“Sovranismo”, si sente sempre più spesso ripetere nel dibattito politico, come risposta necessaria al forte disorientamento di vaste aree del ceto medio da tempo deluso da una politica [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] che appare incapace di reagire ad una visione del mondo che, globalizzato nell’economia, dimostra anche di aver perduto ogni riferimento culturale, ideologico e identitario, quelli che poggiano sul concetto di Nazione, espressione delle radici più profonde dei popoli, sostituita da una visione della società senza valori, senza stati, senza confini.
E di Sovranismo, come espressione di un’idea “forte” che si alimenta della identità di un popolo, scrive Giuseppe Valditara in un volume che già si è guadagnato recensioni e presentazioni in giro per l’Italia: Sovranismo”, Una speranza per la democrazia”, che sta rinnovando il successo di un fortunato libro del 2007, “Saggi sulla libertà, dei romani, dei cristiani e dei moderni” (Rubbettino), nel quale Valditara in qualche modo ha anticipato alcune sue riflessioni in tema di identità. Perché, come si legge nella presentazione di questa raccolta di saggi, “per sapere dove vogliamo andare, quale futuro dare alla nostra società, dobbiamo recuperare la consapevolezza dei nostri valori di riferimento”, appunto la nostra identità.
Professore ordinario di diritto romano nell’Università di Torino, una vasta produzione scientifica, senatore per due legislature, Valditara è il Direttore scientifico di Logos (www.logos-rivista.it), rivista che vanta un Comitato di esperti composto da prestigiosi docenti universitari e professionisti che costituisce una sorta di “pensatoio”, un think thank, come oggi si dice, del Centrodestra e della Lega in particolare che del sovranismo ha fatto una bandiera in Italia e in Europa e che, abbandonato il riferimento al “Nord”, si è collocata al centro del dibattito politico con visione compiuta dell’Italia, della sua storia e delle sue diversità, di quella varietà di sentimenti e di esperienze umane e culturali che costituiscono la ricchezza di questo nostro Paese.
Il libro guida il lettore tra storia e pensiero politico alla ricerca delle radici della cultura italiana ed europea, sicché costituisce un vero e proprio “Manifesto dei sovranisti”, una risposta a quanti, in particolare dal dopoguerra, hanno cavalcato con entusiasmo, certo degno di migliore causa, la fine delle ideologie in un percorso che al fondo ha inaridito anche le idee le quali hanno identificato negli anni partiti e movimenti politici, così sminuendo agli occhi dei cittadini e degli elettori le tradizionali distinzioni della politica, tra Destra e Sinistra, nell’illusione che pace e prosperità sarebbero state assicurate dalla globalizzazione dell’economia e da quella dimensione cosmopolita e internazionalista “gradualmente diventata il punto di riferimento di quei movimenti politici che avevano sempre contrastato i fenomeni identitari, variamente legati all’idea di nazione”, come scrive Valditara che analizza le ragioni della crisi delle tradizionali divisioni politiche.
Ed identifica in certo “Cattolicesimo mondialista”, che concepisce il messaggio cristiano più come una “ideologia sociale che come una parola di salvezza individuale”, la sponda agli interessi finanziari internazionali che traggono vantaggi da una società senza frontiere per le merci e per gli uomini. Come dimostra l’aiuto fornito da ambienti finanziari internazionali all’immigrazione incontrollata che assicura forza lavoro a basso costo per comprimere i salari.
In politica la globalizzazione, che patrocina un mondo senza frontiere, presuppone la cancellazione delle identità dei popoli, della loro storia, della loro cultura, di quelle tradizioni che, nel corso dei secoli, hanno formato le nazioni le quali si identificano per la lingua, l’ambiente, le istituzioni. Ne dà dimostrazione la scuola con il progressivo allontanamento dalla cultura classica nella convinzione, errata, che lo studio delle discipline scientifiche sia quello che offre maggiori occasioni di lavoro. Così privando i nostri giovani di quella base culturale sulla quale più facilmente si collocano e si consolidano i vari saperi, anche quelli scientifici, come dimostra l’esperienza dei tanti professionisti e studiosi che hanno conquistato in Europa e nel mondo posizioni di elevato prestigio.
Per Valditara è mancata spesso la capacità di sviluppare una proposta alternativa, politica e di governo, che poggi su solide basi storiche e culturali, identitarie, appunto, “con una visione chiara e positiva del futuro, in grado di convincere quote maggioritarie di elettorato in particolare quello più moderato, che è decisivo per vincere”. Ed è innegabile – osserva ancora –“che in alcuni Paesi le tradizionali forze “conservatrici” fatichino a trovare un percorso propositivo fortemente innovativo a rimodellare la loro identità per essere capaci di affrontare la nuova sfida mondiale, che è culturale prima ancora che politica”.
C’è al fondo una riscoperta dell’idea di nazione, di un nazionalismo che non è quello aggressivo di fine ‘800 che ha prodotto prevaricazioni e guerre, ma liberal conservatore, che rivendica l’identità di un popolo anche come mezzo di confronto con altri popoli, che, come scrive Andrea Geniola, nella prefazione al libro di Michael Billig, “Nazionalismo banale”: una identità che “sopravvive alla globalizzazione perché nelle democrazie avanzate spesso abbandona i tratti più marcatamente aggressivi o rivendicativi per comparire sotto le vesti “banali” della bandiera esposta negli uffici pubblici, nei riferimenti culturali diffusi dai mass media, nella simbologia più o meno esplicita delle ritualità sportive”.
Insomma il nazionalismo si riproduce “in tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana come un fenomeno normalizzato e rassicurante. Occorre rendersene conto per comprendere il mondo in cui viviamo senza ricadere nelle semplificazioni giornalistiche”. Secondo la cultura borghese-liberale, che “più di altri aveva enfatizzato, dall’Ottocento in avanti il legame tra nazione e libertà, tra indipendenza nazionale e progresso storico, e aveva fatto del nazional-patriottismo, inteso in senso etico politico, l’unica base di legittimazione dello Stato democratico e lo strumento privilegiato di integrazione politica delle masse popolari”, come scrive Alessandro Campi (Nazione, Il Mulino, 200).
Il libro sviluppa l’analisi della risposta sovranista su una solida base culturale partendo dalla storia, dagli studi che affondano le radici nell’esperienza della Roma repubblicana e imperiale che consentono a Valditara di individuare concetti precisi e chiari in “sovranista” e “identitario” che ritiene “essenzialmente legato al grande tema delle vicende della sovranità popolare, prima ancora che della sovranità nazionale, la cui crisi è una conseguenza della crisi della prima”. È anche una risposta al tentativo di “sovvertire tradizioni e sconvolgere identità mettendo in crisi un mondo certamente distante da quello “progressista” e, anzi a esso politicamente alternativo nel suo consueto conservatorismo valoriale”. Questa visione storica ha l’obiettivo di definire un pensiero corretto, scientificamente corroborato da riflessioni di studiosi di scienza della politica e del diritto pubblico che vada oltre gli slogan dei movimenti sbrigativamente definiti “populisti”, qualificazione che ha assunto un significato a volte dispregiativo e comunque limitativo dell’offerta politica, per passare dalle sensazioni ad una costruzione solida, “per contestualizzare i dati dell’attualità riguardanti temi interconnessi quali l’immigrazione di massa, la perdita progressiva di identità culturale e nazionale e la crescita dei poteri sovrannazionali”, come ha scritto Thomas D. Williams PhD, Professore di Filosofia etica, University of Saint Thomas, nella prefazione: Valditara delinea idee, speranze e programmi politici che dovrebbero essere condivisi dai movimenti di tutti i Paesi e coagulare un blocco in grado di contrastare il dilagante globalismo.
Proseguendo nell’analisi del presente Valditara rileva come ormai la sovranità popolare è umiliata da oligarchie che rispondono ai grandi gruppi economici, da governi sovranazionali che non rappresentano i popoli, da Corti internazionali che condizionano la giustizia nazionale. Sicché anche il voto, espressione massima della democrazia, si rivela privo di reale efficacia in quanto il potere è gestito da politici che si occupano soprattutto dei loro referenti e trascurano il bene comune. Questo provoca sfiducia nei confronti dello Stato che dimostra di non tutelare l’identità, le tradizioni, gli usi e i costumi, dei quali la gente – anche la più umile – si sente generalmente gelosa custode.
Nell’Antica Roma, ricorda Valditara, autore di un aureo volumetto che ha avuto molto successo, “L’immigrazione ai tempi dell’antica Roma”, tutti erano fieri di definirsi civis romanus. Oggi pochi si sentono civis europeus, anche se l’Europa è certamente nelle nostre radici indiscutibilmente greco-romane e giudaico-cristiane che si ricollegano a quelle delle singole Patrie di cui parlava il Generale De Gaulle.
Nella primavera 2019 voteremo per il rinnovo del Parlamento europeo ed è certo che il dibattito tra i partiti dovrà affrontare le gravi carenze dimostrate concretamente dalle Istituzioni comunitarie, anche per quel deficit di democrazia e per l’ambiguità dei rapporti tra di esse, per come siamo abituati a guardarle sulla base della separazione dei poteri enunciata tre secoli fa da Charles-Louis de Secondat, Baron de La Brède et de Montesquieu, giustamente evocato da Giuliano Amato a Bruxelles in occasione del discorso di insediamento della Convenzione europea, attestando che il Barone francese “non è mai passato per Bruxelles”.
Il tema è quello del ruolo degli stati e, per noi, dell’Italia, se “indipendente” o “integrata”, alternativa all’evidenza frutto di un equivoco. Perché partecipare ad una Europa integrata, scegliendo di essere protagonisti di un’unione politica che garantisca il mercato unico e la democrazia liberale è certamente compatibile con la lettura sovranista del ruolo degli stati. Si tratta, dunque, ancora una volta ricordando l’insegnamento di Montesquieu, di rendere più aperti, trasparenti e capaci di rispondere alle istanze dei cittadini quei processi decisionali a livello europeo nei quali oggi marginale è il ruolo della Commissione e assolutamente insufficiente quello del Parlamento, essendo le scelte significative rimesse alle riunioni deli Consigli dei capi di stato e di governo dove fa premio il “peso” politico ed economico-finanziario dei singoli stati.
Il libro ha, dunque, l’ambizione di offrire idee ai boni viri, a quella “maggioranza morale di persone serie, per bene, responsabili e autenticamente generose, che hanno a cura innanzitutto il destino dei propri figli e dei propri nipoti”. Perché diano vita a quella rivoluzione “identitaria e sovranista, che è poi una rivoluzione democratica” la quale “presuppone proposte non improvvisate, concrete, realistiche, presuppone riflessione e studio” come scrive Valditara nelle conclusioni. Nelle quali richiama opportunamente l’esigenza di riscoprire il realismo contro l’ideologismo. E lo fa con rinvio al pensiero di un giurista e console romano, Sesto Elio: “a differenza dei Greci, amanti del filosofeggiare, i Romani preferivano la certezza del diritto, e il diritto deve a sua volta dare risposte efficaci ed equilibrate ai bisogni quotidiani dei cittadini”.
È corretto, dunque, definire il libro di Valditara il “Manifesto” del sovranismo, idee e volontà di sviluppare un grande progetto di respiro internazionale alternativo al “globalismo”, “che vada oltre la pur nobile azione di contrasto e di rigetto di alcuni sui principi e di alcune sue realizzazioni”.
(pubblicato su www.italianioggi.com)