Venezia, acqua alta si mangia Basilica di San Marco. E il Mose? Dormiva…

di Riccardo Galli
Pubblicato il 31 Ottobre 2018 - 11:30 OLTRE 6 MESI FA
Venezia, l'acqua alta si mangia Basilica di San Marco. E il Mose? dormiva...

Venezia, acqua alta si mangia Basilica di San Marco. E il Mose? dormiva… (foto Ansa)

VENEZIA – Acqua alta a Venezia, così alta che per la seconda volta in questo millennio (la quinta nella storia) è arrivata ad allagare la Basilica di San Marco. Con enormi danni annessi ovviamente. “San Marco è invecchiata di 20 anni in un giorno” ha detto Carlo Alberto Tesserin, primo procuratore di San Marco responsabile per l’amministrazione della Basilica. E il Mose? Quel progetto faraonico nato ormai più di 30 anni fa e costato quasi quanto il reddito di cittadinanza che doveva fermare le acque dell’Adriatico e salvare Venezia? E’ stato costruito, pagato, ha dato seguito alla sua dose di processi per tangenti varie e non funziona.

Sembra preistoria, e in un certo senso lo è, ma sono passati giusto 30 anni da quando Gianni De Michelis prometteva che la rivoluzionaria opera avrebbe visto la luce entro il 1995. Quel De Michelis di epoca craxiana, il ministro con i capelli più unti che la Repubblica ricordi e che, amante delle feste e della vita mondana, proprio dal Veneto arrivava. Era la prima Repubblica, c’erano Craxi e Andreotti ed esisteva ancora l’Unione Sovietica. Craxi è prima fuggito e poi morto in Tunisia, Andreotti lo ha seguito non in nord Africa ma nel regno del cieli e l’Unione Sovietica è crollata.

Dalla prima siamo passati nella seconda e ora, secondo alcuni, nella terza Repubblica, quella del cambiamento, ma a Venezia nulla è cambiato. Le maree continuano a far paura e il centro della città ad allagarsi. Con l’ultima ondata di maltempo che ha portato l’acqua nel 75% del centro storico cittadino. Tanto che lo spettro del novembre del 1966 è tornato nella memoria della città con l’acqua che, fortunatamente, si è fermata a più 160cm. Eppure, raggiunta la soglia dei 100cm sopra il normale livello il Mose sarebbe dovuto intervenire. O almeno questo era quello che si era detto sin dalla fase progettuale, con il grande interrogativo mai pienamente risolto del perché non creare un’infrastruttura in grado di essere utile anche al di sotto di quella soglia molto alta. Avrebbe dovuto fermare le acque dell’Adriatico sigillando le bocche di porto che mettono in comunicazione la Laguna col mare aperto.

Avrebbe dovuto ma non lo fa. La speranza è tutta in un avverbio, la speranza è che non lo faccia ancora. La paura è che non lo farà mai. La storia del MOSE, sigla per Modulo Sperimentale Elettromeccanico ma che richiama senza falsa modestia e con decisamente immeritata fiducia nel Mosè biblico che separò le acque del Mar Rosso, comincia nel lontano 1981. L’idea era quella di installare un sistema di paratie mobili per proteggere in modo sicuro Venezia e il suo inestimabile patrimonio artistico dalle alte maree che invadono la Laguna. Bella l’idea, forse, ma degno di un manuale degli errori e degli orrori quel che ne è seguito.

Invece di costare 1,6 miliardi di euro ne è costato 5,5 ai quali vanno aggiunti i 2,5 per le opere di salvaguardia con una spesa complessiva di 8 miliardi; invece di entrare in funzione negli anni ’90 partirà, forse, all’inizio del 2022. Costato quindi quasi 7 volte la stima iniziale e con un ritardo di appena una trentina d’anni, questo gioiello dell’ingegneria fa a acqua (è il caso di dirlo) da tutte le parti: i cassoni subacquei sono intaccati dalla corrosione, da muffe e dall’azione dei mitili, le cozze. Le paratoie posate in mare spesso non si alzano per problemi tecnici. Quelle ancora da montare, lasciate a terra, si stanno arrugginendo per la salsedine nonostante le vernici speciali.

Secondo una perizia commissionata lo scorso anno dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Venezia, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture, il Mose rischia cedimenti strutturali per la corrosione elettrochimica dell’ambiente marino e per l’uso di acciaio diverso da quelli dei test. Le cerniere che collegano le paratoie mobili alla base in cemento – ce ne sono 156, ognuna pesa 36 tonnellate, un appalto da 250 milioni affidato senza gara al gruppo Mantovani – sono ad altissimo rischio (probabilità dal 66 al 99 per cento) di essere ormai inutilizzabili perché, come ha mostrato un controllo, presentano già uno stato avanzato di corrosione.

Nelle prove poi si sono viste paratoie che non si alzavano, altre che non rientravano nella sede per i detriti accumulati. Ci sono problemi alle tubazioni e un cassone che è esploso nel fondale di Chioggia. Inoltre, una nave speciale (costata 52 milioni) per trasportare le paratoie in manutenzione al rimessaggio in Arsenale, ha ceduto al primo tentativo di sollevare una delle barriere. Dulcis in fundo, nemmeno a dirlo, tutta l’opera è stata segnata da gravissimi episodi di corruzione, sanzionati in un processo che si è appena concluso e che ha rivelato un turbinoso giro di mazzette per coprire lavori e opere mal progettati e peggio realizzati.

Nel frattempo l’acqua continua ad entrare indisturbata a Venezia e nella sua ultima apparizione ha raggiunto i 90 centimetri sul pavimento di mosaico di San Marco bagnando portoni, colonne e marmi e inzuppando anche due arazzi di Joan Mirò, del valore di più di mezzo milione di euro ciascuno, che si trovavano a Palazzo Zaguri dove era in allestimento la mostra ‘Da Kandisky a Botero, tutti in un filo’. Le opere, ancora imballate, erano appoggiate a terra al secondo piano del palazzo, che si è allagato a causa di un problema idraulico in un bagno, causato a sua volta dall’acqua alta.