Primarie sì, primarie no: i dubbi della politica

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 13 Ottobre 2015 - 09:20 OLTRE 6 MESI FA
Primarie sì, primarie no: i dubbi della politica

Foto Ansa

ROMA – Salvatore Sfrecola ha scritto questo articolo dal titolo “I dubbi della politica, primarie sì primarie no”, anche per il suo sito Un Sogno Italiano.

Renzi le vuole, a Milano e adesso anche a Roma. Berlusconi non le vuole né qui né lì. Le primarie, quale strumento di ricerca del candidato ideale, continuano a far discutere soprattutto a destra. Salvini e la Meloni, infatti, insistono perché si facciano. Ma è certo che non si faranno se il Cavaliere non vuole.

Ne scrivono giornalisti e politologi alla ricerca del perché partiti e politica sembrano oggi due realtà incompatibili, tanto da scegliere i candidati fuori degli apparati. Per Antonio Polito (Corriere della Sera di domenica) “la vera lezione dell’incredibile vicenda romana sta proprio in questo: è il fallimento finora il più clamoroso dell’idea che l’amministrazione della cosa pubblica non debba essere affare della politica e dei partiti, ma anzi vada affidata a chi più è capace di presentarsi come nemico dei partiti e alieno alla politica”.

Primarie addio, dunque? Non di certo a Sinistra, dove sono un mito che tiene. Che cerca di neutralizzare l’antipolitica, per cui i partiti “si aprono” alla società civile, ripudiano la legge elettorale con le preferenze ritenute “fonte di corruzione”, occasione di “voto di scambio” (id est voti comprati). Così il sistema delle preferenze si trasferisce nelle primarie, facendo finta che sia una cosa diversa. Dove il consenso si compra ugualmente, nelle stesse forme di un tempo. Panem et circentes, si diceva ai tempi dell’antica Roma. Oggi entrano in ballo anche le formazioni collaterali, i collettivi, i centri di aggregazione giovanili, le feste di partito, palcoscenico degli amici che si vuole portare avanti.

E così il meccanismo è sfuggito di mano. Chiunque può concorrere. Mancano regole certe, vota chi si trova a passare dinanzi ai seggi, a volte pagando solo un soldino. Chi può arruola amici e simpatizzanti, non necessariamente del partito. La cronaca dice che in alcuni casi hanno votato extracomunitari non elettori. E in giro per l’Italia il più delle volte vince chi il partito non avrebbe voluto, come Marino a Roma. Per cui Polito conclude che le primarie sono un fallimento.

Occorre una nuova via per la selezione della classe dirigente. È inevitabile ed urgente. Ma non semplice. Il fatto è che i partiti hanno smesso da tempo di organizzare il consenso intorno ad esponenti locali e nazionali avviati a sperimentare un percorso, un cursus honorum, come dicono quelli che hanno studiato un po’ di latino, diretto a scalare per tappe il monte delle responsabilità politiche.

Si è detto spesso che nella cosiddetta Prima Repubblica era raro che diventasse ministro chi non avesse una esperienza da sottosegretario e che a questa carica giungesse chi non aveva alle spalle almeno un paio di legislature. E prima ancora cariche in enti locali, come consigliere comunale, assessore o sindaco. C’erano ovviamente le eccezioni degli Andreotti, dei Fanfani, dei Segni, dei Moro, ma erano coloro che, all’indomani del ritorno alla democrazia avevano maturato esperienze nella direzione dei partiti e delle correnti, che non erano solo aggregati di uomini di potere ma espressione di una cultura politica maturata sui libri e nelle università. È stato così anche per la Sinistra comunista forgiata alla scuola delle Frattocchie e nelle amministrazioni locali.

Spazzata via la classe politica che ha governato l’Italia del boom economico, quella patrocinata dalla rigida politica monetaria e di bilancio di Luigi Einaudi, la ricerca del consenso è perseguita allentando i cordoni della spesa pubblica con un aumento vertiginoso del debito nei primi anni ‘90, effetto di elargizioni elettoralistiche “a pioggia”, per alimentare una corsa frenetica al potere che i partiti e le correnti conducono con iniziative costose, associazioni, convegni e congressi, giornali e riviste. Con costi elevatissimi, sostenuti mediante l’apporto di operatori economici compensati con appalti milionari, come insegna Tangentopoli, con le sue inchieste che hanno travolto tutto e tutti facendo terra bruciata intorno ai partiti tradizionali che hanno tentato di sopravvivere mediante ripetuti cambi di nome per allontanare agli occhi dei cittadini il ricordo delle formazioni politiche i cui capi avevano sfilato, attoniti e smarriti, dinanzi a Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Antonio Di Pietro, Sostituti della Procura della Repubblica di Milano.

Si apre la stagione dell’antipolitica nella quale si affacciano alla ribalta del potere uomini della cosiddetta “società civile”, in primo luogo Silvio Berlusconi che degli aiuti della politica si era giovato, come del resto tutti gli imprenditori che hanno avuto appalti e mutui grazie alle loro relazioni con i detentori del potere. È la “non politica”. Gli italiani, disgustati dal latrocinio generalizzato, apprezzano e accettano che un imprenditore di successo guidi il governo del Paese. Se ha fatto bene alle sue aziende ed ai loro dipendenti, si sentiva dire, farà bene anche all’Italia.

Col piglio dell’imprenditore Berlusconi sceglie ministri, sottosegretari, presidenti delle regioni e sindaci, compila le liste per Senato e Camera senza alcuna deliberazione di organi di partito. Un po’ quello che accade nella formazione del Governo Renzi, quando le scelte del partito sono quelle del segretario. Così accadrà all’atto della predisposizione delle candidature ovunque si voti. Eppure si parlerà di primarie e c’è da star certi che cambieranno le regole per impedire che il Marino di passaggio conquisti una candidatura non gradita a Largo del Nazareno.

L’alternativa alle primarie dei gazebo è la rete del Movimento Cinque Stelle, una realtà politica che ha consolidato i consensi ovunque nel Paese, con la quale a Destra e a Sinistra dovranno fare i conti. Arrivano in Parlamento con poca o nessuna esperienza politica ma fanno in fretta ad imparare, anche nelle occasioni di confronto televisivo alle quali inviano Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Nicola Morra, cui il M5S affida il messaggio della moderazione determinata dal desiderio di pulizia e di legalità. Senza sconti per nessuno.