Ricevuta da scalare dalle tasse fa… la fabbrica delle ricevute false

ROMA –Fatture e scontrini detraibili dalle tasse: alzi la mano chi non ha pensato sia la soluzione giusta e efficace per raggiungere il doppio obiettivo di meno evasione e meno tasse. Alzi la mano che non ha visto che così, più o meno, si fa spesso all’estero e non si è chiesto con rammarico perché non si fa così anche da noi. A suo tempo qualcuno, più d’uno, lo chiese anche a Vincenzo Visco e poi a Giulio Tremonti. Entrambi risposero, in privato rigorosamente in privato, più o meno con lo stesso argomento: l’Italia diventerebbe la fabbrica delle fatture e ricevute false.

Visco accidioso, infatti lo chiamavano Dracula? Tremonti altezzoso infatti indulgente ad ogni autarchia, perfino quella fiscale? O i due sapevano e sanno come stanno le cose. E sarà solo un caso che nei paesi anglosassoni la ricevuta si detrae e basta mentre in alcuni di quelli latini la ricevuta è un gratta e vinci per cui ti conviene richiederla ma non puoi girarla allo Stato?  Se le fatture e gli scontrini fossero detraibili sarebbero tutti invogliati a chiederle e tanti cari saluti ai “lavoretti” fatti in nero. Semplice ed efficace, possibile che nessuno ci abbia mai pensato fino a ieri, quando il Pd ha presentato un emendamento che introduce il contrasto d’interesse fra contribuenti, cioè la possibilità appunto di detrarre fatture e scontrini? L’emendamento è stato approvato e, in realtà, qualcuno ci aveva già pensato. Il problema era però che la possibilità di detrarre le ricevute rischia, se non calibrata alla perfezione, di trasformarsi nella fabbrica delle ricevute false. Il che non sarebbe, ovviamente, un grande affare.

Presentato dal relatore, il Pd Giuliano Barbolini, l’emendamento approvato in commissione Finanze al Senato affida al governo, all’interno della delega fiscale, il compito di fissare le regole del contrasto d’interessi all’italiana, disciplinando la misura con le “opportune fasi applicative” e le “eventuali misure di copertura”. Contrasto d’interessi la cui traduzione pratica è appunto la deducibilità di ricevute e fatture varie da parte di tutti i contribuenti. Il sistema funziona già in molti paesi del mondo – ad esempio negli Usa -, dove i consumatori hanno la possibilità di scaricare dalle tasse una parte delle spese regolarmente fatturate. Efficace e semplice perché, in Italia, a parte pochi casi in cui la documentazione fiscale è necessaria per altre ragioni, oggi non c’è un vantaggio nel chiedere scontrino o ricevuta fiscale quando si paga un bene o un servizio. Spesso poi, pagando senza ricevuta si ottiene anche un sostanzioso sconto ed ecco che, venditore e acquirente, hanno così interesse comune a non fare nessuna ricevuta.

Meno tasse per chi vende e sconto per chi compra. Potendo invece detrarre la fattura la cosa cambia: gli scontrini diventano merce preziosa che, presentata allo Stato, si trasforma in sconti sulle tasse da pagare. Una piccola riforma talmente semplice, l’uovo di Colombo… Però l’uovo talvolta può rompersi senza nemmeno diventare frittata: almeno due ministri dell’Economia ne diffidavano eccome dello scontrino in deduzione. Già Vincenzo Visco, quando era titolare del dicastero preposto, spiegava in via privata che rendere le ricevute detraibili rischiava di degenerare in un boom di ricevute false, con un conseguente significativo calo del gettito fiscale. Rischio derivante dalla necessità di calibrare bene le aliquote, perché è ovvio che il ricavato derivato dalle fatture fatte e dalla relativa Iva pagata deve essere maggiore delle “perdite” dovute alle detrazioni, e da una caratteristica italiana propensione alla furbizia. Perplessità confermate poi anche dal ministro Giulio Tremonti e perplessità che hanno contribuito sinora ad archiviare la possibilità di detrarre fatture e scontrini. Almeno sino a ieri.

Per spiegare meglio le paure che furono di Visco e Tremonti proviamo a fare un esempio pratico, immaginando di avere appunto la possibilità di dedurre, ad esempio, la spesa dell’idraulico. Essendo un caso scolastico immaginiamo un conto di 100 euro con fattura che noi finalmente esigiamo. Su quei cento l’idraulico paga 21 per cento di Iva. Con la fattura di quei cento noi scarichiamo dal nostro “imponibile”, cioè dal nostro reddito tassabile altrettanto.  Immaginando un reddito medio basso, la relativa aliquota fiscale sarà intorno al 36%, dunque grazie a quella fattura potremmo risparmiare 36 euro di tasse. Rifacciamo i conti: l’idraulico paga 22 euro che prima non pagava, chi ha chiamato e pagato l’idraulico esigendo ricevuta non paga 36 euro di tasse che prima pagava. Balla una differenza di 14 euro.

Questi 14 euro, questa differenza, se resta tale andrebbe a carico del gettito fiscale, insomma con la ricevuta scontabile lo Stato ci andrebbe a rimettere e neanche poco. Ed è questo il motivo di fondo per cui l’introduzione della ricevuta scontabile va calibrata, pensata, calcolata. La differenza va annullata e rovesciata se si vuole contrasto di interessi tra chi la ricevuta la chiede e chi la rilascia. O si alza il 22%, cioè l’Iva, o si abbassa il 36% cioè l’aliquota media Irpef. Se non si fa, “l’uovo di Colombo” si spiaccica sulle scarpe e i pantaloni dello Stato, il gettito cala, simulazioni dicono anche del 15% del totale.

Quei 14 euro, sempre quelli poi possono essere una tentazione, la tentazione appunto che porta alla fabbrica di ricevute: tu fai ricevuta e paghi 22, io di fatto dallo Stato incasso 36 che “scarico”…facciamo sette a te e sette a me?

Terza questione non da poco: se la ricevuta che si scarica dalle tasse diventa la regola, se commercianti, professionisti e artigiani devono pagare tutta e sempre l’Iva, chi li tiene commercianti, professionisti e artigiani? Ma questa è questione politica, torniamo invece all’ipotesi, molto più difficile di quel che appare, di una versione virtuosa della ricevuta che si scarica. Le cose potrebbero andar bene comunque per le casse pubbliche perché solo chi già dichiara, quindi chi paga le tasse, potrà dedurre le spese varie mentre tutte le fatture in più saranno delle vere e proprie novità. Se però il vantaggio derivante dalla deduzione è maggiore dell’Iva pagata si corre il rischio che spuntino come funghi finti venditori e finti acquirenti che grazie a fatture false inventeranno false spese per abbattere le loro tasse, tanto l’Iva la si ripaga con lo sconto e, a conti fatti, avanza anche qualcosa da spartire per il “fatturificio”. Non avviene negli Usa e non dovrebbe avvenire in un paese civile. Ma un paese come l’Italia che vanta una dei più alti tassi d’evasione del mondo e che non è certo famoso per il senso civico dei suoi cittadini sarebbe immune da questa tentazione?

E’ messo chiaro e tondo nella delega appena approvata che il governo dovrà prevedere le “opportune fasi applicative” e le “eventuali misure di copertura” e che il contrasto d’interessi, comunque, dovrà essere “selettivo” ed essere concentrato “con particolare riguardo nelle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell’obbligazione tributaria”. Sintomo della nozione che delle insidie in questa misura che, almeno sulla carta, va assolutamente nella giusta direzione della lotta al sommerso e all’evasione, esistono. Ma se il rischio diciamo “fisiologico” di un calo del gettito dovuto a questa novità può essere contrastato con la giusta attenzione nell’introdurre la norma, possiamo essere sicuri che il rischio di un calo del gettito figlio della “furbizia” non si verificherà nel nostro Paese?

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