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Marò: e se ci rapiscono l’ambasciatore? L’India agli aeroporti: non deve partire

di Riccardo Galli |6 Ottobre 2022 19:13

NEW DELHI – E se ci rapiscono l’ambasciatore? E’ ancora un paradosso…o quasi. Per ora le autorità indiane l’ambasciatore italiano lo tengono sostanzialmente in ostaggio. Sì, in ostaggio: hanno avvertito i loro aeroporti di non far partire l’ambasciatore, neanche fosse inseguito da un mandato di cattura internazionale. Se ci rapiscono l’ambasciatore… Quella che sembrava un’ipotesi relegata nell’universo dell’impossibile o quasi sta diventando sempre più una mezza realtà. È di oggi la notizia di una circolare inviata dal ministero dell’Interno indiano a tutti gli aeroporti del paese con l’indicazione di una restrizione imposta dalla Corte Suprema all’ambasciatore d’Italia Daniele Mancini: obbligato a non lasciare il Paese fino al 19 marzo. Se non è rapimento o sequestro, momentanei si spera, poco ci manca. O meglio, ci manca solo che l’ambasciatore italiano provi a forzare la mano, andando all’aeroporto nel tentativo di partire, e che venga qui fermato.

La partita che si sta giocando in queste ore in India riguardo alla vicenda dei due marò Girone e Latorre somiglia molto da vicino ad una partita di poker. Dopo la decisione di non rimandare nel subcontinente indiano i due militari accusati di aver ucciso per errore due pescatori scambiati per pirati, il governo di Nuova Delhi ha prima formalmente protestato. Protesta avvenuta per vie rituali compreso lo stop alla partenza del nuovo ambasciatore indiano in Italia che doveva presentarsi a Roma oggi. E protesta che è poi continuata per vie irrituali con il divieto di lasciare il paese per l’ambasciatore italiano Mancini almeno sino al 19 marzo prossimo, data entro cui il diplomatico dovrebbe fornire chiarimenti in merito alla vicenda marò alla Corte Suprema Indiana.

Gli accordi internazionali stabiliscono però che nessun diplomatico accreditato possa subire simili limitazioni, a meno che non sia lui stesso a sottomettersi di sua volontà alla legislazione del paese in cui è ospite. Mancini ovviamente ha immediatamente comunicato che tale decisione presa nei suoi confronti non l’accettava, eliminando quindi questa ipotesi. Come in una partita di poker alla mossa indiana ha risposto l’ambasciatore italiano. Ma come in ogni partita è arrivato oggi il rilancio del governo di Nuova Delhi, rilancio che si è reificato nella circolare indirizzata agli aeroporti.

La prossima mossa spetta ora all’Italia e a Mancini. Se e quando dalle carte e dalle dichiarazioni si passerà alle vie di fatto si scoprirà chi è che bluffa. Se Mancini si presenterà in un aeroporto con l’intenzione di partire e sarà bloccato, significherà che l’India non bluffava. E sarà questo un gesto parente di un atto di guerra nei confronti dell’Italia. L’inviolabilità dei diplomatici accreditati è infatti garantita dalla Convenzione di Vienna e riconosciuta dal diritto internazionale. E nemmeno in tempo di guerra i diplomatici dei paesi ostili vengono tratti in arresto o posti in stato di fermo. Finché invece Mancini non proverà a vedere sino a che punto gli indiani facciano sul serio, la partita rimarrà a carte coperte.

Come si sia potuti giungere a questo punto è un percorso che non fa onore né all’Italia né all’India. Il comportamento tenuto dai giudici e dal governo indiano nei confronti dei due marò è infatti fortemente discutibile. Dopo un anno di detenzione ancora non è stato formato il tribunale che li dovrebbe giudicare e molte delle questioni giurisdizionali sono rimaste inevase. Il governo indiano ha poi respinto qualsiasi tentativo di mediazione diplomatica. L’Italia dal canto suo, seppur formalmente rispettando il diritto internazionale, si è tecnicamente rimangiata la parola data, cosa che non depone certo a nostro favore.

Una gestione quindi infelice della vicenda. Pur rimanendo giusto e condivisibile che ogni Stato difenda e tenti di difendere i propri cittadini, l’Italia ha scelto la forma forse peggiore. Il Corriere della Sera paragona l’atteggiamento indiano a quello tenuto dall’Iran post scià nei confronti degli americani. E gli statunitensi sono noti per andare molto meno per il sottile, in casi simili attrezzano un commando di truppe speciali che recupera i cittadini a stelle e strisce, alcune volte gli è andata bene e altre male. Altri Stati e altre potenze prediligono il dialogo alle luce del sole accompagnato dalla minaccia della forza sottobanco. Noi italiani, per raggiungere un fine comunque condivisibile, cioè la salvaguardia di due nostri concittadini se non ingiustamente certamente per troppo tempo rimasti senza processo detenuti, abbiamo mostrato il nostro lato peggiore. “Tranquilli fateli venire a votare, poi ve li rimandiamo…” e poi, parafrasando Albertone: “Indiani…prrrrrrrr”.

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