Pensioni anzianità contro statali, la Lega mette il dito sulla faglia

Umberto Bossi (Lapresse)

ROMA –Non tutte le pensioni di anzianità sono figlie dirette di spreco o privilegio e non tutti i pensionandi per anzianità sono furbetti della previdenza. Ben quattro sono i veri genitori della pensione di anzianità, quella per cui si esce dal lavoro con assegno di pensione indipendentemente dall’età anagrafica cui invece è legata la pensione di vecchiaia. Il primo genitore è di natura sociale, economica e industriale: si andava a lavorare nelle fabbriche e aziende, soprattutto del Nord, a neanche venti anni e, dopo 35 anni di lavoro, anche se si era lontani dai 60 anni di età, arrivava ed arriva la pensione di anzianità. Ai tempi la misura fu voluta soprattutto dal Pci, concessa dalla Dc e l’Italia ebbe, unica in Europa, appunto le pensioni di anzianità. Una forma indiretta di risarcimento sociale per il lavoro operaio.

Il secondo genitore venne più tardi, con la ristrutturazione industriale: le aziende, con l’accordo di tutti i governi, accompagnavano e talvolta accompagnano ancora, i lavoratori in esubero verso la pensione. Una risposta indiretta e obliqua alla disoccupazione. Il terzo genitore è di natura geografica, ed è qui che interviene la Lega, una Lega che arriva dopo: i pensionati e pensionandi di anzianità sono soprattutto nel Nord Italia e la Lega si comporta come un grande “sindacato territoriale”. Il quarto genitore, il più vispo, è il deficit di coraggio politico e di verità sociale: le pensioni di anzianità costano e se si vuole mantenerle considerandole socialmente giuste, allora qualcuno deve pagarle perché a debito e a deficit non si possono pagare più.

La Lega, così come la Cgil, la Cisl, la Uil e almeno mezzo Pd per non parlare di Vendola, le pensioni di anzianità le giudica intoccabili. Gli altri non dicono se non confusamente chi debba pagarle, la Lega l’indice lo ha puntato, lo ha fatto puntare nella lettera di Berlusconi all’Europa, sugli statali, i dipendenti pubblici, popolo, sinonimo e simbolo dell’Italia del Centro e del Sud. Poco turn-over, mobilità, riduzione di personale: con queste proposte la Lega mette il dito su una faglia sociale, una faglia tellurica tra opposti territori geografici e sociali appunto. Reazione nervosa, appunto da “sindacato territoriale” quella della Lega. Ma individuazione di un problema negato e nascosto. Il problema è che se uno lavora 35 anni e va in pensione a 58/59 anni di età, quel che ha versato di contributi gli garantisce 16/17 anni di assegno pensionistico. I restanti 7/8 anni di pensione percepita, sette/otto anni per fortuna assicurati dall’allungamento della vita media, sono a carico…

A carico di chi? Del bilancio dello Stato, della collettività. della fiscalità generale. Chi fino ad ieri, fino ad oggi quegli anni li pagava e li metteva in conto al deficit e debito pubblico. Ora non si può più e quindi, se si vogliono mantenere le pensioni di anzianità, occorre avere l’onestà contabile e politica di dire a carico di chi? Dei proprietari di case con una nuova Ici? Degli altri pensionandi estendendo a tutti e subito il sistema contributivo per calcolare appunto la pensione? Dei contribuenti con una patrimoniale?

L’Europa ci ha chiesto, per tentare di risanare i nostri disastrati conti, di mettere mano al sistema pensionistico. Tema difficile da affrontare, terreno scivoloso che “costa” certamente in termini di voti ma, di fronte al vero e proprio ultimatum inviatoci dall’Europa, anche Berlusconi si è reso conto della necessità e dell’improrogabilità della riforma. Chi invece non ne vuole sentir parlare sono la Lega ed Umberto Bossi. Forse qualcosa cederanno, tentati magari dalla possibilità di “rifarsi” sugli statali (del sud ovviamente), ma qual è il motivo di tanta intransigenza da parte dei leghisti sul tema pensioni?

“Perché due terzi delle quasi 4 milioni di pensioni di anzianità che oggi l’Inps paga finiscono al Nord. La Lombardia da sola ne conta poco meno di un milione, anche se è il Piemonte la Regione dove i pensionati giovani anziani sono più concentrati: ce ne sono oltre 100 per ogni 1000 abitanti. In altre parole, un piemontese su dieci ogni mese incassa l’assegno di pensione anticipata, istituita nel lontano 1965. La media italiana è di 63,2 pensionati anticipati. In fondo alla classifica c’è la Campania, dove ce ne sono solo 23,4 ogni mille abitanti”. O almeno questa è la risposta che dà la Stampa. Gianfranco Fini poi, a Ballarò, ha anche aggiunto una nota familistica sulla difesa delle pensioni portata avanti dalla Lega, ricordando che la stessa signora Bossi fa parte delle cosiddette baby-pensionate, avendo smesso di lavorare come insegnante a soli 39 anni.

A dire il vero non è la Lega l’unica a difendere le pensioni, al suo fianco ci sono i sindacati anche se, ovviamente, il peso nella trattativa che hanno Bossi e compagni non è paragonabile a quello dei sindacati, non va infatti dimenticato che senza Bossi il governo non esiste più.

Le pensioni di anzianità sono in larga parte concentrate al Nord, e questo per due motivi “storici”. Al Nord, da sempre, è concentrata l’industria italiana e, anche se non mancano i pensionati-baby che vengono dal mondo del lavoro autonomo, la prestazione pensionistica di anzianità è faccenda che riguarda in primo luogo il mondo del lavoro operaio. Una volta, almeno fino a tutti gli anni ’70 e parte degli anni ’80, la condizione normale per un giovane proletario era questa: finita la scuola dell’obbligo, si andava a lavorare in fabbrica, cominciando a lavorare a 15 anni di età ed ecco che a soli 50 anni di età, dopo sette lustri alla catena di montaggio, si riusciva a raggiungere i famosi 35 anni che davano diritto al pensionamento. Sempre nel decennio ’70-80 poi, su questa realtà, si è innestata la grande ristrutturazione industriale, con l’espulsione di centinaia di migliaia di lavoratori e la chiusura di molte fabbriche.

Anche in questo caso, con l’appoggio dei governi di allora e con l’esplicito gradimento degli imprenditori e delle loro associazioni, e certo con il favore dei sindacati e dei dipendenti interessati, si utilizzò lo strumento del prepensionamento e delle pensioni di anzianità come ammortizzatore. Due fenomeni che hanno avuto come teatro il più industrializzato nord Italia, e di cui le pensioni pagate oggi sono figlie.

Questa la genesi del fenomeno che ora Bossi e suoi difendono. E per difenderlo chiedono, come merce di scambio, una “punizione” per gli statali che, di contro, sono più numerosi al sud. Pensionati e pensionandi del Nord contro statali del Sud quindi, questa la nuova linea di frattura che si sta animando in questa trattativa. La punizione consisterebbe, stando a quanto trapela dalle trattative in corso tra il Senatur e Berlusconi, nell’estensione del discusso articolo 8 al comparto statale, o persino nella riduzione degli stipendi. Ipotesi, per ora, che però vanno anche loro nella direzione indicata dall’Europa che ha chiesto all’Italia anche “una significativa riduzione del costo del pubblico impiego”.

Per chi Bossi e i suoi parteggino tra pensionati del Nord e statali del Sud è noto e persino ovvio. Dimentica però il Senatur che le pensioni di anzianità sino ad oggi si sono pagate a debito, cosa che oggi non si può più fare per un motivo molto semplice, sono finiti i soldi ed è finito il credito. Se le pensioni si vogliono quindi difendere e mantenere, bisognerebbe indicare anche chi le paga. Ammesso e non concesso quindi che non mettere mano alle pensioni sia giusto, Bossi e i suoi dovrebbero dire come intendono finanziarle. Quello che è importante è indicare quella che si definisce la copertura finanziaria, troppo facile dire “non si toccano” senza specificare come.

E poi, visto che le pensioni d’anzianità sono nate per far fronte a due situazioni specifiche e, in larga parte, superate dal tempo, il lavoro in fabbrica e la ristrutturazione del sistema, fino a quando è sensato e fino a quando si vuole tenerle in vita? Questi fenomeni sono in esaurimento, non a caso oggi molti dei 150mila pensionandi che accederanno alla pensione d’anzianità vi arriveranno grazie al riscatto degli anni trascorsi all’università o quelli del militare. Riscatto che per un periodo è stato gratuito o quasi e che ora si paga salatamente, ma che è comunque una cosa diversa rispetto al lavoro in fabbrica o alla ristrutturazione industriale.

A margine ma non proprio a margine, ultimo ma non proprio ultimo: sarà sempre troppo tardi il giorno in cui parlamentari ed eletti nei governi locali prenderanno una pensione secondo le regole di tutti gli altri e verrà tolto loro l’istituto del “vitalizio” sganciato dall’età anagrafica, dai contributi versati e perfino dal cumulo con altre pensioni e vitalizi-

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