Amministrazione pubblica italiana: è un paese per vecchi

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 8 Ottobre 2015 - 07:27 OLTRE 6 MESI FA
Amministrazione pubblica italiana: è un paese per vecchi

Foto d’archivio

ROMA – Salvatore Sfrecola ha scritto questo articolo dal titolo “Errori antichi e recenti: l’amministrazione pubblica che invecchia non giova alla buona politica ed ai cittadini” anche sul suo blog “Un Sogno Italiano”.

L’Amministrazione pubblica italiana invecchia, inesorabilmente. Lo hanno decretato le leggi sui risparmi di spesa, un forsennato blocco del turn over che ha impedito l’effettuazione di concorsi per accesso a fronte dei pensionamenti. Nemmeno una parte dei pensionati, quella necessaria per le esigenze degli uffici, è stata sostituita da giovani. La conseguenza, già denunciata anni fa in una serie di servizi de Il sole 24 ore, è l’assenza dei giovani: solamente il 3,2 per cento dei dipendenti pubblici ha un’età compresa tra i 20 ed i 29 anni, mentre l’età media è salita a 52 anni.

È la conseguenza della politica folle degli ultimi governi. Mancano professionalità specifiche, essenziali nel nostro Paese. Ad esempio gli storici dell’arte non solo sono pochi ma sono anche anziani, mediamente oltre i 50 anni, in un Paese che dispone del più grande patrimonio storico-artistico dell’umanità. Invecchiano anche le forze di polizia, basta gettare lo sguardo in una auto di Polizia o Carabinieri. Sono sempre meno i giovani, quelli necessari per alcune operazioni che comportano un contrasto fisico impegnativo. Altra cosa sono le investigazioni e gli eventuali conflitti a fuoco dove l’esperienza è determinante.

Secondo Federico Fubini, che ha analizzato la situazione del pubblico impiego sul Corriere della Sera del 5 ottobre, “lo squilibrio è arrivato ad un punto tale che la burocrazia sembra alla vigilia di una sorta di rivoluzione: nel prossimo decennio circa un quarto degli attuali dipendenti dello Stato andrà in pensione. Uscirà poco meno di un milione di persone, e circa la metà dei dirigenti e degli alti funzionari attuali”. Una situazione, continua Fubini, che “in prospettiva si presenta come un’opportunità di quelle che non passano certo a ogni generazione. Di certo è una realtà che tiene al lavoro i tecnici di Palazzo Chigi, adesso che il Governo è chiamato a tradurre in pratica la legge delega di riforma della pubblica amministrazione: l’ambizione e di approfittare e (se possibile) accelerare il ricambio fra le generazioni, per rimodellare e modernizzare le burocrazie”.

Paghiamo errori gravissimi. Infatti non basta riempire gli uffici di giovani a distanza di anni, perché l’ingresso di forze nuove deve essere necessariamente graduale, in quanto all’entusiasmo e alla preparazione professionale delle nuove leve è necessario si colleghi l’esperienza di quanti hanno passato più tempo nell’ambito degli uffici. L’esaltazione della giovane età, che è certamente un valore se non altro per la naturale propensione ad un impegno di innovazione, si è nella realtà accompagnato ad una demonizzazione dei meno giovani, senza tener conto del fatto che l’esperienza è fondamentale e che proprio la lunga pratica in un ufficio consente ai funzionari, soprattutto ai dirigenti, di immaginare, meglio di altri, le esigenze di innovazione necessarie per migliorare la performance degli apparati. Come nel privato, e più che nel privato, negli uffici pubblici la formazione si attua in primo luogo mediante la trasmissione delle esperienze dagli anziani ai più giovani che le arricchiscono sulla base delle novità apprese anche sui banchi di scuola e nei corsi di formazione e aggiornamento.

Aggiungo che certa polemica antiburocratica, della quale non possiamo nasconderci una certa fondatezza, che addebita l’inefficienza degli apparati e delle procedure ai funzionari ed agli impiegati nelle varie qualifiche è diretta conseguenza dell’incapacità della politica di governare. A questa, infatti, spetta dettare le regole sull’organizzazione degli uffici e sul loro funzionamento, cioè sulle procedure alle quali i dipendenti pubblici si devono attenere per perseguire gli obiettivi indicati nelle leggi e nei programmi del governo o meglio dei governi, tenuto conto delle competenze che spettano a regioni, province e comuni in settori importanti della vita economica e sociale. Le leggi le fa il Parlamento, le direttive le impartiscono i ministri, i presidenti delle regioni, gli assessori, i sindaci.

Onestà vuole che si dia a ciascuno il suo. Che si riconoscano i difetti dell’amministrazione, sia di quelli dovuti all’insufficienza della normativa sia di quelli propri dei burocrati che troppo spesso si sono adagiati sulla routine anche per non entrare in conflitto con la classe politica che, rispetto ad un tempo, appare caratterizzata da arroganza e supponenza in molti casi agevolata dalla giovane età di ministri, sindaci e assessori che evidentemente non hanno avuto il tempo di maturare riflessioni sul loro ruolo e sulle finalità degli apparati dipendenti, che non sono uffici privati ma strutture pubbliche destinate all’attuazione delle politiche pubbliche nelle quali si concretizza l’indirizzo politico elettorale, parlamentare, e di governo.

Occorre, dunque, una riflessione a tutto campo se si vuole restituire efficienza all’apparato pubblico, nell’interesse della buona politica, dei cittadini e delle imprese.