ROMA –La Grande Follia: un paese dove si vota in sette modi diversi, sette modi di votare che stanno per diventare nove. Non è un film la Grande Follia, non è opera di fantasia. E’ la cronaca nuda e cruda di un paese chiamato Italia. Mentre La Grande Bellezza film vince l’Oscar raccontando Roma, a Roma c’è la grande follia realtà. Quella follia per cui oggi, in Italia, esistono ben 7 sistemi elettorali differenti, tutti rigorosamente in vigore, e quella follia per cui, con la riforma elettorale, quei sistemi potrebbero lievitare sino a 9. Una follia di per sé ma che potrebbe persino contenere una follia all’interno della follia. Esiste infatti la concreta possibilità che nonostante il profluvio di sistemi elettorali, il risultato che si otterrebbe sarebbe comunque l’ingovernabilità.
Mattia Feltri su La Stampa e Michele Ainis sul Corriere della Sera raccontano, da prospettive differenti, questa pazzia tutta italiana. Ma cominciamo facendo un breve elenco dei sistemi elettorali attualmente in vigore, tecnicamente 7 più 1.
Il primo è il sistema elettorale per l’elezione del Parlamento Europeo: proporzionale puro con sbarramento al 4%.
Il secondo è quello per i Comuni al di sotto dei 15mila abitanti: elezione diretta del sindaco con turno unico, premio di maggioranza per chi prende più voti pari al 66% dei seggi e ballottaggio solo in caso di parità.
Il terzo è in vigore invece nei Comuni con più di 15mila abitanti: anche qui elezione diretta del sindaco ma con ballottaggio fra i primi due se nessuno supera al primo turno il 50% più 1 dei voti. Chi vince prende il 60% dei seggi.
Il quarto sistema è valido per l’elezione dei consigli provinciali: stesse regole applicate ai grandi Comuni ma con l’aggiunta del voto di preferenza e listini bloccati.
Quinto il sistema elettorale dei consigli regionali: elezione diretta del presidente con turno unico, quattro quinti dei seggi attribuiti col proporzionale e un quinto al presidente eletto, più clausola di governabilità che assegna il 55% dei seggi alla maggioranza.
Sesto il sistema elettorale per l’elezione del consiglio regionale della Valle d’Aosta: un proporzionale con possibile ricorso al ballottaggio, ma solo in alcuni casi, e assemblea che eleggerà il presidente.
Settimo il pacchetto di norme valide per l’elezione del consiglio regionale trentino: elezione diretta del presidente, premio di maggioranza più varie ed eventuali.
Sin qui le norme attualmente in essere, anche se manca ancora quel “più 1” indicato poco sopra e che altro non è se non il Porcellum “monco” uscito dalla sentenza della Corte Costituzionale. Non è tecnicamente una legge ma, in teoria, se si dovesse votar domani si ricorrerebbe a quello.
Fin qui la follia già in vigore, già applicata. Perché 7 leggi differenti, sarebbe lecito domandarsi. Ma il legislatore, evidentemente non pago, ne sta per varare almeno un’altra se non altre due. La prima è l’Italicum, sistema discutibile ma almeno apparentemente ragionevole, anche se nasconde non poche insidie tra le sue pieghe. Sistema che però potrebbe essere applicato, se venisse approvato un emendamento in tal senso, il famoso Dattorre, solo alla Camera dei Deputati. E se così fosse per il Senato della Repubblica, in attesa dell’abolizione o di una legge ad hoc, ecco ricomparire il Porcellum post sentenza. Per un totale, appunto, di 9 leggi elettorali per un unico Paese.
Tra queste nove leggi quella che sarebbe in vigore per la Camera di natura sostanzialmente maggioritaria, quella per l’elezione del Senato di natura fondamentalmente proporzionale. E’ la bella pensata firmata D’Attorre che va a scalzare la pensata precedente firmata Lauricella (entrambi della sinistra Pd e qualcosa la circostanza vorrà pur dire). Secondo l’emendamento Lauricella, una primizia planetaria, si fa una nuova legge elettorale che però contiene dentro se stessa una clausola: la legge non vale. Non vale fino a che il Seanto non è stato abolito, cambiato, chissà…Una legge elettorale con dispositivo di auto annullamento che garantisce che non si vota. Una legge elettorale il cui scopo e successo è non votare. Complimenti vivissimi alla vis democratica della sinistra Pd. E poi al posto del Lauricella ecco l’emendamento D’Attorre: si fa la legge elettorale ma vale solo per la Camera. Se si vota, per il Senato si vota con la legge di prima tagliata dalla Corte Costituzionale. In sostanza: maggioritario alla Camera, proporzionale al Senato. Ainis lo chiama “maggiorzionale”.
Perché la sinistra Pd fa così, perché escogita cavilli e impicci alla nuova legge elettorale? Perché fa il lavoro di Alfano? Alfano e i piccoli partiti non vogliono una legge elettorale maggioritaria ma soprattutto non vogliono andare a votare. Non nel 2014, non nel 2015, possibilmente…mai. E, se si dovesse prima o poi andare a votare (nel 2018 tocca per forza) Ncd, centri e centrini ma anche Lega e Sel vogliono un sistema elettorale fatto in modo che i loro voti, pochi o tanti che siano, risultino non solo rappresentati ma indispensabili per governare o non governare. Già, ma perché la sinistra Pd? Per tanti motivi: la voglia di mantenere i gruppi parlamentari Pd attuali il più a lungo possibile (due terzi sono bersaniani e dintorni), la voglia di dar fastidio comunque a Renzi, la voglia mai spenta di coalizioni modello “Unione”. Come che sia, è la sinistra Pd che fa il lavoro duro di Alfano e inventa il modo di arrivare a nove sistemi elettorali in un solo paese.
“Proviamo allora a raccontarla – scrive Ainis -, questa ‘Storia della follia’ che meriterebbe la penna di Foucault. Tutto comincia con l’accordo Renzi-Berlusconi sul doppio turno eventuale: se superi un determinato tetto incassi il premio di maggioranza, altrimenti ballottaggio fra le due coalizioni più votate. È l’Italicum, ed è un sistema — almeno sulla carta — ragionevole. (…) Sennonché il diavolo s’annida nei dettagli. In questo caso i dettagli sono numeri, e numeri impazziti. Un premio troppo basso (52% con il 37% dei suffragi), che lascia l’esecutivo in balia di 6 deputati. Tre soglie diverse (12%, 8%, 4,5%) per le coalizioni, per le liste coalizzate, per i partiti che corrono da soli. Deroghe per le minoranze linguistiche, deroghe per la Lega Nord, però nessuna deroga se il voto si spalma sulle schede come una marmellata elettorale. Può ben succedere, in fondo è già successo: siamo l’Italia dei mille campanili. E dunque se il fronte di minoranza conterà un solo partito in grado di superare la boa dell’8%, quest’ultimo intascherà il 48% dei seggi: tombola!
Se il fronte di maggioranza verrà presidiato da una coalizione di 11 partiti (quanti ne imbarcò l’Unione di Romano Prodi nel 2006), se nessuno degli 11 sforerà il 4,5%, mentre tutti insieme sommeranno il 37%, il risultato in seggi sarà zero tagliato. E, via via, potremmo esercitarci a lungo su questo manicomio elettorale. T’aspetteresti che l’esercizio lo svolgano pure lorsignori, invece no: discettano, rimuginano, almanaccano su come scrivere la legge elettorale senza scriverla. Da qui l’emendamento Lauricella, che ne subordina l’entrata in vigore alla riforma (ipotetica e futura) del Senato. Più che una legge, una promessa di matrimonio; vatti a fidare. Da qui — ed è storia di ieri — l’emendamento D’Attorre, che circoscrive l’Italicum alla sola elezione della Camera. E il Senato? Lì rimarrebbero in vigore le regole di adesso: un proporzionale puro. (…) Morale della favola: è ragionevole diversificare, è irragionevole contraddire. Si può adottare, per esempio, un maggioritario con sistemi differenti: alla Camera con il premio, al Senato con i collegi uninominali. Si può scegliere un proporzionale variando le soglie minime d’accesso nelle assemblee legislative. Ma non si può decidere per un ‘maggiorzionale’, non si possono trattare le due Camere come se appartenessero a due Stati lontani. Per rispetto del buon senso, se non anche del buon senno”.
In più, se andasse a finire con Italicum alla Camera e Porcellum “monco” al Senato si otterrebbe lo splendido risultato di avere, di nuovo, un sistema che potrebbe generare una non-maggioranza, cioè due diverse maggioranze in due diversi rami del Parlamento. Esattamente come accadeva col Porcellum che tutti vogliono superare e che nessuno ha superato ma che la Corte ha bocciato. Se non è questa grande follia… Conclude, anzi comincia Ainis: “Nel 1978 la legge Basaglia ha chiuso i manicomi. Riapriteli di corsa: c’è un matto pericoloso da internare. E’ il legislatore schizofrenico…La prova del seme della follia: il doppio emendamento alla legge elettorale…”. La Grande Follia, appunto.
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