Roberto Licci, il papà del "Butta il cellulare". Domanda non fatta: perché buttarlo? (foto Ansa) Roberto Licci, il papà del "Butta il cellulare". Domanda non fatta: perché buttarlo? (foto Ansa)

Roberto Licci, il papà del “Butta il cellulare”. Domanda non fatta: perché buttarlo?

Roberto Licci, il papà del "Butta il cellulare". Domanda non fatta: perché buttarlo? (foto Ansa)
Roberto Licci, il papà del “Butta il cellulare”. Domanda non fatta: perché buttarlo? (foto Ansa)

ROMA – Roberto Licci, il papà del “Butta il cellulare”. Lo ha ammesso, riconosciuto, rivendicato di aver caldamente consigliato al figlio di buttare il cellulare. Il figlio è uno dei due accusati di botte, sequestro e violenza sessuale in quel di Viterbo. Uno dei due per cui l’avvocato difensore ha messo in campo l’argomento (letterale) “So’ ragazzi”. Uno dei due che si dicono “provati” dall’esperienza. Uno dei due verso i quali i fratelli di fede politica hanno parlato di “gogna mediatica” e “trappola”. Uno dei due che sostengono come la donna fosse, ovviamente, consenziente.

E allora, perché il pressante invito a buttarlo, farlo sparire il cellulare? Nel cellulare ci sono i video, i video di quanto successo. I due accusati, uno riprendeva, l’altro si faceva riprendere. A turno. Mentre lei, la donna, era sostanzialmente inerme. Chi accusa dice che quei video sono la prova indiscutibile: una donna stordita, priva di sensi e due che le stanno sopra, a turno. E due che del suo corpo fanno anche peggio che starle sopra o addosso o di lato con un altro corpo umano. Di peggio…

Chi li difende dice invece che lei ci stava, loro sono ragazzi e che, insomma, non esageriamo. Se hanno una qualche ragione i difensori dei due, perché l’urlo paterno a buttare, far sparire il cellulare? Se in quei video c’è una donna consenziente e due ragazzi solo esuberanti, perché far sparire video e cellulare?

Molte cose sono state domandate dai giornalisti a Roberto Licci. E lui ha risposto: l’ho fatto per difendere mio figlio, non è reato, sì è vero gli ho detto di buttare il cellulare…Una sola cosa non gli è stata chiesta appunto: perché avvertiva il figlio di far sparire in fretta il cellulare? Non vi può essere altra risposta che perché sapeva che in quel cellulare e in quei video non c’erano certo le prove dell’innocenza del figlio e dell’altro. Altrimenti sarebbe stato un cellulare da esibire a poliziotti e giudici e non un cellulare da far sparire.

Roberto Licci dice di non aver visto i video nel cellulare del figlio. E allora perché dice al figlio di far sparire il cellulare? Si dicono intorno a questa vicenda tante cose che segnalano come cartelli stradali sensi unici e strade senza uscita. Si dice che in fondo chiunque, qualunque genitore avrebbe fatto, farebbe come Roberto Licci, lo dice lui stesso: “Ho agito da padre, così fanno i padri”. Ed anche la legge esime i parenti dal collaborare attivamente con le forze di polizia e la magistratura ai danni dei congiunti che abbiano commesso reato. Leggi a parte, è in ogni modo comprensibile contemplato che il genitore non denunci il figlio che delinque. Ma tra non denunciare e coprire, attivamente coprire il reato e il suo autore c’è enorme differenza.

Differenza che si stenta a cogliere. Anche a Manduria: i genitori, le famiglie dei ragazzi accusati di prolungata tortura verso un vecchio debole di mente, molti sapevano dei video e quindi delle torture. Non hanno fatto un fiato, non hanno denunciato i figli. E fin qui…Ma alcuni di loro hanno fatto di più e di diverso: hanno provato a cancellare le prove del reato. E qui non è più il genitore che non denuncia la prole, qui è azione avversa alla legge e al prossimo.

Differenza che si stenta a cogliere tra non denuncia e correità morale e pratica. Differenza che sfugge, colpevolmente sfugge non a qualche famiglia investita da un dramma. Sfugge a milioni che amano dirsi e pretendono essere cittadini e in quanto tali detentori di molti diritti e della autentica e ultima legittimità. Ma si è cittadini se non si grida al figlio di buttare il cellulare, se non si prova a cancellare le prove delle violenze dei ragazzi di casa, se non si pensa che un genitore debba, per essere davvero tale, fare sempre e comunque da compare alla prole. A Manduria il giudice che ha tenuto gli accusati in carcere ha motivato, tra l’altro, la sua decisione con il fatto che mandarli a casa ai domiciliari è rimandarli dove li coprono collaborando contro la legge e il prossimo. Cittadini, cittadini di cosa?  

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