Italia patria dei condoni. Uno più scandaloso dell’altro, l’ultimo più scandaloso di tutti. È il condono erariale che ha elargito uno sconto 75% anzi dell’80% a chi ha danneggiato lo Stato. Per evitare troppo clamore, lo hanno infilato nel decreto legge sulla Imu della scorsa estate. No, questa volta Berlusconi non c’entra. Sotto c’è la firma di Napolitano e Letta
Ogni volta si afferma solennemente che è l’ultimo, che è reso necessario dall’esigenza di voltare pagina, secondo nuove regole che siano in condizione di assicurare la legalità. Che si ricorre al condono per liberare le carceri sovraffollate, indegne di un Paese civile. Se, poi, è un condono fiscale il motivo è quello di “fare cassa” e di “scovare” gli evasori. Ugualmente se il condono riguarda abusi edilizi.
Ogni volta una bugia, della quale nessuno si vergogna, tanto la prossima volta a dirla è un altro.
In un paese civile, nel quale le istituzioni dello Stato siano ordinate ed ispirate al principio di legalità, i condoni sarebbero inammissibili, sono la negazione del principio della certezza del diritto, premiano i “furbi”, coloro che hanno violato la legge, penale, tributaria o urbanistica, ed offendono le persone per bene, quelle che la rispettano.
Eppure in questo Paese, che un tempo si vantava di essere la “Patria del diritto”, che oggi constatiamo essere una impropria e immeritata etichetta, di condoni se ne fanno a iosa. Non solo, amnistie ed indulti, un tempo adottati “ad ogni morte di Papa”, che anche in questi giorni dividono l’opinione pubblica, tra quanti fanno prevalere un sentimento di pietà verso le condizioni inumane della detenzione e quanti preferirebbero che lo Stato costruisse nuove carceri o definisse modelli alternativi di punizione, soprattutto dopo che è stato reso noto che in stati a noi vicini, Regno Unito, Francia, Germania il numero dei detenuti è sostanzialmente identico al nostro, ma le condizioni di chi è in carcere sono migliori che in Italia.
I condoni non piacciono ai cittadini onesti e certamente non piace il condono cosiddetto “erariale” con il quale chi è stato condannato dalla Corte dei conti a pagare una somma per risarcire un danno finanziario o patrimoniale provocato allo Stato o ad un ente pubblico con dolo o colpa grave potrà corrispondere solo una parte della somma che il giudice ha ritenuto congrua.
Attenzione! È una cosa di una gravità estrema. La comunità è stata depauperata di valori finanziari o patrimoniali perché il condannato ha sperperato, ha danneggiato il patrimonio pubblico, ha leso gravemente l’immagine della pubblica amministrazione, e la classe politica, il Governo e il Parlamento, privano i cittadini-contribuenti del ristoro di quanto ha costituito danno. Un danno, è bene ricordare, che insieme ad altri danni (spese pazze, entrate non riscosse, ecc.) è la ragione prima delle tante imposte e tasse che gravano sui cittadini.
Così il governo a fine agosto emana il decreto legge n. 102 del 31 agosto il quale prevede, all’articolo 14, la “definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile”. Definizione ironica alla luce della norma che così si esprime:
“1. In considerazione della particolare opportunità di addivenire in tempi rapidi all’effettiva riparazione dei danni erariali accertati con sentenza di primo grado, le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 231 a 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, si applicano anche nei giudizi su fatti avvenuti anche solo in parte anteriormente alla data di entrata in vigore della predetta legge, indipendentemente dalla data dell’evento dannoso nonché a quelli inerenti danni erariali verificatisi entro la data di entrata in vigore del presente decreto, a condizione che la richiesta di definizione sia presentata conformemente a quanto disposto nel comma 2.
“2. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, deve essere presentata, nei venti giorni precedenti l’udienza di discussione e comunque entro il 15 ottobre 2013, specifica richiesta di definizione e la somma ivi indicata non può essere inferiore al 25 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; in tali casi, la sezione d’appello delibera in camera di consiglio nel termine perentorio di 15 giorni successivi al deposito della richiesta e, in caso di accoglimento, ai fini della definizione del giudizio ai sensi del comma 233, con decreto da comunicare immediatamente alle parti determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta, stabilendo il termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre 2013”.
Ironico quel riferimento “all’effettiva riparazione dei danni erariali accertati con sentenza di primo grado”. Una autentica bugia. L’effettiva riparazione non c’è. Ci sarebbe solo se il condannato pagasse il suo debito integralmente.
Una vergogna! A danno del cittadino.
Ma non basta, nonostante le critiche da più parti manifestate.
Così in sede di conversione il Parlamento inserisce due significative modifiche peggiorative, palesemente peggiorative degli interessi erariali.
Pagare il 25 per cento deve essere sembrato troppo ai nostri parlamentari per chi ha provocato danni di centinaia di migliaia di euro o addirittura milioni, come nel caso dei gestori delle slot machine. E così viene inserito il comma 2-bis con il quale si stabilisce che
“qualora la richiesta di definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile… sia accompagnata da idonea prova dell’avvenuto versamento, in unica soluzione, effettuato in un apposito conto corrente infruttifero intestato al Ministero dell’economia e delle finanze, che provvede al successivo versamento al bilancio dello Stato o alla diversa amministrazione in favore della quale la sentenza di primo grado ha disposto il pagamento, di una somma non inferiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, la sezione d’appello, in caso di accoglimento della richiesta, determina la somma dovuta in misura pari a quella versata”.
Ma non finisce qui. Non sia mai che quelli che hanno pagato il 25 per cento previsto dalla norma originaria ci debbano “rimettere”.
Nessun problema, il comma, il 2 ter prevede che
“le parti che abbiano già presentato istanza di definizione agevolata … precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, possono modificarla in conformità alle disposizioni di cui al comma 2 bis entro il 4 novembre 2013. Entro il medesimo termine, le parti, le cui richieste di definizione agevolata … abbiano già trovato accoglimento, possono depositare presso lo stesso giudice che ha emesso il decreto istanza di riesame unitamente alla prova del versamento … di una somma non inferiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; la sezione d’appello delibera in camera di consiglio, sentite le parti, nel termine perentorio di cinque giorni successivi al deposito della richiesta e, in caso di accoglimento,…. con decreto da comunicare immediatamente alle parti, determina la domma dovuta in misura pari a quella versata”.
Insomma, fior di gentiluomini che hanno provocato danno erariale, compresi i concessionari delle slot machine, se la cavano pagando un misero 20 per cento di danni enormi quotidianamente ricordati dalla stampa.
La gravità della scelta del Governo è emersa nel corso del dibattito parlamentare sulla legge di conversione. Nell’occasione è stato ricordato che sotto il profilo ordinamentale, le nuove norme si innestano su quelle già in vigore (l’art. 1, commi 231-233, della legge n. 266 del 2005) già oggetto di favorevole scrutinio da parte della Corte costituzionale in una sentenza formalistica che nulla dice della grave lesione portata al sistema di garanzie ma si ferma a considerare aspetti meramente estrinseci del procedimento dinanzi al giudice di appello.
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