Un condono a buon prezzo per chi ha danneggiato lo Stato italiano è stato introdotto, sotto le grandi ali della Imu, del Governo Letta, che, almeno in questo caso, sembra volere imitare, senza il minimo pudore, il predecessore Berlusconi e quel che fece nel 2005. La sintesi di questo scandalo è:
“Se danneggi l’erario paghi solo un quarto”.
Infatti, l’articolo 14 del decreto legge n. 102 del 31 agosto 2013 recante “Disposizioni urgenti in materia di Imu, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni di trattamenti pensionistici”, prevede la
“definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile”.
Un ingenuo cittadino italiano potrebbe pensare che il governo abbia ritenuto opportuno accelerare la riscossione dei crediti erariali derivanti da sentenze di condanna della Corte dei conti. Cioè che lo Stato incassi subito la somma alla quale i giudici contabili hanno ritenuto di dover condannare un amministratore o un funzionario il quale, con dolo o colpa grave, abbia determinato un pregiudizio finanziario o patrimoniale allo Stato o ad un ente pubblico.
Non è così. L’agevolazione ha lo scopo di alleggerire l’importo della condanna prevedendo che i condannati in primo grado possano, in appello, chiudere la partita giudiziaria pagando una somma entro il 25% di quanto loro addebitato in primo grado. È evidente la sproporzione tra il danno accertato e quel che viene pagato, un quarto del dovuto.
Il governo Berlusconi, nel 2005, aveva inserito una norma analoga, cosiddetto “condono erariale”, nella legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che già all’epoca destò scandalo perché, fra l’altro, fu ritenuta norma ad hoc in favore di un ministro che la Corte aveva condannato.
Da notare l’ipocrisia della disposizione che al primo comma così si esprime: “in considerazione della particolare opportunità di addivenire in tempi rapidi all’effettiva riparazione dei danni erariali accertati con sentenza di primo grado…”
La “effettiva” riparazione è evidentemente esclusa in principio dal fatto che il condannato ottiene in appello lo sconto del 75% del danno accertato dal giudice di primo grado.
Quindi l’agevolazione è soltanto per il condannato, un amministratore o un dipendente pubblico nei confronti del quale il giudice contabile, su iniziativa del Pubblico Ministero, ha accertato che con dolo o colpa grave ha posto in essere un comportamento, commissivo od omissivo, fonte di danno. Non si tratta di errori o di piccole irregolarità. Il dolo è la massima espressione della volontà colpevole di causare gli effetti che sono stati in realtà prodotti, e la colpa grave si configura come grandissime trascuratezza negligenza e imperizia che sfiorano il dolo e ad esso vengono tradizionalmente equiparate. I romani dicevano culpa lata dolo aequiparatur.
Non fa certamente bene all’immagine di un Governo che richiama continuamente i principi della legalità l’aver inserito in un decreto-legge una norma che favorisce coloro che hanno determinato sprechi o illeciti gravissimi, come corruzione o concussione, in danno dei bilanci e dei patrimoni pubblici.
È un pessimo esempio, diseducativo perché afferma che si può impunemente danneggiare lo Stato o un ente pubblico, tanto si paga poi una somma limitata, ed è mortificante per i magistrati contabili, sia per i pubblici ministeri che indagano, sia per i giudici che decidono, i quali vedono frustrata la loro funzione di tutori dell’erario che alla Corte dei conti è affidata nell’ordinamento italiano fin dalla costituzione dello Stato nazionale e come prescrive la Costituzione della Repubblica.
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