PARIGI – Hervé Pierre Gourdel, l’ultima vittima del fanatismo religioso che si trasforma in macelleria, era uno di noi. E non nel senso del suo essere occidentale, europeo o francese. Ma molto più semplicemente perché era solo un turista amante della montagna che, per le sue vacanze, aveva scelto un paese dell’Africa mediterranea. Come a molti di noi è capitato nella vita.
E se Gourdel era un di noi, cosa che giustamente o meno ci fa sentire un po’ meno sicuri, c’è un altro “noi” che sul tema del terrorismo islamico ci dovrebbe preoccupare. Ed è quel “noi” che George Bensoussan pronuncia nella sua intervista a La Stampa per dire che “oggi in Europa ci sono centinaia di assassini potenziali: il pericolo è tra noi”. E’ questo il secondo “noi” preoccupante. “Noi” vittime e pericolo tra “noi”. Due “noi” diventati all’indomani dell’omicidio del 55enne francesi molto più reali di quanto credevamo.
“Il terrore ha compiuto un grande balzo – scrive Bernardo Valli su Repubblica -. Non è più soltanto nella valle del Tigri e dell’Eufrate. Si è avvicinato all’Europa. L’avvertimento inquietante arriva dall’altra sponda del Mediterraneo, dall’Algeria, dove Hervé Pierre Gourdel, un alpinista francese di 55 anni, sequestrato mentre viaggiava tra gli altipiani della Cabilia, è stato decapitato. (…) La decapitazione del pacifico viaggiatore nizzardo, che ha pagato con la vita l’amore per la montagna, fa pensare che quelle minacce lanciate da lontane province possono concretizzarsi a due passi da noi. Non perché lo Stato islamico abbia il braccio tanto lungo da poter agire a migliaia di chilometri di distanza, ma perché l’azione dei gruppi terroristi stimola l’emulazione”.
“Stavolta, e per la prima volta – gli fa eco Massimo Gramellini su La Stampa -, a venire macellato come simbolo dell’Occidente è una persona che passava di lì per motivi suoi. (…) E anche se né a me né a voi verrebbe mai in mente di scalare montagne infestate da tagliagole, è impossibile non avvertire la sensazione che al suo posto avrebbe potuto esserci uno di noi”.
Il ritratto dell’ultima vittima della jihad, un signore di mezza età, amante della montagna, rapito mentre era in vacanza in un paese che molti occidentali hanno visitato o pensato di visitare in passato, ha inevitabilmente colpito le coscienze e l’immaginario specie di noi europei. La possibilità di finire nella mani di uomini incappucciati, armati di kalashnikov, imbevuti di fanatismo e pronti a sgozzare uomini come fossero bestie è diventata, dopo la brutale esecuzione di Gourdel, immediatamente più concreta.
Ma se “noi” possiamo molto più facilmente sentirci vittime o potenziali tali dell’intolleranza religiosa e del fanatismo di alcuni, c’è un altro spettro che diviene ogni giorno più concreto. Uno spettro che compare tra le righe e l’analisi di Bernardo Valli: “Il califfato, con ‘capitale’ a Raqqa – scrive Valli -, nel Nord della Siria, ha militanti provenienti da tanti angoli del mondo, Europa compresa, e quindi dispone di uomini che possono agire al rientro nei paesi di residenza. Questo è un pericolo reale di cui tutte le forze di sicurezza occidentali sono consapevoli”.
Ed uno spettro che viene descritto in tutta la sua potenza da George Bensoussan, storico della Shoah, intervistato da Domenico Quirico. Sta nascendo un nuovo totalitarismo, dice a La Stampa: “Quello islamista che divide tra i puri e gli impuri, tra i credenti e gli eretici. (…) E poi c’è il fattore demografico, (…) una parte della gioventù dell’immigrazione musulmana in Europa costituisce un potenziale pericolo”.
Il nemico tra noi quindi, e non solo noi come vittime. “Non siamo allo scontro Stato contro Stato – conclude la sua analisi Bensoussan – siamo nel quadro di un conflitto asimmetrico: come nel 1939 non sono le armi che mancano, è la determinazione politica ad usarle. Era il senso dell’impegno di Churchill quando disse: ‘Voi avete voluto evitare la guerra e ora avrete la guerra e in più la viltà’. Siamo nello stesso scenario di allora”.
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