Rivoluzione nella Chiesa, inizio a Genova; vice preti, Messa senza prete ma niente donne, a Roma non piacciono.
Chi l’avrebbe mai detto che la rivoluzione comincia dall’arcidiocesi di Genova, quella del cardinale-principe Giuseppe Siri, che vietava ai suoi preti di indossare il clergy man ed era un custode rigido della tradizione liturgica?
Mancato papa per due conclavi Siri aveva sempre addosso tutte le insegne del ruolo di cardinale, la tonaca rossa, lo zucchetto dello stesso colore, la croce sul petto con i rubini dono di una delegazione di fedeli sudamericani, le scarpe con la fibbia e un alone di profumo misto a incenso.
Indossò abiti più sobri solo nel suoi segreti e importantissimi viaggi in Urss, quando, antesignano di un dialogo impossibile, varcava la Cortina rossa, sorvegliatissimo dal Kgb, per portare conforto ai cattolici perseguitati della Grande madre Russia comunista di allora, regnanti Krusciov e dopo Breznev.
Il suo posto nella cattedra di Genova in san Lorenzo, quella cattedrale nei caruggi genovesi, che spunta come una stupenda muraglia a sorpresa nel dedalo della città vecchia, ora ce l’ha un frate francescano, Mario Tasca, che ama farsi chiamare padre e non Eminenza né Eccellenza, che non è diventato cardinale e che è in linea perfetta con papa Francesco.
E’ stato il trentaduesimo successore di Francesco d’Assisi come capo del suo Ordine fondato dal Santo e il papa Bergoglio gli ha affidato la Diocesi genovese, rompendo una tradizione quasi ferrea di cardinali potenti e molto visibili nella Chiesa di Roma, da Tettamanzi, anche lui quasi-papa dopo Genova a Tarcisio Bertone, il salesiano diventato segretario di Stato di Ratzinger, fino a Angelo Bagnasco, oggi cardinale emerito, già presidente Cei e presidente della Conferenza episcopale europea, che appare ancora a Genova con tutte le insegne del suo stato, quasi in contrapposizione, ma solo di immagine (il saio contro la porpora) con Tasca.
Il vescovo- non cardinale compie tre anni a Genova e non ha modificato uno stile molto diverso: vive in convento con i suoi confratelli francescani, occupando due celle, una per dormire, l’altra come ufficio. Scende nella cattedrale a fianco della quale ci sono gli uffici della Curia, dove i suoi predecessori ricevevano in grandi saloni con passiere e i ritratti incombenti dei cardinali della storia genovese e dove ora Tasca ha ricavato un ufficio più piccolo e sobrio, chiudendo la parte più vistosa di rappresentanza.
Da lì, dalla Curia “ristretta” nel suo ambiente, ma non nell’efficienza di uffici molto cambiati per non dire rivoluzionati, è partita la vera rivoluzione nella Chiesa genovese, una delle prime in Italia nel segno di Francesco e di un adeguamento ai tempi che attraversa la Chiesa in una società secolarizzata, completamente cambiata da quella del tempo del grandi cardinali.
Una rivoluzione soprattutto nel segno di Francesco e della sua spinta di “prossimità” ai fedeli e ai laici che resistono e si avvicinano oramai nelle decisione e nelle scelte alla “chiesa primitiva”, spesso richiamata dai rivoluzionari strateghi del cambiamento, per ripartire e per difendersi dalla grande trasformazione epocale.
Nella diocesi di Genova ci sono oggi 143 sacerdoti, compresi i diocesani, i religiosi e gli extradiocesani, quelli, ciòe, che provengono dall’esterno e spesso sono in arrivo da continenti lontani, africani, indiani, sudamericani, dove le vocazioni sono più numerose che in Occidente.
A fronte di questo sparuto gruppo ci sono 278 parrocchie. Ed ecco allora che la rivoluzione parte proprio da questi numeri che insieme a quelli del calo vertiginoso della frequenza al rito della Messa, passato oramai al 13 per cento dei battezzati, impongono scelte drastiche.
L’arcivescovo Tasca con una adunata vera e propria, per altro organizzata in un luogo ombelicale della comunicazione genovese, le sale dei convegni del Porto Antico, ha annunciato la sua “Lettera pastorale ai fratelli e alle sorelle della Chiesa genovese”, intitolata “Evangelizzazione, Sinodalità e Fraternità di parrocchie”.
Un documento chiarissimo, preparato insieme ai suoi quattro vicari episcopali, una squadra che lavora con l’arcivescovo come gli otto cardinali del cerchio ristretto lavorano con il papa nella sua rivoluzione della Curia romana.
Le novità che spiccano di più in questo quadro rivoluzionario sono la fine delle parrocchie come sono sempre state intese e che ora non reggono più per mancanza di preti, che nel linguaggio sacro sono presbiteri e la Messa senza prete e il ruolo dei laici nelle clebrazioni.
Nasce la fraternità delle parrocchie con la creazione del “moderatore della cura pastorale”, un sacerdote che coordina più parrocchie, un superparroco, coadiuvato da un “diacono cooperatore”, un laico e da altri laici.
Si coprono i vuoti con una organizzazione mista, che garantisce il funzionamento di più chiuse parrocchiali. E l’esperimento è già cominciato, spinto da una emergenza fortissima, soprattutto nel centro storico, dove tante chiese e tante parrocchie erano oramai scoperte, con pochi sacerdoti costretti a correre da una all’altra per recitare la messa domenicale e per somministrate gli altri sacramenti e per i riti necessari, dai battesimi, ai funerali.
D’altra parte la proiezione numerica che la Curia genovese fa, di fronte al vuoto dei seminari, dei possibili futuri sacerdoti è impietosa: nel 2002 i sacerdoti diocesani erano 218, nel 2027 saranno tra 169 a 173, nel 2032 tra 146 e 149, nel 2037 tra 123 e 118. I seminari sono vuoti e anche se ci fosse una improvvisa vocazione collettiva ci vorrebbero da nove a dieci anni per formare i nuovi preti.
Altro dato allarmante: nel 2023 ben nove presbiteri hanno abbandonato la chiesa e il servizio parrocchiale, sostituiti solo da de sacerdoti novelli, ancora totalmente inesperti. E allora come si fa?
Il primo problema: la celebrazione della messa alla quale Tasca provvede con la “Celebrazione domenicale in assenza di presbitero e in attesa dell’Eucarestia.”
Vuol dire che al posto della messa ci sarà un rito “officiato “ da un laico, che legge i sacri testi, pronuncia anche una omelia e distribuisce la comunione, ma ovviamente non può consacrare l’ostia.
Insomma la liturgia della parola sostituisce per necessità la liturgia della consacrazione eucaristica, la dove è impossibile celebrare la messa.
Il richiamo storico e alla “chiesa primitivaRivoluzione nella Chiesa, inizio a Genova; vice preti, Messa senza prete ma niente donne, a Roma non piacciono”, nella quale si ascoltava la parola e si distingueva quel rito da quello eucaristico e ambedue avevano una funzione autonoma.
Spicca in questo cambiamento epocale la figura del “diacono cooperatore”, che “affianca il mediatore, cioè il superparroco. Il diacono, che è un laico, “predica l’annuncio del Vangelo, si occupa dell’educazione religiosa, della formazione spirituale, della comunità parrocchiale, della preparazione ai sacramenti, secondo la necessità benedice, celebra battesimi, matrimoni e il rito delle esequie, guida la preghiera e presiede la celebrazione in attesa dell’Eucarestia”.
Potremmo sintetizzare che è, a tutti gli effetti, un vice -prete.
E’ chiaro che in questa situazione il primo arcivescovo che lancia la sfida della rivoluzione nel segno del papa punta molto sui laici, sulla capacità di evangelizzazione nella società, attraverso la presenza di associazioni, movimenti e aggregazioni, che suscitano opere di carità e promuovono il pensiero cristiano.
Questo è lo spirito della Lettera pastorale, che Tasca ha atteso molto a lanciare, seguendo le tracce delle Encicliche papali, sopratutto la “Evangelii gaudium” e “Fratelli tutti”. C è un cambiamento di epoca, che segna profondamente la posizione della Chiesa nella società moderna, e i cambiamenti sono spinti con urgenze estreme.
Il Sinodo è una delle strade che il papa ha suggerito al mondo e che ogni Diocesi segue. Lungo quel percorso si suggeriscono i cambiamenti, che, o sono come questi che la storica arcidiocesi di Genova suggerisce, oppure sono molto più drastici, come quelli spinti anche all’estremo, per esempio dalla Chiesa tedesca che si batte da tempo per l’addio al celibato dei preti e per un altro ruolo delle donne. Queste istanze sono rimaste nelle proposte che Roma ha congelato. Le conclusioni del Sinodo universale ci saranno dopo l’estate e nulla fa prevedere che cambiamenti epocali come quello suggerito dai cardinali tedeschi trovino dei varchi.
Una rivoluzione intanto è cominciata ma non è detto che sia quella definitiva. “La Chiesa _ scrive padre Tasca nelle sue conclusioni pastorali _ ha sempre avuto grande fantasia nello scegliere le modalità dell’annuncio, trovando risposte adatte ai diversi contesti. Vogliamo con fiducia fare oggi la nostra parte in questo cambiamento d’epoca.”