Per la sicurezza del territorio: un grande piano di interventi mirati

Per la sicurezza del territorio: un grande piano di interventi mirati
Per la sicurezza del territorio: un grande piano di interventi mirati

ROMA – Salvatore Sfrecola ha pubblicato questo articolo anche sul suo blog, Un sogno italiano.

Non passa giorno senza che temporali di forte intensità ed eventi alluvionali violenti, quelli che oggi chiamiamo “bombe d’acqua”, determinino gravissime conseguenze, soprattutto al Nord, in specie sulla costa ligure e dell’alta Toscana, con danni rilevanti a persone e a cose. Ieri il Corriere della Sera titolava “L’acqua invade le città del Nord”, accompagnando il pezzo con un fondo di Gian Antonio Stella che non lascia dubbi sul da farsi: “Un piano speciale per ricominciare”. Che ben s’inserisce nella polemica sulla gravissima trascuratezza che negli ultimi decenni ha caratterizzato la gestione del territorio e dei fiumi, dalle montagne alle coste. Sicché le accuse rimbalzano dallo Stato alle regioni, ai comuni. E se le regioni imputano il dissesto, almeno in parte, ai condoni decisi a Roma, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi rimanda al mittente queste accuse convinto che molte colpe siano locali, come insegnano Genova e Milano e la scellerata gestione dei fiumi che passano sotto od a fianco di quelle città.
Intanto si susseguono gli allarmi meteo a dimostrazione che i fenomeni sono di vaste proporzioni e ricorrenti.
Le polemiche ruotano intorno a recenti omissioni ed a più antichi errori nella gestione del territorio e soprattutto nella cura dei fiumi e dei torrenti. Per cui si invoca un programma straordinario di interventi facendo rilevare che i costi che annualmente gravano sullo Stato e gli enti locali per riparare i danni e risarcire i danneggiati sono spesso superiori all’ammontare delle risorse che sarebbero necessarie per mettere in sicurezza quelle zone. Ed Erasmo De Angelis, Capo della Struttura di Missione di Palazzo Chigi contro il dissesto idrogeologico tuona dalla colonne di Repubblica: “contro il dissesto sprecati due miliardi, è uno scandalo”. Ci appuntiamo questa denuncia sulla quale ritorneremo.
Nell’articolo di ieri sul Corriere Gian Antonio Stella, nel chiedere, come accennato, “un piano speciale”, richiama vecchie polemiche, su ciò che si è fatto negli anni passati sbagliano e che oggi scontiamo, dalla cementificazione delle sponde di fiumi e torrenti che hanno determinato una progressiva accelerazione del corso delle acque con l’effetto di scavare i fondali danneggiando i ponti, all’intubamento dei fiumi, come nel caso del genovese Bisagno, alle costruzioni abusive in aree a rischio. Senza trascurare gli effetti, sulle pendici dei monti, delle piogge che rendono inevitabili vaste aree franose a danno di insediamenti civili e industriali. Come nel caso della frana Jvancic all’interno dell’abitato della città di Assisi, immediatamente a ridosso della parete meridionale della cinta muraria medioevale, una zona nella quale sono presenti, oltre a vari edifici privati, anche l’Ospedale ed il complesso edilizio relativo al Convento dei Cappuccini. È l’effetto delle acque che scendono dal monte Subasio non drenante come vorrebbe una corretta tecnica di salvaguardia del territorio. Se ne parla da anni e non si fa un passo avanti.
Stella ricorda momenti salienti delle polemiche che hanno accompagnato negli anni interventi dissennati per la sicurezza degli insediamenti civili e industriali, spesso a ridosso di sponde fragili e incontrollate, le grida di allarme di ambientalisti, da Cederna a Valdrighi, e di semplici persone di buon senso a fronte di interventi all’evidenza errati sol che si pensasse alla tutela dell’assetto idrogeologico di cui avevano avuto cura le amministrazioni dell’antica Roma o della Serenissima Repubblica di Venezia.
Non dice però Stella che quegli errori furono conseguenza di una filosofia all’epoca dominante, sposata anche da una informazione che si faceva megafono di “studiosi” a la page, strumento, consapevole o meno, di progettisti e di imprenditori senza scrupoli. Il tutto nell’acquiescenza complice di amministratori locali proni agli interessi illeciti rappresentati dagli insediamenti abusivi e tollerati.
E c’è da credere che, come per il terremoto che ha pesantemente danneggiato l’Aquila dove c’era chi, mentre ancora si contravano i morti, gioiva pensando agli affari della ricostruzione, ci sarà anche oggi certamente chi ugualmente avrà esultato immaginando lucrosi appalti di lavori.
Non c’è dubbio che occorre effettivamente un piano speciale per ricominciare, con l’augurio che stavolta non prevalgano gli interessi di coloro i quali devono eseguire le opere ma gli interessi comunitari dei quali lo Stato è ente esponenziale che ha il compito di assicurare la salvaguardia del territorio e la sicurezza delle persone. Intendo dire che proprio in materia di opere pubbliche troppo spesso iniziative e progetti sono stati decisi più che con riguardo alle effettive necessità alla volontà di assegnare quel determinato appalto ad una impresa “amica”. È così che l’Italia è cosparsa di opere inutili o realizzate in difformità dal progetto o dalla regole dell’arte. Con grave responsabilità delle stazioni appaltanti e dei collaudatori che venendo meno al loro dovere ed alla loro deontologia professionale hanno ritenuto di far entrare in servizio opere prive dei requisiti di legge.
Non dovrà avvenire se si varerà veramente “un piano speciale per ricominciare”. Anche se timori forti emergono a prima lettura dal decreto “sblocca Italia” dove si eliminano quei controlli preventivi delle soprintendenze che tanto non piacciono ai sindaci.
E qui riprendiamo la denuncia di De Angelis e la definizione che dà dello spreco. “Uno scandalo!”. Che non rimanga soltanto un anatema dovuto ad una comprensibile e giusta ribellione morale. Perché, al di là delle sanzioni che colpiscono l’illegalità e l’illecito da parte del giudice penale e della Corte dei conti occorre che l’indignazione della gente sia assunta dalla classe politica e dall’opinione pubblica come una condanna morale, quella che nell’antica Roma escludeva dal consorzio civile chi si macchiava di delitti contro la comunità. Come questi di cui parliamo.

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