Michele Liguori eroe di Chernobyl Acerra: cancro come medaglia al valor civile

I funerali di Michele Liguori (ansa)
I funerali di Michele Liguori (ansa)

ACERRA – Nella Chernobyl campana il cancro è una specie di medaglia al valor civile. Un riconoscimento nessuno vorrebbe portare ma che in molti indossano e che per due volte è stata appuntata sul corpo dell’unico vigile che in quella terra cercava giustizia: Michele Liguori, il vigile urbano, unico componente della sezione ambiente, che per anni ha cercato di fare il suo lavoro e tutelare la sua terra e i suoi abitanti.

“Ma lei che lo amava aspettava il ritorno d’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà se accanto nel letto le è rimasta la gloria d’una medaglia alla memoria”, cantava Fabrizio De André ne “La ballata dell’eroe”. Versi pensati per un soldato morto in guerra. Ma versi adatti anche per il vigile Liguori che esattamente questo era: un soldato impegnato in una guerra per di più solitaria. Una guerra combattuta contro il nemico ma anche contro quelli che dovevano essere i suoi amici. Combattuta contro chi ha avvelenato la terra con i rifiuti tossici per anni e contro chi, invece di controllare, aiutava questi criminali.

Liguori ricorda, ora che è morto e che la sua storia è diventata d’esempio e nota, un po’ il soldato di De André e un po’ quel soldato giapponese che, per quasi trent’anni, rimasto senza ordini, continuò la sua guerra nella giungla filippina. Abbandonato il vigile di Acerra come e anzi di più del giapponese. Il soldato del sol levante, negli anni ’70 fu recuperato e portato a casa. Il suo superiore dell’epoca lo convinse che la guerra era finita e lui poté tornare ad una vita normale, anche di discreto successo.

Michele Liguori invece non è stato recuperato, quelli che avrebbero dovuto essere i suoi superiori non solo lo hanno abbandonato, ma hanno anzi remato contro di lui. La politica, o almeno parte di questa, era in combutta con i trafficanti di rifiuti, così come alcuni dei vertici e non solo delle forze dell’ordine che nella zona operavano. Di Michele si è cominciato a parlare solo ora che è morto. Prima, quando tentava di far rispettare la legge, nessuno si è ricordato di lui. Quando veniva emarginato, umiliato, la sua storia non era esemplare, non era da raccontare. E la colpa è anche un po’ di chi fa il nostro mestiere.

Qualche trafiletto, qualche racconto sulle pagine locali per Michele e nulla più. Pochi giorni prima di morire però Michele ha raccontato la sua vita a La Stampa.

“I camorristi l’avevano soprannominato in modo sprezzante: ‘O’ vigile chiatto co à barb’ – racconta Niccolò Zancan -. Era l’unico fuori dal giro. L’unico che non serviva per fare affari con i rifiuti tossici. ‘Lui non ha mai offerto coperture’ ha dichiarato il pentito Pasquale Di Fiore, a proposito di Michele Liguori. (…)

‘Il mio lavoro non è servito’, dice il vigile urbano Michele Liguori con un filo di voce scura. Il suo letto è imbottito di coperte. Ha un ciondolo con un crocifisso appeso alla flebo. La moglie Maria, sempre al suo fianco. Per sette anni, è andato a vedere ogni fuoco e ogni sversamento. ‘Un giorno è tornato con le suole che si squagliavano sul pavimento della cucina – racconta la signora Liguori – non so dove avesse camminato, ma le scarpe erano letteralmente in decomposizione. Un’altra volta ha perso la voce all’improvviso. Certe notti lo annusavo sconcertata, trasudava odore chimico, puzzava di pneumatici bruciati’. Il vigile Liguori scattava fotografie, stendeva rapporti. Denunciava. Chiedeva aiuto. Nell’epicentro del disastro, lui era l’unico agente della sezione ambientale di Acerra, il che rende l’idea. Ma per due anni è stato addirittura spostato ad aprire la porta del castello del paese, perché era considerato ‘troppo zelante’.  Alla fine, è tornato sul campo di battaglia, a respirare veleni per altri due anni, dal 2011 al 2013. In perfetta solitudine. ‘A maggio si fece giallo di colpo – racconta Maria Liguori – prima si pensava fosse la colecisti, poi scoprimmo i tumori’.

E’ una donna con un sorriso dolce e disperato. ‘Sappiamo che in paese molti sono felici di questa nostra tragedia, abbiamo provato a scappare. Ma ai concorsi, Michele arrivava sempre secondo’. Il vigile Liguori si rigira a fatica, ha un lampo di rabbia negli occhi lenti: ‘Questa è la terra di mio padre e di mio figlio – dice – non potevo far finta di non vedere. A me i vigliacchi non sono mai piaciuti’. Per lui nessuna indennità, ovviamente. Neppure una telefonata di ringraziamento. E se volete verificare da vicino perché l’Italia è un Paese perduto, venite qui con in mano le sentenza del Tribunale di Napoli, Sesta sezione penale, sul caso Acerra.  Vi si racconta del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Curcio, comandante della ‘locale stazione’. Scriveva i verbali al posto degli avvelenatori, per non scomodarli inutilmente. Avvisava di ogni controllo, insabbiava le denunce dei cittadini onesti. Sono stati sversati rifiuti tossici persino nel parco archeologico. Hanno rimpinzato le fosse comuni dei guerrieri sanniti con scarti di fonderia. Piombo e denaro. Tonnellate di banconote della zecca, destinate al macero, sono state seppellite qui. Con amianto, materiali gassosi che innescavano fiammate improvvise, vecchi telefoni a rotelle della Sip, liquami delle industrie del Nord. (…)

Acerra è un perfetto laboratorio italiano. Per i fratelli Pellini il reato di disastro ambientale è stato prescritto. E anche la condanna in primo grado per traffico di rifiuti illeciti rischia di cadere in prescrizione in appello. Il maresciallo Curcio, seppur condannato, gira per il paese a testa alta. Mentre gli unici due operai dell’impresa di smaltimento fanghi, che avevano avuto il coraggio di raccontare con quali sostanze preparassero il cemento, non vivono più. ‘Sono stato massacrato di botte – ci racconta uno di loro – ho il cancro. Ho paura per me e per i miei figli. Voi giornalisti del Nord dovete lasciarci stare’.  (…)

‘E’ andata così – dice Liguori – la gente vede quello che succede, ma non vuole impicciarsi. Non capisce che per colpa dei veleni moriranno anche i nostri figli’. La flebile luce del tramonto filtra nella camera dell’agonia. Le persiane sono ricoperte di una patina nera collosa. I limoni in giardino non danno più frutti. Alle cinque del pomeriggio, gli occhi del ‘vigile zelante’ si chiudono per la fatica. ‘Tornassi indietro, non lo so. Non lo so se lo rifarei’.

Michele è un eroe. Ma non aveva alcuna voglia di esserlo. “Tornassi indietro non so se rifarei le stesse cose”, ha detto. Ma in un mondo fatto di criminali e vigliacchi a volte, come nel caso del vigile di Acerra, si è costretti a diventare eroi. Quando invece si sarebbe voluto solo e semplicemente una vita semplice. Senza rifiuti tossici e, magari, senza cancro.

 

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