ROMA – Salvatore Sfrecola ha pubblicato questo articolo anche sul suo blog Un sogno italiano, col titolo “Governo e Corte costituzionale? Ipocrisie politiche e certezza del diritto”.
Non è la prima volta che la Corte Costituzionale boccia iniziative governative e parlamentari sbandierate come necessarie e salvifiche rispetto a situazioni finanziarie critiche richiedenti il contenimento della spesa pubblica. Accade in tutto il mondo, in particolare in Europa.
Ma il dibattito che impegna in questi giorni la stampa e la politica sulla sentenza della Corte costituzionale, che ha giudicato non conforme alla Carta fondamentale il blocco della indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte quelle minime, rivela vaste ipocrisie e molta ignoranza sulle regole, politiche e giuridiche del nostro Stato.
Il senatore Mario Monti, il Presidente del Consiglio che approvò quella riforma delle pensioni, cosiddetta Fornero, ha citato casi analoghi di interventi delle Corti costituzionali di paesi dell’Unione Europea su iniziative di riduzione della spesa ritenute illegittime, dal Portogallo alla Grecia, alla Germania. E questo induce a qualche considerazione che non sento e non leggo nel dibattito di questi giorni.
Il ripetersi della bocciatura di misure di contenimento della spesa – la Consulta si dovrà occupare nei prossimi mesi del tetto delle retribuzioni pubbliche fissato in 240 mila, ritenuto di dubbia costituzionalità dal T.A.R. del Lazio – dimostra, da un lato, l’incapacità dei Governi di coniugare diritti e scelte economiche e, dall’altro, una sorta di gioco delle parti, per cui si fanno scelte all’evidenza popolari (riduzioni di stipendi e pensioni sopra una certa soglia) per soddisfare esigenze immeditate di cassa così allontanando difficoltà nella gestione dei conti ma di fatto si rinvia “la grana” ai governi successivi, quelli che dovranno, letteralmente, “fare i conti” con gli effetti delle sentenze che restituiscono soldi e interessi a quanti ne erano stati illegittimamente privati.
Il ripetersi di questi episodi, in pratica ad ogni riforma, conferma che la gestione della finanza pubblica continua ad essere caratterizzata da misure inadeguate, di corto respiro, che limano qua e là secondo le esigenze del momento con occhio all’elettorato di riferimento. Nessuna autentica misura strutturale diretta a conseguire obiettivi significativi di efficienza amministrativa e di sviluppo economico e sociale. Solo pezze a colore qua e là per rattoppare la coperta lisa della politica.
Scarsa capacità di visione politica, inadeguata conoscenza degli strumenti operativi delle pubbliche amministrazioni, i governi da tempo si limitano al piccolo cabotaggio anche quando vengono annunciate riforme sbrigativamente definite “epocali”. Basti pensare che lo “sblocca Italia”, un provvedimento che dovrebbe riaprire i cantieri e chiuderli rapidamente e sviluppare attività economiche private, occupa sulla Gazzetta Ufficiale, che adotta un corpo di stampa ridotto, quasi trecento pagine, un corpus normativo che ben poco semplifica.
È il limite della politica che considera il potere un obiettivo personale o, al massimo, di partito, non un servizio alla comunità. Così continuando non si va da nessuna parte.