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Sondaggi e botti, anche artificiali. Uno: Pd quasi fatta. L’altro: Pd no Senato

di Gianluca Pace |6 Febbraio 2013 12:37


ROMA – Per La Repubblica è quasi fatta, per La Stampa è praticamente persa. Cosa? La battaglia del Pd, anzi dell’alleanza dei Progressisti, per la conquista del Senato Sono le due differenti previsioni, figlie di due diversi sondaggi, sull’esito della prossima tornata elettorale. In particolare per quello che accadrà al Senato, unica vera incognita, sembra- di queste elezioni. Secondo i dati forniti da Demos al quotidiano di Ezio Mauro, il Pd sarebbe accreditato di un 35% delle preferenze a palazzo Madama che, sommate a quelle degli alleati, porterebbero i voti della coalizione al 38%.

Una stima che fa scrivere a Repubblica: “Vince il centrosinistra, il Pdl non rimonta a un mese dal voto”.
Realtà diversa invece quella fotografata dall’istituto Piepoli per La Stampa. Il Pd e la sua coalizione sono anche in questa rilevazione il primo partito e l’alleanza più forte, nonostante questo però senza maggioranza al Senato. Scrive il quotidiano torinese: “Alla Camera vince il centrosinistra. Il centrodestra prende Lombardia, Veneto e Sicilia al Senato. E Bersani per governare avrà bisogno di Monti”. Testo sostenuto dalle seguenti cifre: al Senato Pd 121 seggi, Sel 18, Svp 4, totale 143. La maggioranza al Senato si ha a quota 158.

Guerra dei sondaggi? Non proprio guerra, ma di certo ognuno la legge come liberamente gli piace. Berlusconi dichiara la sua alleanza già al 30 per cento (per Repubblica è al 25)%, per la Stampa il Pdl non andrà oltre 86 deputati, 30 alla Lega, 10 a Fratelli d’Italia, e 97 senatori in tutto per tutta la destra alleata), come si vede ognuno un po’ se la canta e un po’ se la suona.

 Se non è guerra, saranno comunque “botti”, alcuni anche artificiali. Che si andranno intensificando nei prossimi giorni, crescendo e gonfiandosi di tono e ritmo fino a quando scatterà, tra una quindicina di giorni, il divieto di pubblicazione dei dati.

Ancora per due settimane leggeremo sui giornali e ascolteremo un po’ ovunque previsioni su quello che sarà l’esito del voto. Silvio Berlusconi ci dirà che i numeri che ha in tasca gli dicono che può persino vincere, Pierluigi Bersani si dirà fiducioso di poter formare, da solo e senza i centristi, un governo, e via dicendo. Ognuno potrà, fino alla prima metà di febbraio, raccontare quello che i sondaggi dicono. Non necessariamente mentendo, magari aggiustando o gonfiando un po’, e facendo diventare le rilevazioni statistiche un’arma di propaganda, sfoderata più per dar coraggio ai propri elettori che per fornire un quadro preciso. Da quindici giorni prima del voto però scatterà il divieto di pubblicare i dati relativi alle previsioni di voto. E allora le schermaglie a colpi di numeri a cui stiamo assistendo, dopo aver raggiunto il loro acme a ridosso della messa al bando, si trasferiranno sottotraccia dove tutti o quasi lasceranno intendere che loro sanno, ma non possono dire, che sono fortissimi.

Con o senza gli “aggiustamenti” prodotti dalla propaganda il punto interrogativo di queste elezioni riguarda e riguarderà sino all’ultimo, sino alla fine dello spoglio, la composizione del prossimo Senato. Che il Partito Democratico uscirà dalla tornata elettorale con la palma del primo partito, e che la coalizione guidata da Bersani sarà quella che ha raccolto più voti e consensi, appare infatti, almeno fino ad oggi, fuori di dubbio. Alla Camera, dove l’attuale legge elettorale assegna il 55% dei seggi (cioè la maggioranza assoluta) al vincitore a livello nazionale, questo dato dovrebbe tradursi in una tranquilla e ampia maggioranza fatta dal Pd e i suoi alleati. Incerta invece la composizione di palazzo Madama, dove il Porcellum assegna il premio di maggioranza non su base nazionale, ma su base regionale. Il che significa che non conta chi prende più voti in generale, ma conta invece come questi sono distribuiti sul territorio e nelle regioni. E in particolare nelle regioni più popolose che sono quelle che assegnano il maggior numero di senatori. Con questa legge se anche Pd e soci vincessero pressoché ovunque, perdendo però in Lombardia, Veneto e Sicilia, rimarrebbero senza maggioranza al Senato.

Al paradosso del vincitore senza maggioranza concorrerebbe poi la presenza di almeno quattro soggetti politici capaci di superare la soglia di sbarramento per il Senato, soglia fissata all’8%. Se il numero dei senatori assegnato a chi arriva primo in ogni regione è infatti fisso, il numero dei senatori che vanno agli altri è invece variabile in funzione di quanti sono “gli altri”. Prendendo ad esempio la Lombardia, la regione che assegna più seggi a palazzo Madama, ben 49, chi vince in quella regione prende 27 senatori e i rimanenti 22 vengono divisi tra le altre forze che hanno superato l’8%. E’ evidente che con soli due soggetti forti lo scarto tra primo e secondo si ferma a 5 senatori, in fondo pochi. Considerando però che le formazioni che supereranno la soglia di sbarramento saranno almeno quattro (Pd e soci, Pdl e Lega, la lista di Monti e il M5S) appare evidente che il secondo, il terzo e il quarto dovranno dividersi i 22 seggi restanti.

Il sondaggio commissionato da Repubblica dice che ad oggi, anzi a ieri (24 gennaio):

Il Pd è ancora il primo partito in Italia. Con oltre un terzo dei voti espressi dagli intervistati. Insieme a Sel, supera il 38%. Il Pdl, nelle rilevazioni dello scorso autunno, era sceso al 16%. Oggi è cresciuto, ma non di molto. Intorno al 18%. Insieme alla Lega e alle altre formazioni alleate, si avvicina al 26%. In altri termini: poco più della metà rispetto al 2008. Ma soprattutto, oggi, si ferma a 12 punti dal Centrosinistra. Tanti per immaginare una rimonta come quella del 2006. La coalizione guidata da Monti supera, di poco, il 16%. Abbastanza per diventare un interlocutore importante — e ingombrante — per Bersani e il Centrosinistra. Ma, anzitutto, un ostacolo alle ambizioni “bipolari” del Cavaliere. Anche perché altre forze politiche occupano uno spazio significativo. Il MoVimento 5 Stelle, guidato da Beppe Grillo, è stimato intorno al 12-13%. La Sinistra di Ingroia intorno al 4,5%”. Numeri che fanno dire al quotidiano di Ezio Mauro che per il centrosinistra è quasi fatta”.

Il sondaggio pubblicato da La Stampa fotografa invece non le percentuali, ma i seggi.

Ampia maggioranza alla Camera per la coalizione che sostiene Bersani, che però non sarà autosufficiente al Senato. Una coalizione che oltre a Pd e Sel si apra al centro, invece, avrebbe ampi numeri per governare il Paese. Ben 181 seggi, contro i 168 che aveva la maggioranza Pdl-Lega nel 2008. Ma ha ragione Bersani a dire che non lascerebbe Vendola per Monti. Al Senato una coalizione Pd-Lista Monti avrebbe la maggioranza assoluta, ma per solo un seggio. Troppo fragile per poter governare. Come detto il centrosinistra è la coalizione che prende più voti alla Camera. Vince perciò il premio a livello nazionale: su 617 deputati – al totale di 630 eletti vanno tolti i dodici eletti all’estero e il singolo deputato eletto con un altro sistema elettorale dalla Val d’Aosta – il Pd ne prenderebbe 284, Sel 44, il Psi 10, due per la Südtiroler Volkspartei. Totale: 340 seggi. All’opposizione finirebbero il Pdl con 86 seggi (ne prese 190 in più nel 2008), Lega 30 (la metà del 2008), 10 per Fratelli d’Italia. Il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo ottiene 50 seggi, come Scelta civica con Monti. All’Udc andrebbero 20 deputati, al Fli 5. Dovrebbe infine riuscire a costituire grupopo autonomo, la Rivoluzione Civile di Ingroia che conquisterebbe 20 deputati. Al Senato il conto è fatto su 308 eletti (esclusi i sei eletti all’estero e il senatore valdostano). Il centrosinistra vince in tutte le regioni tranne Lombardia, Veneto e Sicilia: si ferma così a 143 seggi (121 per il Pd, 18 per Sel e 4 Svp) su una maggioranza assoluta di 158 (esclusi i senatori a vita). Non può fare conto sugli eletti all’estero, né sui 3 senatori che Rivoluzione civile riuscirà a eleggere (due in Campania e uno in Sicilia).  Ecco perché solo con un accordo con la Lista Monti, che dovrebbe eleggere 38 senatori, supererebbe il quorum. Il centrodestra prende nel complesso 97 senatori (67 per il Pdl, 25 alla Lega, 5 per gli altri del centrodestra) e il Movimento 5 stelle, 27”.

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