Copri i miei debiti, decidi sulla mia spesa. L’ultimo scambio del treno Europa

(LaPresse)

ROMA – Lo scambio è in testo scritto, solo parole ma almeno nero su bianco. Lo scambio sono sette/otto paginette redatte sotto la regia di Mario Draghi, Manuel Barroso, Herman Van Rompuy, Jean Claude Junker, paginette fitte di incisi e rimandi, paginette soppesate perché possano essere digerite da Angela Merkel e Francois Hollande, paginette astute e prudenti nel linguaggio e nell’arrivare al punto. Però al punto ci arrivano, appunto allo scambio. Che all’osso e alla sostanza è questo: ti ci metti la garanzia sui miei debiti, non tanto quelli passati quanto quelli futuri, quelli che devo fare per forza per vivere e sopravvivere e in cambio puoi controllare, prima che diventino leggi, le mie leggi di spesa. E se quelle leggi non vanno, se spendo troppo, quanto è quel troppo sei anche e soprattutto tu a deciderlo. Se insisto a spendere mi puoi multare, anzi mi puoi addirittura obbligare a rifarle le mie leggi di spesa se sono di troppa spesa. Ciascun paese dell’Unione Europea può essere domani, se lo scambio passa, quel “tu”. Ciascun paese può essere il controllore e il garante dell’altro, anzi tutti i paesi dovrebbero cedere sovranità all’Unione. Nessuno potrebbe farsi la legge sulle pensioni o sulla cassa integrazione che gli pare. Ciascun paese potrebbe essere quel “tu” che garantisce e in cambio controlla, ma oggi quel “tu” significa Germania.

Pochi giorni fa Angela Merkel cancelliere tedesco aveva detto: “Non posso come governo tedesco dare soldi direttamente alle banche spagnole, è come mettere la mia carta di credito in mano a persone che non posso controllare, neanche vedere l’estratto conto”. Lo scambio dovrebbe rispondere a questa obiezione della Merkel: gli “estratti conto” di Italia, Francia, Spagna, Olanda, Portoglallo, Grecia…insomma tutti saranno in mano all’Unione che potrà anche “bloccare” il conto o almeno far pagare robusta penale se ognuno spende come gli pare. Basta alla Merkel come garanzia per garantire anche i debiti altrui. I quattro estensori della proposta di scambio non lo sanno per cento, come per certo non sanno se il neo eletto socialista, francese e nazionalista, Francois Hollande sia poi davvero disposto non solo a farsi controllare i conti ma anche le leggi (hanno appena riportato l’età pensionabile a 60 anni per i lavoratori precocissimi, quelli che hanno iniziato ben prima dei 20 anni di età). E non sanno se i sistemi politici degli altri paesi, tra cui ovviamente l’Italia, reggerebbero a questa clausola: in Italia prima o poi si vota e chi andrà in campagna elettorale dicendo di essere d’accordo, anzi dicendo che la cosa migliore da fare è smetterla di spendere in nazionale autonomia?

Lo scambio può non piacere o essere lasciato cadere sia dalla Germania che dalla Francia, come anche nei fatti dall’Italia post Monti o da qualunque altro paese che voglia conservare la piena sovranità di bilancio e spesa. Ma, se lo scambio non  parte, allora niente “Fondo di redenzione”, cioè quel meccanismo per cui sulle emissioni di titoli di Stato sopra il 60 per cento di debito pubblico eccedente il Pil di ciascuna nazione la garanzia diventa europea. Quindi niente respiro lungo per i debiti sovrani. E niente fondo taglia spread oltre una certa banda di oscillazione, quindi affanno fin quasi alla sincope sul debito a breve. Di possibile c’è solo lo scambio e, se non piace e non scatta, il piano B è solo la ritirata, l’evacuazione dall’euro più o meno ordinata.  Tra due giorni appena sarà il giorno della verità.  Dal  vertice di Bruxelles o uscirà in sì allo scambio e quindi fiducia ai mercati e dei mercati per una nuova fase di integrazione continentale, oppure a casa andremo tutti: tedeschi, italiani, spagnoli…

La coincidenza di termini, l’omonimia tra la moneta unica e il torneo di calcio continentale, gli scontri non solo calcistici tra le nazionali di paesi impegnati ormai da qualche anno in un costante tira e molla di politiche finanziarie, aiuti, spread, ha dato diversi spunti anche divertenti per raccontare la crisi. Ma di divertente c’è poco. E anche se giovedì sera saremo tutti, italiani e tedeschi, compresa la cancelliera Merkel, di fronte alla tv per tifare l’una o l’altra squadra, ben più attenzione dovremmo porre a quello che accadrà a Bruxelles.

A 48 ore dall’inizio del vertice i mercati soffrono. Ieri, 25 giugno, Milano è stata ancora una volta la peggiore d’Europa, ma come spesso accade era in buona compagnia. Gli spread, soprattutto quelli italiani e spagnoli, si mantengono sopra il livello di guardia ed è arrivato l’ennesimo declassamento da parte di Moody’s per diversi istituti finanziari iberici. Oggi, 26 giugno, le borse tentano quello che si definisce “rimbalzo”, cioè dopo l’ennesima giornata nera cercano di recuperare qualche briciola. Ma nelle aste dei titoli di Stato spagnoli e italiani la situazione è evidente: Bonos, Btp e Ctz si piazzano, si vendono ma a tassi sempre più alti che il debitore che contrae prestito, cioè gli Stati appunto, devono pagare. Permane, si fa addirittura stabile una situazione sui mercati che prestissimo sarà insostenibile per Madrid e presto anche per Roma: al 6/7 per cento è questione di settimane non potersi più rifinanziare, al 5/6 per cento è questione di mesi, per anni non si regge certo. Dunque senza misure forti che devono uscire dal prossimo vertice il destino sembra segnato.

Sul cammino che porterà giovedì a Bruxelles ci sono alcune tappe intermedie. Tappe che devono servire a preparare il terreno, limare gli spigoli in modo che giovedì si sia pronti ad un accordo. Già oggi i ministri delle Finanze di Germania, Francia, Italia e Spagna si riuniranno a Parigi e, all’incontro, parteciperà anche il commissario europeo agli Affari Economici e Monetari Olli Rehn, mentre per l’Italia ci sarà il viceministro dell’Economia Vittorio Grilli. Domani invece, sempre nella capitale francese, il presidente Francois Hollande riceverà la cancelliera Angela Merkel per un incontro bilaterale che servirà anch’esso a preparare il Consiglio europeo.

Ai “soliti noti” poi, dopo che nella mattinata di lunedì la Spagna aveva formalizzato la richiesta di aiuti ai partner dell’area euro per soccorrere le sue banche, nella serata di lunedì si è aggiunta Cipro, che invece ha chiesto un salvataggio dello Stato vero e proprio (e che peraltro si è vista declassare i titoli di Stato a livello “spazzatura” dall’agenzia Fitch).

Ma cosa deve, dovrebbe o si spera che esca dalla riunione di questo fine settimana? Federico Fubini lo spiega sul Corriere della Sera: “L’area euro vive i giorni estremi di un negoziato in cui il lieto fine non è scontato, al contrario: l’inerzia tende nel senso di una rottura. Il collasso della fiducia fra Paesi spinge alla disgregazione, solo la paura delle conseguenze porta tutti a cercare una risposta. Merkel soprattutto offre un’unione bancaria, con un’unione fiscale e politica, dunque implicitamente una messa in comune (parziale) del rischio sul debito. Ma in contropartita, poiché la fiducia fra governi è rimasta sotto le macerie di questi anni, la cancelliera chiede meccanismi di controllo centrale su ciò che succede in ogni Paese dell’area euro. Sui temi vitali delle banche, del debito e del bilancio – tasse, spesa, welfare – i singoli Stati potrebbero fare ben poco contro l’avviso di Bruxelles. Quanto emerso fin qui del rapporto sul tavolo dei leader europei al vertice di questa settimana, ne dà un’idea chiara: una delle ipotesi (indicata ieri dal Financial Times) è che Bruxelles possa emendare la manovra di un Paese che ha un debito o un deficit eccessivi.Il rapporto sarà presentato ai leader dal presidente della Bce Mario Draghi, da quello del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, e dai loro pari grado della Commissione José Manuel Barroso e dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. In base alla proposta, non solo la finanziaria di uno Stato dai conti in disordine sarà esaminata in Europa prima ancora di approdare nel parlamento nazionale: sarebbe anche di fatto riscritta a Bruxelles, sotto minaccia di multe se non si adegua. (..) Da Parigi si chiede che il controllo europeo sulle banche nazionali, da affidare alla Bce, non si limiti ai grandi istituti ma includa le Landesbanken tedesche controllate dai politici locali. Da Berlino si chiede invece che, in un’unione fiscale, sia impossibile mettere in comune parte del debito se un Paese alza l’età della pensione a 67 anni, mentre un altro la abbassa (anche per pochi) a 60. Sono tutti elementi di negoziato”.

Tutti elementi di un negoziato che però sino ad ora è andato avanti troppo lentamente, con la crisi che ha superato i tempi della politica che è chiamata ogni giorno che passa a scelte sempre più “hard”. Le misure che infatti sarebbero forse bastate appena un anno fa per recuperare la situazione, sono probabilmente oggi insufficienti. Rimandare, prendere tempo è una politica che l’euro non si può più permettere.

 

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