PARIGI – Nel blitz iniziato ieri mattina prima dell’alba e conclusosi all’ora di pranzo (2 terroristi morti) la polizia francese ha attaccato gli obiettivi nascosti nella banlieue resa famosa dal film “L’odio” di Mathieu Kassowitz, teatro degli scontri del 2005 e dove sono nati gli stragisti di Charlie Hebdo e di venerdì scorso.
“93”, Seine Saint Denis, un marchio indelebile. Marco Imarisio, inviato del Corriere della Sera a Parigi, non può che mettere in fila i nomi dei vari attentatori cresciuti nei Comuni della cintura nordest della periferia parigina (“Francesi hanno ucciso francesi”, ha dovuto ammettere Hollande) da Charlie Hebdo in poi.
Tutti del medesimo dipartimento, il “93”, quello di Seine Saint Denis: se, come si ripete e riporta ancora il cronista, è una specie di marchio indelebile per chi ci vive, qualche riflessione andrà fatta sulla ex Stalingrado parigina feudo politico dei comunisti prima di diventare zona franca dalla polizia. A partire proprio da L’odio (La Haine).
A Genevilliers, sono cresciuti i fratelli Kouachi autori della strage di Charlie Hebdo, a La Courbe voile è nato Ahmedi Koulibaly, l’assassino dell’Hypercacher, da Drancy veniva Sami Amimour, uno dei tre stragisti del Bataclan, a Bobigny i fratelli Abdeslam hanno affittato l’appartamento che ha fatto da base logistica per la strage di venerdì. (Marco Imarisio, Corriere della Sera).
Un Comune di Seine Saint Denis, Clichy-sous-Bois – citiamo da Wikipedia, alla voce Seine Saint Denis – fu teatro della morte di due giovani nel 2005 che provocò l’ondata nazionale di rivolte. Tra ottobre e novembre furono bruciate 9mila automobili, 3mila rivoltosi arrestati. “Racaille“, così, definendoli sprezzantemente “canaglia”, l’ex presidente Sarkozy si riferiva ai giovani di quelle banlieue.
In quella designata dal numero 93 più della metà dei giovani sotto i 18 anni ha origini straniere (immigrati di seconda generazione compresi, calcolo complicato dal divieto francese di riferirsi a dati etnici nei censimenti). Qui la religione dominante è l’islam.
A 20 anni da La Haine, cosa è cambiato? 20 anni fa, all’epoca del film, Kassowitz poteva raccontare la vicenda di tre amici di cui Vinz (interpretato da un giovane Vincent Cassel), ebreo, se ne andava in giro con un magrebino e un nero africano. Li univa l’estraneità ai circuiti della Ville Lumiere, il verlan, lo slang delle periferie, l’attrazione per le gang e i traffici di droga, l’odio ricambiato per la Polizia, un’alienazione sociale denunciata fra l’altro dalla lunga serie di scioperi e manifestazioni contro le politiche restrittive di Alain Juppé. Cosa è diventata quella banlieue oggi?
Un tentativo di risposta lo fornisce Andrew Hussey del quotidiano inglese The Guardian, tornato quest’anno a Chanteloup-les-Vignes, luogo dove fu effettivamente girato il film, una specie di incubo orwelliano più concentrazionario che residenziale (e le scene del film che lo ritraggono valgono un trattato di sociologia applicata). Con contrappunto surreale delle gigantografie di Rimbaud e Baudelaire. La presenza dell’Islam politico nel 1995 era ancora un fattore trascurabile nelle equazioni della violenza.
Ho parlato con Gilles Favier, il fotografo che ha lavorato al film originale. Mi spiega cosa è andato a finire peggio nella banlieue. “Nel 1995 avevo i miei dubbi sul fatto che un ragazzo neo, un arabo e un ebreo potessero essere amici. Ma oggi è tutto più frammentato. A causa dell’ascesa dell’Islam radicale. Questo è ciò che ha creato le maggiori divisioni e tensioni, ora non si tratta più di giovani contro la polizia o lo Stato, ma anche di giovani che vogliono uccidere gli ebrei o andare in Siria. La Haine parlava di amicizia e forse di una qualche speranza. Oggi si potrebbe realizzare solo un film sulla disperazione”. (Andrew Hussey, The Guardian).
Le ultime stragi, il furore assassino degli attentati nel centro di una città che a pochi chilometri sembra a distanza di anni luce da qui, dimostrano la debacle politico/sociale di un pezzo della metropoli, denunciano l’abbandono di una generazione, chiamano in causa una classe dirigente elitaria e indifferente. Un’amara ironia rileva il cronista del Guardian: se ieri La haine rappresentava uno sguardo sincero e in presa diretta sui guasti di un pezzo di società, oggi appare piuttosto come il ritratto di una lontana età dell’oro.