Flat tax e tasse evase, la strada in salita di Giorgetti

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 9 Agosto 2018 - 06:25 OLTRE 6 MESI FA
Flat tax e tasse, la strada in salita di Giorgetti

Flat tax e tasse evase, la strada in salita di Giorgetti (nella foto Ansa, Giancarlo Giorgetti)

ROMA – Di reddito di cittadinanza e flat tax, piatti forti del programma dei partiti di governo si è cominciato a parlare concretamente a Palazzo Chigi nei giorni scorsi. In un vertice tra il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, i Vicepresidenti Luigi Di Maio e Matteo Salvini, e il Ministro dell’economia e delle finanze, Giovanni Tria, presente anche il Sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti che è stato l’unico a commentare [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play.

Si può fare. La strada è tracciata, ha detto, anche se “in salita” in vista della “legge di bilancio”, quella che un tempo era la legge finanziaria e poi di stabilità, dove si trovano i soldi, le risorse per far fronte alle maggiori spese (reddito di cittadinanza) o alle minori entrate dovute alle riduzioni fiscali promesse (flat tax).

Si farà tutto e subito? Impossibile. L’onere previsto secondo alcuni calcoli non smentiti è di alcune decine di miliardi. Per cui tra il sì e il no, di chi è convinto che né l’una né l’altra riforma si possa fare, c’è un più realistico “forse” che vuol dire gradualità. Un inizio indispensabile per soddisfare le aspettative dell’elettorato che sostiene Movimento 5 Stelle e Lega, e uno sviluppo nel tempo, con prudenza, per non creare allarmismi sui mercati da sempre attenti all’equilibrio dei conti pubblici.

Che la strada per le riforme sia “in salita”, per riprendere l’espressione usata da Giorgetti che di conti pubblici se ne intende, essendo stato Presidente della Commissione bilancio della Camera, laddove si valutano le coperture delle leggi che prevedono una nuova o maggiore spesa o una riduzione di entrate, lo sui deduce anche dalla relazione al Parlamento con la quale la Corte dei conti ha riferito sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2017. È un documento di pochi giorni fa, eloquente in particolare in materia di entrate, riferimento fondamentale di ogni politica che si muova mantenendo gli equilibri di bilancio.

Le entrate non crescono, scrive la Corte, e non diminuisce neppure l’evasione fiscale che fa mancare alle casse pubbliche la bella cifra di oltre 100 miliardi di euro annui, più di quanto servirebbe per far fronte agli oneri derivanti dalle due riforme, la maggiore spesa (reddito di cittadinanza) e la minore entrata fiscale a seguito di una generalizzata riduzione del carico tributario su cittadini ed imprese. Infatti, i livelli dell’evasione fiscale, scrivono i magistrati contabili – in media, nel triennio 2012-2014, il gap complessivo è stato pari a circa 107,7 miliardi, di cui 97 miliardi di mancate entrate tributarie e 10,7 miliardi di mancate entrate contributive – “restano sostanzialmente costanti da un anno all’altro e particolarmente elevati rispetto a quelli esistenti nei principali paesi europei”.

Per dire che il fenomeno patologico, non ignoto ad altri paesi, è, tuttavia, in quelle dimensioni soprattutto italiano. Grave in particolare perché la lotta all’evasione è assolutamente inadeguata rispetto all’esigenza, “che dovrebbe indurre strategie articolate basate su vari livelli di intervento per favorire e facilitare l’adempimento spontaneo e contrastare i comportamenti pervicacemente scorretti con adeguati controlli ed incisive misure sanzionatorie e di riscossione”.

Anche per l’evasione dell’IVA la Commissione Europea ha segnalato che l’Italia è ai primi posti e la Corte lo ricorda. E segnala che il contrasto all’evasione dovrebbe articolarsi “in un insieme di strumenti tra loro coordinati e coerenti, quali quelli normativi, quelli tecnologici e quelli più specificamente amministrativi” escludendo quegli “andamenti contraddittori, nocivi all’efficacia del sistema”. Infatti l’evasione non è solo un problema di controlli, perché in primo luogo dovrebbero essere messi in campo meccanismi diretti a “facilitare l’adempimento spontaneo” del dovere tributario.

Come per dire che, in ogni caso, non è sufficiente denunciare la mancanza di personale (-11,8%), che tra l’altro ha giustificato la creazione di meccanismi di assegnazione di posizioni di ruolo ripetutamente disposte senza selezioni che rispettino la norma costituzionale (art. 97, comma 3) la quale impone che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”. Norma sistematicamente aggirata, come ricordato dalla Consulta con la sentenza n. 37 del 2015, nonostante la quale non si cambia. Anzi si persevera nell’errore sicché oggi si prevede una “procedura selettiva” riservata agli interni per conferire posizioni organizzative di elevata responsabilità (POER), quelle che nel privato sono assegnate ai “quadri” (nel pubblico invano definita “vice dirigenza”).

Una selezione costituita da una Prova scritta “di carattere pratico su aspetti collegati all’attività lavorativa” e in un “colloquio di approfondimento sulla motivazione, le competenze e la storia professionale del funzionario”. Insomma i candidati diranno di sé e perché vogliono fare carriera. E già partono i ricorsi ai TAR, che si aggiungono a quelli di cui dà conto il sito dell’Agenzia delle entrate, dove si contestano illegittimità varie, a cominciare dalla mancata utilizzazione di graduatorie di precedenti concorsi che sono state fatte scadere, ed alle posizioni organizzative (POS) conferite “per grazia del principe” ed attualmente all’attenzione della Corte costituzionale, la quale inevitabilmente tornerà a pronunciarsi per la illegittimità di procedure selettive che non sono concorsi.

Preoccupa il Governo ed il Ministro Tria soprattutto che le entrate dello Stato non crescano, che denuncino “una sostanziale stabilità”, come scrive la Corte: oltre 582 miliardi (solo il 3% più del 2016), l’84% dei quali è costituito dalle entrate tributarie (+0,5% rispetto al 2016). Uno zero virgola certamente apprezzabile, perché sconta gli effetti della riduzione del carico tributario su alcuni contribuenti (riduzione dell’aliquota Ires dal 27 al 24%, modifica delle detrazioni sui redditi da pensione, modifiche alla detassazione dei premi di produttività).

Tuttavia, va considerato che “il fenomeno delle imposte dichiarate e non versate – prosegue la relazione – si riconnette ad un altro aspetto peculiare nel funzionamento del sistema fiscale italiano, quello delle rateazioni dei debiti d’imposta, che costituisce ormai un nuovo canale di erogazione del credito, pur in assenza di garanzie e di valutazioni prognostiche sulle future capacità dei debitori, con l’effetto non infrequente di differire nel tempo la presa d’atto di insolvenze ampiamente prevedibili”. Come dimostra il contenzioso tributario nel quale l’Avvocatura erariale di trova a rincorrere spesso soggetti ormai falliti e, pertanto, insolvibili.

E qui va ricordata un’altra denuncia della Corte dei conti, la mancata realizzazione dell’anagrafe dei grandi evasori. Un’omissione politicamente grave, con aspetti non irrilevanti di danno erariale. Nel contempo crescono le imposte indirette: +1,9% rispetto al 2016, a conferma di una tendenza che dal 2013 ha visto incrementare il gettito del 9,7 per cento. E c’è chi considera l’aumento delle aliquote IVA una ipotesi possibile per coprire, almeno in parte, le nuove spese.