Peccato mortale della sinistra di D’Alema: le Regioni. 20 staterelli rissosi da abolire

di Riccardo Galli
Pubblicato il 21 Novembre 2014 - 11:59 OLTRE 6 MESI FA
Peccato mortale della sinistra di D'Alema: le Regioni. 20 staterelli rissosi da abolire

Massimo D’Alema

ROMA – Istituite nel lontano 1948 e diventate realtà solo 22 anni dopo, le Regioni italiane sono state trasformate nella seconda metà degli anni ’90 in veri e propri mini-stati capaci di produrre e dar vita al peggio della politica italiana. Un peccato, quella della trasformazione delle regioni in “staterelli”, come li definisce Goffredo Buccini sul Corriere della Sera, che grava su quello che all’epoca era il presidente del Consiglio e che pensò, con la riforma, di poter mettere a tacere e ridimensionare il “problema” Lega: ovvero Massimo D’Alema.

“Ci sono vent’anni di politiche delle regioni da rottamare”. All’indomani delle piogge che hanno colpito Genova e, più in generale, semisommerso il nord-ovest del nostro Paese, il premier Matteo Renzi ha immediatamente puntato il dito contro le regioni e i relativi governi locali rei di non aver messo in atto politiche di prevenzione e cura del territorio capaci di mettere in sicurezza le zone da loro amministrate. Ma se molte delle colpe indicate dal premier ricadono effettivamente sui governi locali, anche se non tutte ad onor del vero perché è innegabile che anche Roma ha, su questo punto, delle mancanze, non sono queste le colpe maggiori delle suddette regioni e non è questo che ne fa delle realtà da abolire o, quantomeno, rivedere profondamente.

Come ricorda Buccini, “quasi tutti i governatori eletti nel 2010 sono stati spinti, se non costretti, alle dimissioni; trecento consiglieri regionali sono finiti sotto inchiesta”. E anche le due regioni chiamate alle urne domenica prossima, Calabria ed Emilia Romagna, amministrare una dal centro destra ed una dal centro sinistra, hanno visto i loro presidenti farsi da parte a seguito di problemi con la giustizia.

E poi come non ricordare il caso Fiorito, il famigerato “Batman” della regione Lazio, e quello delle mutande verdi del governatore Cota. E ancora il caso ‘pc’ della giunta Storace, la gestione della sanità in Basilicata, appalto praticamente di una singola famiglia, e la Sicilia, con la sua struttura di amministrazione pubblica capace, per costi e dimensioni, di competere con quella di Washington.

“A metà anni ’90 – ricostruisce Buccini -, Umberto Bossi aveva in mano una ghiotta golden share dopo aver ribaltato il governo Berlusconi; e la sinistra allora d’alemiana prima concepì il leghismo come una propria ‘costola’, poi abbracciò l’ossimoro del federalismo a Costituzione invariata con la legge delega 59 firmata da Bassanini nel 1997 e un massiccio trasferimento di risorse nel nome della sussidiarietà, quindi tramutò nel 1999 i presidenti delle regioni in ras locali facendoli eleggere direttamente dal loro popolo; infine mise mano al titolo V della Costituzione nel 2001, creando venti piccoli stati, venti sanità diverse, venti idee di turismo in conflitto tra loro, venti centri di spesa e sperpero dei nostri soldi”.

D’Alema, primo ministro dalla fine del ’98 a metà del 2000 porta, insieme a quelli che lo sostennero, buona parte della responsabilità di questa scelta. Frutto di un’idea e una volontà chiaramente non sua ma di Umberto Bossi ma da D’Alema avallata e portata a divenire legge.

Oggi, a tre lustri dalla riforma, è sotto gli occhi di tutti il fallimento dell’impresa: inchieste, alluvioni, elezioni continue, astensione sempre più diffusa sono solo alcuni degli aspetti che lo certificano. Non che la devoluzione e il decentramento siano mostri capaci di produrre solo storture. Ma così come sono stati pensati, e soprattutto interpretati nel nostro Paese, solo questo hanno fatto.