Pericolosa confusione di idee tra unità e secessione, guardando a Barcellona

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 3 Ottobre 2017 - 06:14 OLTRE 6 MESI FA
Pericolosa confusione di idee tra unità e secessione, guardando a Barcellona

Pericolosa confusione di idee tra unità e secessione, guardando a Barcellona

BARCELLONA – Non è un bello spettacolo quello che le televisioni trasmettono da Barcellona, dove è in atto una vicenda che si doveva ad ogni costo evitare. L’autonomia della Catalogna avrebbe dovuto essere oggetto di una disciplina analoga a quella di cui godono i paesi baschi ad evitare che si giungesse ad una iniziativa separatista, certamente dolorosa per una buona parte dei catalani e degli spagnoli.

Infatti il referendum, non previsto dalla Costituzione del Regno e, pertanto, illegittimo, ha costretto governo e magistratura ad assumere un atteggiamento che, nel rispetto della legge, ha comportato l’uso della forza che è destinato a lasciare una ferita non facile da rimarginare.

Fino al momento in cui scrivo le televisioni ci dicono di qualche ferito non grave. Ma è certo che qualcuno tra quanti hanno tirato la corda, soprattutto a Barcellona, desidererebbe che ci scappasse il morto per alzare il tono della polemica e dello scontro con il governo centrale.

Anche le prospettive dell’indipendenza, i vantaggi per la ricca Catalogna, sbandierati dai separatisti, sono un elemento importante del dibattito interno alla Spagna e danno luogo a diverse letture non tutte favorevoli ad una crescita dell’economia catalana, fuori dall’Europa e, quindi, fuori dall’euro. C’è chi ha fatto l’esempio della ricca California che mai penserebbe di staccarsi dagli Stati Uniti d’America. L’unità, infatti, è un valore ed ha un valore, anche economico.

Sull’onda delle polemiche sulle vicende di oggi a Barcellona i nostri politici si sono esibiti in commenti vari, taluni dei quali mostrano una pericolosa deriva secessionista forse fin qui strumentalmente occultata. O, meglio, un sottofondo psicologico che va al di là delle istanze federaliste di taluni ambienti politici del Nord, soprattutto del Nord Est, evidenti nei commenti nei quali si parla di “autodeterminazione dei popoli”, di “diritto al voto”, di “violenza del governo centrale”.

Espressioni che potrebbero sembrare in aperto contrasto con la dimensione “nazionale” per la quale si batte Matteo Salvini, impegnato da Nord a Sud a parlare di nazione. È un tema delicato che desta preoccupazioni se si pensa che in Veneto, ad esempio, si rivendica l’insegnamento del dialetto, si contestano i plebisciti con i quali nel 1867 i veneti accettarono l’annessione al Regno d’Italia. O al Sud, dove si fanno sentire nostalgie borboniche le quali, contro ogni evidenza storica, documentata dalle fonti, negano perfino l’apporto dei reparti dell’ex esercito del Regno delle Due Sicilie, inquadrati nell’esercito italiano, nella lotta al brigantaggio. Un fenomeno che quei militari conoscevano benissimo perché presente in Italia meridionale ben prima che Giuseppe Garibaldi sbarcasse a Marsala e, conquistata rapidamente la Sicilia da sempre antiborbonica, risalisse lungo lo stivale per giungere a Napoli e consegnare a Teano le terre dell’ex Regno a Vittorio Emanuele II.

Ed io mi chiedo quale senso abbiano oggi, nel 2017, la contestazione dei plebisciti o le nostalgie del Sud che era entrato nel nuovo Regno a testa alta portando nei governi ministri nati al di sotto del Volturno. Nessun senso se non quello di indebolire il già precario spirito nazionale che dovrebbe essere posto a fondamento di quel “Rinascimento” del quale parlano Vittorio Sgarbi e Giulio Tremonti nel loro libro, che così s’intitola, con il quale intendono risvegliare negli italiani il senso dell’appartenenza, l’orgoglio di una storia straordinaria fatta di cultura, scienza, arte. Dimenticando quella sudditanza con la quale nel corso dei secoli modesti governanti hanno chiamato a supporto delle loro avidità di potere eserciti stranieri i quali hanno occupato regioni d’Italia considerandole colonie da sfruttare, imponendo dinastie straniere, estranee alla nostra storia ed alla nostra cultura. Dinastie che solamente nel corso del 1800, per iniziativa di un vasto movimento di patrioti, soprattutto giovani, è stato possibile scrollarci di dosso sotto la guida di uomini illuminati. Primo tra tutti il Conte di Cavour, un uomo geniale, uno statista europeo, ammirato anche da chi gli era ostile, come Clemente Lotario di Metternich, il potentissimo Cancelliere austriaco: “In Europa allo stato attuale esiste un solo vero uomo politico, ma disgraziatamente è contro di noi. È il conte di Cavour”.

Quel tempo, il Risorgimento, non a caso Tremonti parla di “nuovo Risorgimento”, fu veramente un miracolo”, come ha scritto Domenico Fisichella nel titolo di un suo bel libro, se Giuseppe Mazzini, il campione dei repubblicani, scrive a Vittorio Emanuele II dimostrando di saper accantonare i suoi ideali perché l’Italia fosse unita. “Io repubblicano – scrive Mazzini al Re nel 1859 – e presto a tornare a morire in esilio per serbare intatta fino al sepolcro la fede della mia giovinezza, sclamerò nondimeno con i miei fratelli di patria: preside o re, Dio benedica a voi come alla nazione per la quale osaste e vinceste”.

Questo spirito nazionale e unitario, che Cavour coltivava dalla giovinezza in scritti da molti ignorati o dimenticati (ne parlava apertamente nel 1846-1847), il momento più alto della politica nazionale ci ha permesso di dimenticare che per secoli siamo stati “calpesti, derisi/ perché non siam popolo/ perché siam divisi”, vogliamo forse dimenticarlo oggi che nell’Europa servono ideali nazionali forti, il concorso di energie consapevoli delle singole identità?

Oggi in Italia prevalgono i partiti che al Risorgimento non hanno concorso, il Partito Democratico, come in precedenza il Partito Comunista e la stessa Democrazia Cristiana, che ha sempre dimostrato scarso sentimento nazionale, come oggi i suoi epigoni che vorrebbero uno ius soli incompatibile con la tutela della identità, che essi non sentono, non capiscono.

Andiamo alle elezioni in un clima di confusione pericolosa che potrebbe determinare, con una legge elettorale proporzionale, l’assoluta ingovernabilità del Paese con tutti i pericoli che ne possono derivare. Rinunciare allo spirito identitario ed al sentimento nazionale, per chi ambisce al potere potrebbe essere un errore fatale.