Riforma Cartabia, analisi di un avvocato deluso. Il presunto non colpevole, secondo la Costituzione, a giudizio perché presunto colpevole.
L’incredibile contraddizione è il risultato del nuovo canone di giudizio proposto dalla commissione Lattanzi – poi riforma Cartabia – approvato dalla Camera, per archiviazione ed udienza preliminare.
Secondo i legislatori in pectore, il modello decisorio è: “il pm chieda l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono tali da determinare la condanna”. Per la commissione viene edulcorato in “non consentono una ragionevole previsione di condanna” nel testo della Camera ( lo stesso per l’udienza preliminare).
Dovrebbe indurre ad un self-restraint nell’esercizio della azione penale e nel disporre il giudizio. Staremo a vedere. Appare improbabile.
Prendiamo ad esempio l’alternativa della udienza preliminare. Una sentenza, quando gli elementi non consentono una ragionevole previsione di condanna, un decreto nell’altro caso. La prima richiede motivazione, il secondo poche righe, in quanto decisione a contenuto processuale.
La disarmonia rende evidente che nulla cambierà. Basterebbe parificare i due esiti. Un decreto, come l’altro, di non luogo a procedere. Del resto, la sentenza della udienza preliminare ha valore inferiore a quella dibattimentale. Con nuove prove la decisione è revocata.
Al legislatore non è passato per la mente, sebbene introduca addirittura l’improcedibilita della azione, perché non ritorni la prescrizione. Indigesta ad una parte politica. Improcedibilita che merita un commento a parte.
Con la Riforma Cartabia, il rinviato a giudizio è ragionevolmente colpevole
Insomma, in base alle nuove norme, chi venga inviato a giudizio è ragionevolmente colpevole.
Con buona pace del principio cardine del processo accusatorio: “le indagini per l’azione, il dibattimento per la prova”. In futuro, le indagini serviranno per la condanna, il dibattimento per la conferma. È evidente che baricentro del processo penale saranno, e definitivamente, le indagini e sempre più forti i poteri dei pm. Nemmeno Davigo avrebbe immaginato tanto.
Richiesta dall’Europa, la delega al Governo dovrebbe condurre alla “efficienza del processo penale ed alla celere definizione dei procedimenti giudiziari”. Anche stavolta sembra una illusione.
Riforma Cartabia evolve da Lattanzi e Bonafede
Intanto, inizia con un disegno di legge del precedente Ministro della giustizia (minuscolo nello stampato del Senato). Con questo antecedente, i migliori interventi della commissione Lattanzi stanno nell’averne eliminato alcune previsioni, la stessa operazione i peggiori del testo approvato dalla Camera. Ad esempio, in materia di archiviazione meritata, espunta, di riti alternativi, notevolmente ridimensionato il patteggiamento rispetto al lavoro della commissione. Lasciato identico l’abbreviato, mentre ne era proposta una ragionevole modifica.
A merito della commissione vanno le norme, per fortuna non toccate, dell’ufficio per il processo penale. Si tratta di una struttura di sostegno ad ogni magistrato, in tutti i gradi. Finalmente un passo avanti nella organizzazione degli uffici. Si spera che, scegliendo giovani preparati e capaci, adeguatamente remunerati, non avremo più, ad esempio, procuratori onorari visibilmente imbelli.
Torniamo alla efficienza del processo
Torniamo alla efficienza del processo ed alla celere definizione dei procedimenti. Come è ben noto, nella gran parte dei casi la lungaggine dipende dalla infinita durata delle indagini preliminari. Qui l’intervento è contraddittorio, in peggio. Da un lato, si vuole che il pubblico ministero accerti i ragionevoli presupposti della condanna. Dall’altro vengono stabiliti dei termini, un trilemma, sei mesi, un anno, un anno e sei mesi, prorogabili una sola volta.
Tuttavia, non vi è alcuna conseguenza nel caso di inazione del pm. È previsto un obbligo, decorsi i termini, di prendere una decisione, in un tempo che, però, non è indicato. Il seguito è ancora più vago.
Infatti, è rimesso alle parti, indagato e persona offesa, l’onere di agire
Nessuno lo farà: la persona offesa nel timore che, messo alle strette, il pm chieda l’archiviazione, l’indagato per il contrario. Infine, in mente dei la disciplina dell’intervento del giudice per le indagini preliminari che “rimedi alla stasi del procedimento”. Il disegno Bonafede configura, almeno, un illecito disciplinare, sparito. Insomma, la “celerità” sembra una chimera, per di più in indagini che hanno come obiettivo la ragionevole previsione della condanna.
Un passo indietro si registra in materia di notificazioni all’imputato. Oggi, dopo la prima, tutte le altre sono effettuate al difensore di fiducia (basterebbe, per efficienza e celerità, estenderlo alla difesa di ufficio). Il testo futuro esclude, invece, le citazioni in giudizio, primo grado ed appello. Dalla fulminea pec torniamo al vecchio stile, produttivo di immancabili rinvii, specialmente nei processi con molti imputati.
Ancora, la riforma prevede un aumento dei casi di citazione diretta davanti al giudice monocratico. E, attenzione, una udienza predibattimentale in camera di consiglio : nella sostanza, una udienza preliminare davanti ad un giudice monocratico, invece che al giudice per le indagini preliminari. Restano esclusi da questo controllo sugli atti di indagine i giudizi immediati, con qualche dubbio di costituzionalità.
Nessun vantaggio per la celerità
È ovvio che non serve alla celerità, anzi. Sono necessari più giudici monocratici (che, come sappiamo, non ci saranno) ed una struttura organizzativa delle cancellerie adeguata. Per di più, è garantismo deleterio. Con quali prospettive si affronterà il giudice monocratico del dibattimento, dopo che il collega di ufficio ha stabilito che sussiste una ragionevole previsione di condanna?
Non è nemmeno data la possibilità di saltare l’udienza predibattimentale, diversamente dal caso dell’udienza preliminare. Un intervento inteso alla celerità avrebbe dovuto interrogarsi su come ridurre i tempi della citazione diretta a giudizio. A Roma, qualche volta passano anni dopo l’esercizio della azione penale, in alcuni casi i fascicoli restano in un limbo infinito.
Nella materia, sconcerta che sia il Parlamento, con legge, a dettare i criteri generali per le priorità nella trattazione delle notizie di reato. Immaginiamo che il Parlamento stabilisca che la corruzione non debba avere la precedenza, quid agendum?
I temi trattati sono parsi i più significativi per dare risposta al quesito. La conclusione è che, a meno di modifiche da parte del Senato (la fiducia, però, è dietro l’angolo), non avremo con questa riforma né efficienza né celerità. Non resta che lo sconforto.