tutto. L’etichetta è composta da due strati, il primo rimovibile, in modo che in caso di necessità si possa svelare l’identità protetta. Buttate. Tutte.

Il tagliando “salva privacy” viene prodotto, come detto, dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ed è sempre fornito insieme alle ricette. Lo prevede il decreto legislativo in materia di protezione dei dati personali del 30 giugno 2003 (il numero 196), divenuto operativo però dal 2005. L’utilizzo sarebbe previsto su richiesta del paziente. Ma nessuno lo chiede. E probabilmente in pochi sanno che potrebbero. E neppure un medico lo usa. Ergo, è inutile. Come inutili e buttati sono i soldi spesi per stampare le etichette, impacchettarle, distribuirle e poi smaltirle.

Le etichette rientrano a pieno titolo nella nutrita categoria degli sprechi di Stato in materia di sanità. Certo il loro costo rispetto ai miliardi di euro che la sanità italiana divora sono poco più che un goccia nel mare, ma pur sempre di qualche milione di euro almeno si tratta.

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