Scuola, sgonfiata è la tempesta Renzi. Prof sta sereno: torna scatto, sfuma merito

Scuola, sgonfiata è la tempesta Renzi. Prof sta sereno: torna scatto, sfuma merito
Scuola, sgonfiata è la tempesta Renzi. Prof sta sereno: torna scatto, sfuma merito

Alle corte la “gigantesca scommessa educativa” evocata ed invocata da Matteo Renzi si è ridotta in un piano di assunzioni-assorbimento per gli insegnanti precari e in una riconferma degli scatti di anzianità come colonna vertebrale della busta paga dei prof. Non c’era bisogno di chissà quale governo per arrivare  queste due stazioni. Sono quelle di sempre, quelle per quali ogni governo ha fatto passare il treno della scuola italiana. Che sia o no la “buona scuola” come ama dire il premier, è la scuola di sempre che da alcuni decenni tanto buona non è.

Non importa qui stabilire quanto e se era doveroso programmare l’immissione in ruolo e in cattedra delle varie famiglie e tipologie dei precari della scuola. E neanche stabilire qui se gli scatti di anzianità sono strumento salariale di egualitarismo nocivo, di appiattimento professionale oppure di sacrosanta uguaglianza e stralegittimo riconoscimento del lavoro. Qui si fa solo modestamente ma incontrovertibilmente notare che la “gigantesca scommessa educativa” e la “buona scuola” renziana si risolvono solo ed esclusivamente in due provvedimenti-decisioni che riguardano solo ed esclusivamente quelli che nella scuola ci lavorano. E non quelli che a scuola ci vanno.

Ed è, purtroppo, una conferma. Tutt’altro che una innovazione, tanto meno una riforma. La scuola è per i governi, i partiti, la politica, i sindacati (ma in fondo anche gran parte della opinione pubblica, diciamo così, genitoriale) una cosa che sta lì per assumere, dare lavoro, sanare precariato, retribuire, premiare lavoro, dare qualche potere e qualche spazio a insegnanti, personale amministrativo e genitori. Coerentemente la “buona scuola” di Renzi, quella che va a nascere dopo aver “ascoltato la gente”, si sostanzia di un calendario di assunzioni di insegnanti precari il cui cuore, asse e anche qua e là pomo della discordia è il “numeretto” della fila.

Chi tra le varie tipologie dei precari della scuola ha il “numeretto” giusto? Come si organizza e si smaltisce la fila per le assunzioni? Il più della riforma, si fa per dire, è qui. Cosa sappiano fare, cosa debbano andare a fare, a cosa servano e possano servire questi nuovi insegnanti assunti in ruolo, elevati in cattedra, non fa parte del “mansionario” riformista. Non ci ha pensato nessuno. Per ottime ragioni. Prima: nessuno sembra culturalmente in grado di pensare a cosa serva e cosa debba fare la scuola, oltre che  dare lavoro, accudire i piccoli e gli adolescenti, tener buoni i genitori. Queste sono le funzioni socialmente riconosciute. Il resto? A Roma sui direbbe il resto…de che? Seconda ragione: politicamente, elettoralmente, sindacalmente porre il problema delle professionalità e competenza della scuola equivale a guerriglia e suicidio. (Emblematica la lettera di un prof democratico e di sinistra che chiedeva a Renzi perché mai volesse disturbare quello che nella scuola è l’elettorato di riferimento del Pd …Renzi deve averla letta o almeno così pare “riforma” alla mano).

Oltre al “numeretto” e relativa fenomenologia sindacale, nella “buona scuola” ci sono mini incentivi salariali al merito che si vergognano di essere tali. E infatti si fanno piccoli piccoli, si nascondono. E’ comprensibile, non appena quelli della Cgil scuola o anche della Uil o anche dell’Ugl o anche dei Cobas li vedono subito li segnalano come untori del liberismo, come assassini dell’uguaglianza, come nemici del popolo insegnante. E poi, visto che tanto bene non si sa cosa dovrebbe fare la scuola, come si conta e chi lo conta questo merito? E’ il numero dei promossi o dei diplomati? Qualcuno, molti, arrivano perfino a dire questo!

I mini incentivi salariali al merito sfumano, evaporano. E quindi ovviamente tornano alla grande, con grande successo di pubblico docente e di critica sindacale, gli scatti di anzianità. Lo scatto di anzianità è la mamma del dipendente pubblico italiano, non gliela devi toccare. E infatti non si toccano.

Reni ha clamorosamente peccato di fanfaronismo, almeno sulla scuola. Ma ha innestato il suo di peccato su un peccato originale sancito e commesso ben prima di lui. La scuola delle competenze per vivere non è più alla portata delle voglie immediate di genitori, insegnanti, sindacati, governi. A tutti la scuola delle competenze costerebbe fatica, molta fatica. Servirebbe ai giovani, agli alunni, ai bambini. Appunto, non votano, non prendono stipendi, non stanno in fila da precari, non fanno comitati e non scrivono neanche ai giornali e nemmeno vanno in televisione. E ogni tanto qualcuno di loro va pure in corteo per e città a gridare che mai e poi mai una scuola delle competenze, sarebbe un “complotto delle forze della selezione”.

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