ROMA – Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del salario minimo garantito (lo Smig), evocato dal presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker, giovedì 10 gennaio, di fronte al Parlamento dell’Unione europea. “E’ necessario”, spiega, “perché la disoccupazione aumenta e la situazione è drammatica. E’ necessario per non perdere credibilità e avere l’approvazione della classe operaia”.
Immediatamente Karl Marx è risorto. Ma chi lo vuole veramente? La Commissione europea (e, sotto sotto, anche la Banca centrale). Perché? Per fare esattamente quello che vuole Junker. Ma non solo. L’obiettivo è duplice. Da un lato raffreddare le tensioni sociali in tutta Europa, per evitare che vi siano vere e proprie rivolte di massa, che potrebbero sfuggire di mano. Le rivolte della popolazione greca, ridotta alla disperazione, senza neppure i medicinali, sono destinate a inasprirsi con i prossimi, imminenti “tagli”; e potrebbero essere l’inizio di una rivolta di massa europea.
Dall’altro, introducendo un salario minimo garantito di circa 650 euro al mese, si determinerebbe a cascata in vari paesi, soprattutto dell’Est, la determinazione di un livello salariale fisso: ecco, molto chiaro, l’obiettivo numero due sottaciuto. Fissare bassi salari all’Est per introdurre un nuovo “parametro economico” virtuoso in Europa. Già in parte “introdotto” con il dilagare, a Ovest, dei poco costosi lavori flessibili. Per contrastare la concorrenza mondiale è necessario, infatti, abbattere tutti i costi e tra questi il costo del lavoro.
E i sindacati? Felici perché una battaglia della sinistra anni Ottanta (soprattutto dei socialisti) veniva riconosciuta dalla Commissione europea? Macché. I sindacati si sono divisi. A grandi linee, quelli dei paesi occidentali dell’Europa sono contrarissimi, forse perché temono un effetto-contagio su tutto il continente e vorrebbero invece che i salari crescessero nelle ex colonie sovietiche. Ma quelli dell’Est sono invece favorevoli: attualmente i loro salari da 650 euro circa sono poco garantiti perché difesi soltanto dal contratto di lavoro. Se venisse varato dall’Europa il salario minimo garantito, i loro 650 verrebbero garantiti da leggi statali, dagli Stati. E i lavoratori dell’Est sarebbero in una botte di ferro. “Contraddizioni in seno al popolo”, chioserebbe un seguace di Marx, Mao Tse Tung.
Già, ma quando verranno sciolte le “contraddizioni”? Quando si saprà se la Commissione europea avrà centrato il proprio bersaglio? E, se no, quale complessa mediazione verrà trovata (che tenga conto di obiezioni fondamentali, come quella dei costi altissimi di una operazione troppo generalizzata) ? Alla fine di gennaio, si spera, quando ci sarà una grande riunione tra la Commissione europea, i sindacati europei dei lavoratori e le organizzazioni, sempre europee, dei datori di lavoro. Non resta che attenderne l’esito: la posta in palio è altissima.
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