Opere pubbliche in Italia. Efficienza poca, sprechi e corruzione, molti

Opere pubbliche in Italia. Efficienza poca, sprechi e corruzione, molti
Opere pubbliche in Italia. Efficienza poca, sprechi e corruzione, molti

ROMA – Salvatore Sfrecola ha pubblicato questo articolo anche sul suo blog, Un sogno italiano, col titolo “Efficienza poca, sprechi e corruzione, molti”.

L’esperienza delle opere pubbliche italiane è come uno specchio nel quale si vedono nitidamente riflessi il bene e il male di questo nostro Paese, l’immagine fisica di quanto e come è stato realizzato e, sullo sfondo, i rapporti tra imprese e politica, della quale possiamo misurare il grado di effettiva indipendenza dagli interessi privati.
Purtroppo a fronte di rilevanti investimenti prevalgono grande sperpero di risorse pubbliche e illeciti diffusi, due elementi intimamente connessi. Lo spreco, infatti, come vado dicendo da tempo, non è quasi mai occasionale, ma voluto da amministratori e funzionari incapaci o più spesso corrotti.
Cominciamo col dire che, come insegna la storia, le infrastrutture vengono assai spesso immaginate e localizzate in ragione di interessi locali o personali del titolare di un potere di scelta ampiamente discrezionale. Naturalmente queste considerazioni non escludono che opere, pur così originate, siano necessarie, siano state realizzate bene ed a costi giusti.
Per far comprendere ai nostri lettori di cosa parliamo, giorni addietro la televisione ha dato notizia che in una cittadina di 28mila abitanti è stato costruito un campo di polo dimensionato su 20mila spettatori. Non servono spiegazioni o commenti. Attenzione, non un campo di calcio, che darebbe stato comunque sovradimensionato rispetto ai possibili utenti, ma un campo di polo, uno sport che, come tutti sanno, è popolare e diffuso in Italia!
In sostanza la scelta di costruire o ampliare una strada o una ferrovia ovvero una scuola o una caserma è dell’autorità politica competente, in particolare del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che eredita le competenze di due distinti ministeri, dei lavori pubblici e dei trasporti, nell’ambito del quale ultimo operava l’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, poi ente pubblico e infine società per azioni, per evitare controlli. A volte l’opera è destinataria di un apposito finanziamento previsto, ad esempio, nella legge di stabilità (già finanziaria).
Naturalmente costruiscono immobili e strade anche le regioni (che hanno ereditato parte della rete ANAS), le province ed i comuni.
Questa prima fase identifica l’esigenza, quanto alla destinazione dell’opera e alla sua collocazione nel territorio nazionale. Spesso in aree che interessano il collegio elettorale del ministro o ambienti del suo partito o di un partito di governo. Ma anche dell’opposizione, al quale si vuol offrire una utilità politica di scambio. In questa scelta si inserisce, come l’esperienza insegna, una diversa variabile. Quella che attiene all’impresa che “deve” realizzare l’opera. Non sembri un’eresia nel Paese nel quale regole dettagliate disciplinano il procedimenti di gara in applicazione anche della normativa europea in tema di concorrenza.
Il fatto è che il progetto viene spesso confezionato tenendo presente le caratteristiche dell’impresa “predestinata”, delle sue specifiche, reali o presunte, capacità tecniche e dell’esperienza maturata nello specifico settore.
Una volta assegnato l’appalto, che l’impresa si è vista aggiudicare con un forte ribasso sul prezzo a base d’asta (la fonte di tutti i mali perché quelle somme sono spesso poco remunerative), si inserisce una nuova variabile, quella concernente tempi e modi di realizzazione dell’opera sotto la sorveglianza dell’Amministrazione committente, cioè la Stazione appaltante. Aperto il cantiere inizia l’avventura che probabilmente, come spesso accade, si concluderà in tempi più lunghi di quelli previsti in contratto, con lievitazione dei costi e, quindi, dei guadagni). È probabile, infatti, che l’impresa apra e chiuda il cantiere sospendendo la realizzazione dell’opera perché le condizioni climatiche avverse o c’è altra causa di forza maggiore o circostanze speciali non previste né prevedibili, improvvise difficoltà di esecuzione, magari accerta l’esistenza della cosiddetta “sorpresa geologica” che naturalmente prevede una variante progettuale, sempre costosa, spesso molto costosa.
Quando finalmente i lavori riprendono non è detto che procedano secondo il cronoprogramma, cioè nei tempi stabiliti dal contratto. Sono sempre in agguato “sorprese” consegnate in “riserve” con le quali l’impresa eccepisce maggiori costi o difficoltà varie, sempre a suo favore.
L’Amministrazione controlla l’andamento dei lavori tuttavia accade sovente che, ancorché collaudata (collaudo, dal latino cum laude), cioè ritenuta conforme al progetto ed alle regole dell’arte, l’opera entrata in esercizio dimostri presto, spesso prestissimo, gravi difetti sicché richiede interventi di manutenzione straordinaria, nonostante la recente realizzazione.
Raramente paga l’impresa, mai il collaudatore, incapace o infedele.
A parte le sanzioni possibili, ma rare, i collaudatori dovrebbero essere soggetti a regole rigide. Pagati bene (ma l’amministrazione stoltamente ha diminuito i compensi con l’effetto che i migliori professionisti e i più impegnati rinunciano), scelti, nell’interesse pubblico, per la loro professionalità ed esperienza i collaudatori dovrebbero essere messi al riparo di “tentazioni”, quali l’aspettativa di un incarico dall’impresa i cui lavori hanno collaudato o da imprese collegate almeno per un quinquennio. Non solo, uguale limitazione dovrebbe riguardare i familiari e gli affini che potrebbero essere gratificati di incarichi ben remunerati per “ringraziare” il collaudatore compiacente.
Riprendiamo, in conclusione, il tema della scelta dell’impresa per sottolineare come, anche qui soccorre ancora l’esperienza, troppe volte chi realizza l’opera è identificabile come persona “vicina” al politico che decide e governa l’appalto. Con la conseguenza che è facile pensare che l’imprenditore privilegiato si sdebiti nei confronti del politico benefattore in uno dei modi che abbiamo imparato a conoscere dalle cronache giudiziarie. Dona un immobile al politico od a persona amica, gli paga le vacanze o le spese per una iniziativa politica, per una pubblicazione, per l’organizzazione di un convegno, per l’acquisto di manifesti. Naturalmente spesso l’imprenditore non si espone direttamente. Si serve di altra impresa o di persona amica che provvede all’abbisogna.
Tutto questo avviene in un contesto di controlli amministrativi e giudiziari e spesso ci stupiamo molto che ciò avvenga. Il fatto è che gli illeciti sono tanti e la prova dell’accordo fraudolento è difficilmente dimostrabile con certezza, anche se desumibile dagli effetti negativi sulla bontà delle opere, sulla loro necessità, sui costi e sulla loro realizzazione secondo le indicazioni del contratto e delle regole dell’arte.
C’è una tendenza in alcuni ambienti politici a diminuire i controlli. È estremamente pericoloso per le finanze pubbliche, innanzitutto. Ma il pericolo è anche quello che opere nate male e realizzate peggio possono innescare controlli giudiziari che non è possibile limitare, anche se è il desiderio non troppo nascosto di imprenditori e politici.
A cominciare dai controlli dei Tribunali Amministrativi Regionali, infatti invisi ai politici, attivati da ricorsi di concorrenti esclusi dalle gare o risultati soccombenti in una gara pilotata. L’effetto in questo caso è spesso la sospensione della procedura con effetti negativi sulla realizzazione dell’opera, quando effettivamente necessaria, ed alte grida di politici e giornalisti che se la prendono con i giudici che tutelano diritti che l’amministrazione potrebbe aver violato. I politici se ne lamentano ma, in realtà, i ritardi dovuti a procedure sospese dai giudici fanno comodo perché generano spesso quello stato di emergenza che giustifica proroghe di contratti scaduti e deroghe alle leggi. Proroghe e deroghe nelle quali s’insinuano sprechie e corruzione.
Il rischio grosso è per il Paese e per la comunità. Gli italiani sono disponibili ad ammettere che politici e imprenditori, come accade un po’ dappertutto, lucrino qualcosa dalle opere pubbliche. Qualcosa, ma almeno desidererebbero che fossero utili e funzionali. Se non altro.
Anche nell’antica Roma la corruzione era diffusa. Ciononostante quelle amministrazioni, repubblicane o imperiali, ci hanno lasciato opere pubbliche straordinarie. Dal Colosseo ai mirabili acquedotti che fanno bella mostra di sé al di qua e al di là delle Alpi e in Medio Oriente, alla cinta muraria dell’Imperatore Aureliano nella quale qualche anno fa si verificò un crollo dovuto ad infiltrazioni d’acqua per difetto di manutenzione. Ma ci fu anche chi disse che era un difetto di costruzione. Impunemente, senza vergognarsi.

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