Pensione 2014: si va con almeno 62 anni di età e 42,5 di contributi, donne 41,5

Pensione: per andarci nel 2014 quanti anni di età (62) e di contributi (42)
Pensione: per andarci nel 2014 quanti anni di età (62) e di contributi (42)

ROMA – Contributivo o retributivo, d’anzianità o di vecchiaia. Tante e diverse le variabili in tema pensioni ma, in sostanza, la domanda che si pongono in molti è: “ma io quando posso andare in pensione?”. La risposta 2014 (ogni anno si cambia) è: 62 anni di età e 42 e mezzo di contributi (41 e mezzo per le donne) se si vuole quella che nell’era pre Fornero si chiamava pensione di anzianità. Altrimenti, limitandosi alla sola età e andando in pensione di vecchiaia, la risposta è: per gli uomini 66 anni e 3 mesi, per le donne lavoratrici dipendenti 63 e 9 mesi.

Entrati nel 2014 sono scattate le nuove soglie per il raggiungimento dell’età pensionabile. Per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia, cioè quelle che guardano all’età anagrafica del pensionando, le nuove soglie sono i 66 anni e 3 mesi per gli uomini e i 63 e 9 mesi per le donne dipendenti. Mentre per il gentil sesso che fa lavoro autonomo il traguardo è a quota 64 anni e 9 mesi.

Anno nuovo requisiti nuovi anche per le pensioni d’anzianità, cioè quelle che tengono conto solo degli anni di contributi versati e non di quelli dell’anagrafe. In questo secondo caso il traguardo da raggiungere per i maschietti è quello dei 42 anni e 6 mesi di contributi versati e 41 e 6 mesi per le donne. Occorre però avere almeno 62 anni di età anagrafica, altrimenti scattano penalizzazioni sull’importo dell’assegno.

Entrambi i requisiti, rispetto agli anni passati, hanno fatto un nuovo scatto in avanti. Nel 2013, per le pensioni di vecchiaia, la quota da raggiungere per gli uomini era di 66 anni e 3 mesi ma, nel 2012, il traguardo era a quota 66 netti. Se nel passaggio dal 2013 al 2014 agli uomini è andata relativamente bene, peggio vanno le cose per le donne, specie per le dipendenti. Per loro, l’anno scorso, la quota d’uscita era a 62 anni e 3 mesi, un anno e mezzo prima di quanto non sia quest’anno mentre, nel 2012, si arrivava alla pensione a 62 anni secchi. Per le lavoratrici autonome stesso o quasi trend di crescita: 63 anni e 9 mesi nel 2013 e 63 anni e 6 mesi nel 2012.

Sul fronte anzianità invece, gli uomini, hanno visto innalzarsi l’obiettivo da raggiungere dai 42 anni e un mese del 2012 sino ai 42 e 6 mesi di quest’anno, passando per i 42 anni e 5 mesi dell’anno passato. Stesso identico percorso seguito dai requisiti validi per le donne.

Viste le quote, proviamo a tradurle in parole. Stabilito che l’età anagrafica da raggiungere è sempre più alta, e crescerà con l’aspettativa di vita, sempre più difficile è anticipare. Se fino al 1995 per il pensionamento anticipato bastava raggiungere i 35 anni di contributi indipendentemente dall’età, ora ne occorrono più di 42, e per non incorrere nella riduzione dell’assegno finale bisogna anche avere compiuto almeno 62 anni di età. Qualora si andasse in pensione prima di aver compiuto i 62 anni, per la quota retributiva (per l’anzianità maturata sino al 2011), subirebbe una riduzione pari all’1% per ogni anno di anticipo; percentuale che sale al 2%, per ogni anno di anticipo che supera i 2 .

Brutte notizie poi anche dall’indicizzazione. Dopo il blocco di due anni voluto dalla riforma Monti-Fornero, con l’anno nuovo torna in campo l’adeguamento al costo della vita per le pensioni superiori a 1.486 euro lordi al mese (3 volte il minimo), un ritorno però in forma limitata che andrà oltre i 2.973 euro lordi (6 volte il minimo). Insomma aumenti magri, anche perché nel 2013 il tasso d’inflazione è stato relativamente basso. Con la legge di Stabilità 2014, fermo restando l’adeguamento al 100% per le pensioni fino a 3 volte il minimo, si scende al 95% per i trattamenti fra 3 e 4 volte; al 75% per gli importi compresi fra 4 e 5 volte; e al 50% per quelli superiori a 6 volte. A quelle d’importo superiore a questo limite viene offerto un piccolo contentino di 14,70 euro, che il maxiemendamento ha voluto inserire all’ultima ora per timore che annullando la perequazione si rischiava una pronuncia di incostituzionalità. Le riduzioni, riguardano l’intero assegno e non solo la parte eccedente la soglia garantita.

Assieme all’indicizzazione è tornato però anche il contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro che la scorsa estate la Corte costituzionale aveva cancellato. Questa volta sarà del 6-12% sugli importi superiori a 6.936 euro lordi al mese (91.251 euro all’anno). Il contributo viene riproposto per finanziare un sussidio a favore dei più poveri, motivazione che dovrebbe consentire, secondo il Governo, di superare eventuali nuovi giudizi di costituzionalità. Il contributo è fissato nel 6% per la parte di pensione compresa fra 14 e 20 volte il minimo (91.251 – 130.359 euro lordi annui), che sale al 12% sugli importi fra 20 e 30 volte il minimo (130.359 – 195.538 euro lordi annui) e al 18% sulle quote oltre 30 volte.

 

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