“Se il re è nudo lo diremo”: lo sciopero contro la “legge-bavaglio” indetto dalla Fnsi

La Federazione Nazionale della Stampa Italiana comunica: “I giornalisti italiani sono chiamati ad una forma di protesta straordinaria che si esprimerà in un “rumoroso” silenzio dell’informazione nella giornata di venerdì 9 luglio, contro le norme del “ddl intercettazioni” che limitano pesantemente il diritto dei cittadini a sapere come procedono le inchieste giudiziarie, infliggendo gravi interruzioni al libero circuito delle notizie.

Quanti lavorano nel settore della carta stampata si asterranno dalle prestazioni nella giornata di giovedì 8 luglio, per impedire l’uscita dei giornali nella giornata di venerdì. Tutti gli altri, giornalisti dell’emittenza nazionale e locale, pubblica e privata, delle agenzie di stampa, del web, dei new media e degli uffici stampa non lavoreranno nella giornata di venerdì. Free lance, collaboratori e corrispondenti si asterranno dal lavoro secondo le modalità previste per la testata presso la quale prestano la loro opera. I giornalisti dei periodici, infine, si asterranno dal lavoro venerdì 9, ma assicurando, già da ora, la pubblicazione sui numeri in lavorazione delle proprie testate di comunicati sulle motivazioni della giornata del silenzio.”

Le notizie sono un reato? No. La risposta non può essere che semplice e diretta. Ma per il Governo, che vuole imporre norme bavaglio all’interno del cosiddetto ddl intercettazioni, la realtà è un’altra e le notizie di cronaca giudiziaria, di fatto, debbono essere ritenute un reato e chi le diffonde – i giornalisti che le scrivono e gli editori che diffondono i giornali – debbono risponderne con il carcere e con multe milionarie. Sulle inchieste giudiziarie si vuole introdurre, infatti, la regola irragionevole del silenzio fino all’apertura del dibattimento pubblico. Di molti misfatti, ma anche di ordinaria e tragica cronaca giudiziaria, non si dovrebbe sapere niente per anni, dai 3 ai 6 (ma talvolta si arriva ai 10), tanto ci vuole in Italia perché un caso arrivi all’udienza preliminare.

Sul diritto di cronaca si sta giocando una partita pesante, fatta di divieti e censure preventive inaccettabili; un disegno illiberale che vuol negare la conoscenza dei fatti di interesse pubblico da parte dei cittadini. Si tratta di una questione per nulla corporativa, ben più grave delle pene che si vogliono introdurre a carico di giornalisti e editori. E’ in gioco, infatti, non un loro privilegio ma la disponibilità di un’informazione, leale, libera e plurale. Ai cittadini non possono essere negate le notizie su quanto dev’essere reso noto: dall’inchiesta su un potente, all’analisi degli atti di un procedimento che magari ha mandato in carcere un innocente (dal padre dei bambini di Gravina morti in un tragico gioco, al tifoso scambiato per un teppista), all’informazione essenziale su scandali sanitari (Santa Rita di Milano, per esempio, dove contava fare interventi chirurgici per aumentare gli introiti della casa di cura prima della cura e della vita stessa dei malati), o su appalti facilitati e presunte tangenti (come nel caso Anemone).

Come scusa per intervenire, per la terza volta nelle ultime tre legislature (capitò anche con il ddl Mastella) si invoca la tutela della privacy. Se fosse questo il problema basterebbe affrontarlo subito e con buon senso, come anche i giornalisti chiedono già da tempo. Si istituisca il Giurì per la lealtà dell’informazione che possa pronunciarsi per i casi di effettiva violazione della riservatezza delle persone entro tre/cinque giorni dall’esposto. Certo, qualche abuso c’è stato ma questo non può diventare motivo di bavaglio, bensì di dotazione di idonea strumentazione per il rispetto di valori intangibili della persona. E ancora: è buon senso o cosa irragionevole introdurre in un procedimento giudiziario un’udienza filtro (con partecipazione di accuse e difesa) che stabilisca ciò che va depositato e quindi diventa pubblico e quanto invece va stralciato dal fascicolo o custodito con assoluta riservatezza? Solo allora si potrebbe parlare di violazioni. Il Sindacato dei giornalisti finora ha incontrato su questi punti solo muri, di silenzio.

Ma la giustizia non è separata rispetto al popolo. Per Costituzione è amministrata in nome del popolo. Come e perché negare la dinamica dei fatti e delle inchieste? Negare i fatti ci riporta a tempi bui e a situazioni oscure. Le notizie da pubblicare – va ribadito con nettezza – non le possono decidere i Governi. Basterebbe solo un po’ di buon senso per fare le cose giuste. Il Senato, e poi la Camera, hanno tempo e modo, se vogliono, per recuperare senso della verità e della ragione.

D’altronde, dovrebbe essere inutile riproporre l’immagine del re nudo, laddove gli uomini del sovrano volevano – e l’ordine era questo – dire che il re era vestito benissimo. Era vero esattamente il contrario e, nella ricerca di farsi dire quanto era bello cambiando continuamente d’abito, il re finì per trovarsi nudo. Nessuno aveva il coraggio di dirglielo. Ma un bambino innocente sì. Il re era nudo. E noi diremo che il re è nudo quando è nudo.

* Segretario Generale della Federazione Nazionale della Stampa

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