Pensioni hanno già dato. Salvate il soldato assegno, dal blocco danni permanenti

pensioniROMA – “Le pensioni non si toccano” ha detto il premier Matteo Renzi rispondendo, nei fatti, al commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Commissario che aveva suggerito l’ipotesi di imporre “un contributo temporaneo di solidarietà sui trattamenti più elevati a beneficio della fiscalizzazione degli oneri per i lavoratori neoassunti”. Ma le pensioni, più che non si toccano, hanno già dato. Hanno dato con Monti e la Fornero, e hanno dato con Dini e Prodi, come avevano dato con Maroni ed Amato.

Hanno dato sotto forma di contributi straordinari e sotto forma di blocchi ripetuti alla indicizzazione, sotto forma di età pensionabile e di sistema di calcolo dell’assegno pensionistico. Hanno dato e ridato perché sembrano essere, le pensioni e i pensionati, la riserva di caccia cui attingere per far quadrare i conti. Aveva, è vero ma molto tempo fa, l’Italia un sistema pensionistico insostenibile dal punto di vista dei costi. Lo aveva ma è riuscita, incredibilmente è il caso di dire, a diventare un modello per il resto d’Europa. Ora, il nostro sistema di pensioni, è giudicato uno dei più sostenibili per i conti, e questo la dice lunga su quanto i pensionati abbiano dato.

Eppure, i pensionati come i lavoratori dipendenti, essendo quelli se non gli unici che hanno redditi certi ed ancor più certamente tassabili, sono le categorie cui ci si rivolge per risolvere i problemi con più velocità e facilità: Ma, oltre alla valutazioni di opportunità, sono diventati questi, soggetti non più in grado di dare.

“Non c’è nulla da fare. Quando occorre reperire le risorse le pensioni vengono considerate una sorta di serbatoio di sicurezza – scrive Domenico Comegna sul Corriere della Sera -. (…) Proviamo a ripercorrere gli ultimi anni di sacrifici che in qualche modo i pensionati hanno dovuto sostenere nel nome dei conti pubblici. Dall’innalzamento dell’età pensionabile alla decurtazione vera e propria degli assegni. L’ultimo intervento, in ordine di tempo, è quello della riforma Fornero, che consentirà di risparmiare qualcosa come 93 miliardi di euro. Prima c’erano stati Amato, Dini, Maroni, Prodi. Le riforme previdenziali sono state probabilmente gli interventi che più hanno consentito di tenere l’Italia a galla. Bisogna tenere conto che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, come avveniva un tempo. Ma solo all’inflazione (e in modo parziale). In vent’anni, insomma, gli assegni Inps hanno visto scendere il loro potere d’acquisto. Non va dimenticato che le pensioni oltre i 1.500 euro erano già state congelate dal 2011 dal governo Monti e per ben due anni non sono state adeguate al carovita. Il blocco di due anni, però, comporta una perdita che si ripercuote per decenni e sterilizza gli effetti moltiplicativi degli adeguamenti (non si prendono gli aumenti sugli adeguamenti).

La cosa che fa più danno è il ripetuto blocco delle indicizzazioni, cioè dell’adeguamento sia pur molto parziale dell’assegno all’inflazione. Il blocco produce danni sull’entità dell’assegno che restano permaneti per tutta la vita, del pensionato e della pensione.

La cosa che fa più discutere è il solito prelievo sulle solite ‘pensioni d’oro’. Si tratta di un contributo temporaneo. E’ scattato il primo gennaio scorso e prevede un prelievo del 6% per le pensioni da 7.020 euro fino a 10.027, del 12% per le pensioni comprese tra i 10.027 e i 15.041 euro e del 18% per le pensioni oltre i 15.041 euro. Indubbiamente c’è un po’ di confusione, ne vogliono mettere un altro di contributo o si sono dimenticati di averlo già imposto?.

Cottarelli assicurava comunque che l’eventuale contributo avrebbe risparmiato l’85% dei pensionati, questo significa che il limite per il prelievo poteva scendere per chi incassa un assegno di poco superiore ai 2 mila euro lordi. Secondo i dati Inps riferiti al 2012 (ultimi disponibili) le pensioni fino a tre volte il minimo (1.443 euro al mese nel 2014) insomma, sarebbero le pensioni d’argento e anche quelle di bronzo. E pensare che i pensionati italiani sono tassati molto di più dei loro colleghi del resto d’Europa. Da un recente studio della Confesercenti risulta che su una pensione pari a 1,5 volte il minimo (752 euro al mese), il 9% se ne va in tasse, contro zero euro nel resto del continente. Su una pensione di tre volte il minimo (1.500 euro mensili) il divario è ancora maggiore: 20% da noi, 9,5% in Spagna, 5,2% in Francia e addirittura 0,2% in Germania. Sono davvero questi i ricchi o i pensionati d’oro ai quali chiedere altri sacrifici di fronte a una spesa pubblica che supera gli 800 miliardi?”.

Ovviamente no, non sono questi i ricchi, e quelli da tassare sono quelli che le tasse le pagano poco e male, è la ricchezza e non il reddito ma, gli uni e gli altri, sono difficilmente e solo lentamente identificabili. E non sono, pensionati e pensioni, le voci che la spending review deve tagliare. E questo non perché vadano questi per qualche ragione esclusi e tutelati, ma semplicemente perché sono stati già tagliati. Lo Stato spende probabilmente troppo e certamente malissimo e, da tagliare, nella spesa pubblica italiana ce n’è eccome. Ma se l’Italia è una pianta la cui spesa va “potata”, come anche i giardinieri sanno, è questa un’operazione che va fatta con accortezza. Tagliando troppo a fondo, si può uccidere la pianta. Le pensioni sono state, giustamente, potate. Ancora qualche taglio, e di loro non rimarrà più nulla.

 

 

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