Matrimoni gay, il brutto vizio di gridare “arbitro cornuto”

di Riccardo Galli
Pubblicato il 28 Ottobre 2015 - 11:55 OLTRE 6 MESI FA
Arbitro cornuto

Nozze gay, il brutto vizio di gridare “arbitro cornuto”

ROMA – “Arbitro cornuto!” è un grido che nel nostro Paese echeggia in lungo e in largo, dai campetti di periferia sino alle Aule parlamentari. Ed è un grido con cui si commentano le azioni e bollano gli arbitri di qualsiasi tipo, dagli allenatori che provano a dirigere i calciatori in erba sino ai giudizi costituzionali passando, e questa è cronaca, per i magistrati del Consiglio di Stato.

Un grido che prima di essere uno sfogo è una forma mentis, immatura nella capacità di accettare una qualsivoglia decisione che non corrisponda alle aspettative di questo o di quel soggetto, che caratterizza praticamente tutta la società italiana: dalla cosiddetta ‘gente’ sino a quella che si ritiene classe dirigente e che alberga a destra come a sinistra.

Il riferimento di cronaca è la sentenza di ieri del Consiglio di Stato che ha bocciato i registri per le trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’estero istituiti da alcuni sindaci, Roma e Milano in testa, ed la bufera mediatica che si è scatenata su uno dei componenti del suddetto Consiglio: il giudice Carlo Deodato. “Giurista, cattolico, sposato e padre di due figli. Uomo libero e osservatore indipendente di politica, giurisdizione, costumi, società”, si definisce Deodato sul suo profilo twitter, profilo che diventa particolarmente importante perché è questo se non la causa almeno il veicolo dello scandalo evocato.

In molti, a partire dai cosiddetti movimenti per i diritti Lgbt, subito dopo la sentenza hanno urlato allo scandalo, all’arbitro cornuto appunto, perché attraverso il sito di microblogging Deodato aveva espresso in più occasioni la sua vicinanza a posizioni come quelle dei movimenti per la vita, in sostanza posizioni ultra-cattoliche. Ma a parte un eventuale ragionamento sull’opportunità di cinguettii di questo tipo da parte di un giudice, non si vede la colpa del giudice stesso o quantomeno il motivo per cui il suo pensiero inficerebbe la sua capacità di giudizio. Come sancisce infatti la Costituzione italiana, ma anche come stabilisce la Carta dei Diritti dell’Uomo e come ogni essere vivente dotato di senno sa, il pensiero è libero e ognuno è libero di avere il suo. Sta poi casomai all’etica del singolo chiamato a decidere far sì che il proprio pensiero non condizioni i giudizi che è chiamato a prendere in veste di arbitro (e torniamo al cornuto) imparziale, ma certo non è la presenza di un pensiero all’interno di una testa a rendere la testa incapace di giudizio.

A levare gli scudi sono state ieri le associazioni per i diritti dei gay. Ma se, consentiteci il paradosso, Deodato fosse stato gay e la sentenza opposta a quella che è stata, a protestare sarebbero stati allora i movimenti per la vita e Giovanardi sostenendo, di fatto, che un gay non è imparziale. E allora i movimenti che si dicono per l’estensione dei diritti civili alle coppie omosessuali stanno oggi sostenendo che, altrettanto di fatto, un cattolico praticante non può essere imparziale. Si può non essere d’accordo ma essere comunque imparziali, ma questo in Italia sembra non essere un concetto digeribile. In una giravolta e un avvitamento concettuale e di posizioni che fa perdere di vista quella che è la vera questione: l’Europa chiede, e chi scrive condivide come una fetta d’Italia, che il nostro Paese debba dotarsi di uno strumento giuridico che regoli la convivenza di coppie non sposate che siano omosessuali o no. Che ci sia un vuoto legislativo è un fatto. Come è un fatto che il vuoto legislativo va colmato dal legislatore, cosa che i sindaci sino a prova contraria non sono. Di questi aspetti pochi per non dire nessuno parlano ed hanno parlato ieri, limitandosi, specie nel campo degli scontenti, a prendersela con l’arbitro.

Poco e nulla hanno di che bearsi poi quelli che ieri hanno festeggiato la sentenza, perché il grido di arbitro cornuto e la motivazione della critica e dell’indignazione è esattamente la stessa che a parti pressoché diametralmente invertite invocava chi puntava l’indice contro i magistrati ‘comunisti’ che attaccavano Silvio Berlusconi. Le famigerate ‘toghe rosse’ colpevoli di essere iscritte a Magistratura Democratica e per questo, secondo i fan dell’ex cavaliere ed anche secondo il Berluska stesso, non imparziali ed anzi smaccatamente di parte.

Un popolo ed un giudizio maturi dovrebbero avere la capacità di accettare le decisioni che non sono in linea con le proprie aspettative, ma allo stadio come in Parlamento è sempre l’arbitro ad essere corrotto, ladro, baro, cieco, cornuto e via dicendo. Sempre sino a che non concede alla nostra squadra un bel rigore, naturalmente. Ancora una volta si registra, si manifesta, si evidenzia una inconsapevolezza e rifiuto della funzione stessa dei Tribunali, inventati dall’umanità per porre termine, sia pur momentaneo alla lite e alla disputa. Ancora una volta una incapacità collettiva di accettare un giudizio “terzo”, ancora la prova di una immaturità civile, col paradosso che oggi affiora sulle labbra dei difensori dei diritti civili.