Finanziamento pubblico: controllo Corte dei conti, ai partiti non va, i soldi sì

 

Finanziamento pubblico: controllo Corte dei conti, ai partiti non va, i soldi sì
Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti: un controllo che ai partiti non va giù

Si continua a parlare di finanziamento pubblico dei partiti politici e se ne sentono di tutte le specie. Le fantasie si accendono sulle ipotesi alternative, che si presentano tutte difficilmente percorribili.

Non si deve dimenticare che il finanziamento pubblico nacque come modo per rendere i partiti meno dipendenti dai centri di potere, e di finanziamento, esterni.

Si deve anche dare credito a chi dice che chiudere i rubinetti pubblici improvvisamente non sarebbe giusto, perché danneggerebbe i dipendenti dei partiti, mettendoli improvvisamente sul lastrico. Gli stessi partiti vorrebbero un tempo necessario, una volta identificato un nuovo meccanismo di finanziamento, per riconvertirsi nella nuova realtà.

Tutto ragionevole. Sta di fatto che, ove fosse in qualche modo mantenuta una contribuzione pubblica, questa non potrebbe non essere assoggettata a controlli e non a controlli qualunque. Nel nostro ordinamento il denaro pubblico è soggetto a verifiche di legalità e di regolarità della Corte dei conti, come di recente è stato definito dal Parlamento con la conversione in legge del decreto 174 del 2012 prevedendo che le Sezioni regionali della Corte dei conti controllino i rendiconti dei gruppi consiliari regionali, destinatari di somme a carico dei bilanci dei rispettivi Consigli sulla base di leggi che le regioni si sono date quanto alla qualità e quantità delle spese ammissibili.

In sede nazionale la Corte già controlla i rendiconti delle spese elettorali dei partiti in occasione del rinnovo di Camera e Senato. Quindi è già sul campo ed ha svolto questo non facile lavoro con serena determinazione raccogliendo consensi da parte di quanti hanno maggiormente senso dello Stato.

Il disegno di legge, ha scritto Blitzquotidiano, arriverà a breve in Parlamento, dove troverà opinioni dissenzienti tra chi vuole abolire ogni finanziamento pubblico (Enrico Letta, Matteo Renzi) e quanti propongono forme miste pubblico-privato. L’ipotesi del 2 per mille è osteggiata in particolare dal Movimento 5 Stelle.

Quale soluzione, dunque? Il timore è quello di una nuova Tangentopoli, un pericolo sempre dietro l’angolo a leggere i giornali che di fatti di corruzione si occupano in pratica tutti i giorni. Corruzione a fini personali che potrebbe esplodere letteralmente, come fu nel 1992, per sostenere i “costi” della politica.

Dunque bene un qualche tipo di finanziamento pubblico ma con i controlli che si devono laddove si spendono somme di tutti. Controlli che non possono non essere affidati alla Magistratura contabile, organo terzo che garantisce tutti, i partiti ed i cittadini, dalle cui tasche quelle somme sono vengono prelevate.

Blitzquotidiano, riferendo del dibattito in corso, qualifica come “più agguerrito” Maurizio Bianconi del PdL che rimbecca la Corte dei conti per aver segnalato come gli incassi dei partiti siano stati pari a 2 miliardi a fronte di 500 milioni rendicontati. E dice: poiché “i magistrati sono gli unici che si sono dati l’aumento di stipendio, non hanno diritto di parlare”.

Arrogante e ignorante, nel senso che ignora un dato essenziale. I magistrati non si possono “dare” lo stipendio che è previsto per legge. Così confermando le ragioni del discredito di cui “gode” la classe politica. Un fatto pericoloso, che alimenta la ribellione della gente ed il rigetto della politica che, se fosse rappresentata da altre persone tornerebbe ad essere quella nobile arte della gestione della cosa pubblica che ci era stato insegnato dai nostri maggiori, come si usa dire, da quanti hanno combattuto per la libertà sperando di metterne la difesa in mani migliori.

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