Pil sotto zero, ci fa o ci è? Mattone e energia piangono, bar e autostrade vanno

soldiROMA – Pil sotto zero: ci fa o ci è? Insomma per il 2014 starà sempre più o meno lì, tra meno 0,1 come da dato Istat 15 maggio e più zero qualcosa? Oppure il dato del primo trimestre cova per il secondo e terzo e quarto trimestre musica e cifre diverse e quel meno 0,1 sarà l’eccezione del 2014?

Nemmeno il tempo di apprendere che il Pil italiano è tornato ad essere, nel primo trimestre 2014, negativo, che mercati  sono lasciati andare al panico manifesto e governo a sconforto mascherato. I numeri, però, vanno letti perché, senza interpretarli, possono dire tutto ed il contrario di tutto. E se infatti è vero che il Prodotto Interno Lordo italiano nei primi tre mesi di quest’anno è calato dello 0,1%, è doveroso analizzarne  cause e modalità. Ed analizzandole si scopre che buona parte del calo è dovuto al clima: inverno mite uguale meno consumi energetici. Approfondendo ancora i dati si scopre che, se l’industria energetica ha sofferto e molto ha sofferto con lei l’edilizia, sono invece in positivi i numeri relativi alle presenze negli alberghi, al traffico autostradale e più in generale quelli riferiti ai consumi. Trasponendo quindi il detto “non è tutto oro quello che luccica”, allo -0,1% reso pubblico ieri si potrebbe applicare un “non è tutto nero quel che sembra scuro”.

A spiegare cosa si nasconde dietro il dato che ha dato il “la” al crollo della Borsa di Milano ci prova oggi La Stampa in due articoli apparentemente slegati ma che in realtà raccontano due facce della stessa vicenda. Certo, anche il quotidiano di Torino, come il resto della stampa italiana e come addirittura la Borsa che più di tutti dovrebbe conoscere i dati e il funzionamento del mercato, si è lanciato nell’analisi solo dopo aver in prima pagina titolato: “Pil negativo, frena la ripresa”. Eppure, a leggere i numeri, le cose non stanno esattamente così.

Il Pil è, ovviamente, negativo. Quel -0,1 diffuso dall’Europa è un dato reale ma, come spiega in un editoriale Mario Deaglio, “la ricomparsa del segno meno sul principale dato statistico relativo alla congiuntura è infatti dovuta pressoché unicamente a due elementi, uno dei quali può essere definito casuale – e comunque al di fuori del nostro controllo – mentre l’altro presenta un forte elemento strutturale italiano”.

E l’elemento che Deaglio definisce casuale è il clima. L’inverno appena passato è stato, come è abbastanza evidente, un inverno eccezionalmente mite e quindi, banalmente, si è fatto meno ricorso al riscaldamento. Se questo vi appare potenzialmente irrilevante, provate a moltiplicare il vostro termosifone acceso un’ora in meno al giorno o una settimana in meno l’anno per 60 milioni di italiani e otterrete un’industria del settore che ha dovuto lavorare meno.

“Rispetto al gennaio-marzo 2013 – scrive Deaglio – la ‘fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria’ secondo la dicitura ufficiale dell’Istat, risulta in nettissima diminuzione, addirittura del 9,3 per cento.
Anche la diminuzione della produzione delle raffinerie (‘fabbricazione di coke e prodotti petroliferi’, scesa del 4,7 per cento) deriva sicuramente in buona parte da fattori climatici. Gli inverni troppo caldi, come quelli troppo freddi, durante i quali le strade gelate impediscono in parte lo spostamento delle merci, hanno ripercussioni molto negative sui dati della produzione; in questo stesso periodo, l’eccezionale caduta (-1,4 per cento) del prodotto lordo dell’Olanda è stata spiegata dall’ufficio statistico di quel Paese con la caduta delle esportazioni di gas naturale, di notevole importanza nel panorama economico”.

Per quanto spenti siano i termosifoni e per quante siano le case che hanno avuto bisogno di meno riscaldamento, questo dato da solo non basta a giustificare il calo del Pil e, seguendo ancora i numeri forniti da Deaglio, a questo si somma la crisi di un altro settore particolarmente importante per l’economia. Crisi questa volta dovuta non a cause esogene e indipendenti dalle nostre azioni come il clima ma, al contrario, da cause assolutamente endogene come la corruzione e la burocrazia. Il settore in questione è quello delle costruzioni che, come da un tempo che in Italia appare immemorabile, sono nel nostro Paese gravate dal peso della burocrazia e della corruzione. Se servisse qualche esempio basti leggere le cronache degli ultimi 7 giorni sulla vicenda Expo.

“Ponendo pari a 100 la produzione dell’industria delle costruzioni del 201 illustra Deaglio -, a febbraio 2014 ci si collocava a poco più di quota 62, una delle contrazioni più vistose mai registrate, se si escludono i tempi di guerra. La situazione risulta aggravata dall’assenza pressoché totale di segnali di rallentamento della caduta e di una successiva, modesta risalita – se si esclude la forte ripresa dei mutui fondiari nelle ultime settimane – che sono ampiamente visibili in quasi tutti i settori manifatturieri. Il detto francese, secondo il quale ‘quando l’edilizia va, tutto va’ può essere letto anche al contrario: quando l’edilizia non va è molto più difficile far ripartire un sistema economico”.

Individuate le cause principali di quel segno “meno”, si scopre poi che il resto dell’economia italiana mostra al contrario ormai abbondanti, anche se certo non spettacolari, segnali di ripartenza e di recupero. E qui entra in gioco il secondo articolo segnalato, a firma di Francesco Spini. Articolo che racconta come nel primo trimestre del 2014 siano aumentati tutta una serie di consumi che sono spia evidente di una ripresa leggera ma diffusa.

Grazie ai tre ponti di Pasqua, 25 aprile e 1 maggio, le autostrade italiane hanno registrato un maggior traffico di mezzi pesanti e non, negli alberghi sono aumentate le presenze e negli Autogrill si è consumato di più. Indici questi che gli italiani hanno ripreso a concedersi una vacanza. E per fare questo servono fiducia e denaro. Ovviamente ancora non ci si avvicina nemmeno lontanamente ai livelli pre crisi, ma è un dato certamente confortante. Non solo questo però. Anche nei supermercati e nei centri di distribuzione all’ingrosso si sono registrati segni “più”. Segnale che gli italiani spendono di più e, udite udite, che hanno ricominciato a frequentare bar e ristoranti, che sono poi i clienti dei centri all’ingrosso.

Qualche numero di questa “ripresina” sottotraccia: la vendita all’ingrosso da gennaio a fine aprile ha segnato un più 3,7%; il traffico autostradale nella rete gestita da Sisas è cresciuto nello stesso periodo dell’1,4%; Federalberghi segnala poi che nelle sue strutture le presenze di italiani sono aumentate rispetto all’anno passato dell’1%.

Tutto questo non vuol dire in maniere più ragionata che quando Berlusconi diceva: “Ma quale crisi, i ristoranti sono pieni”, avesse ragione. Il dato è e resta negativo perché l’industria energetica fa parte del nostro sistema industriale e se quindi lavora meno anche a causa del clima è un problema per tutti così come è un problema se continuiamo ad essere soffocati da burocrazia e corruzione. Nonostante questo però, quel “meno” arrivato ieri è in realtà un po’ meno “meno” di quanto sembrerebbe.

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