Matteo Renzi si sta facendo male da solo: la presunzione non porta lontano

di Senator
Pubblicato il 1 Dicembre 2014 - 06:04 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi si sta facendo male da solo: la presunzione non porta lontano

Matteo Renzi. Parla ex cathedra?

Senator ha pubblicato questo articolo sul blog “Un sogno italiano” con il titolo: “I dolori del giovane Renzi”.

Non nascondo che io, uomo di destra, ho avuto una istintiva simpatia per Matteo Renzi quando è comparso all’orizzonte della politica nazionale, in occasione delle primarie per la leadership del Partito Democratico perdute contro Pierluigi Bersani.

Ne apprezzavo il giovanile entusiasmo, il linguaggio efficace, la capacità di coinvolgere le persone nella enunciazione di riforme da fare, necessarie per la ripresa economica del Paese, con istituzioni parlamentari più efficienti, meno burocrazia, meno tasse, una scuola migliore, una giustizia più veloce nel tutelare i diritti dei cittadini.

Nell’era di Twitter, che impone di dare un senso il più possibile compiuto ad un pensiero in 140 caratteri, Renzi comunicava efficacemente con italiani stanchi delle liturgie di una politica che poco ha fatto per rispondere alle esigenze delle persone e delle imprese.

Ho atteso che dalle parole si passasse ai fatti. E qui ho avuto i primi dubbi sulle prospettive del suo Governo. L’idea di una riforma al mese, dall’amministrazione al fisco, dalla giustizia al lavoro, alla scuola sarebbe stata affascinante se la squadra di Governo non si fosse immediatamente dimostrata inadeguata rispetto alla mole delle cose da fare per avviare concretamente le riforme enunciate.

Giovani di belle speranze e belle ragazze collocate in posti di responsabilità in passato affidate a politici o tecnici esperti che non erano riusciti a fare un passo in avanti.

Giovanotti e ragazze senza alcuna esperienza politica, senza cultura amministrativa, senza preparazione giuridica, come attesta l’Espresso in edicola che bolla impietosamente con un “bocciato in legge” il governo e le sue riforme. A partire da quella costituzionale, avviata baldanzosamente e impantanata in una revisione del Senato che non si capisce bene che ruolo avrà, al di là di apparire una sorta di dopolavoro dei consiglieri regionali in trasferta a Roma. 100 senatori mentre rimangono 630 deputati. Dimezzarli sarebbe stato il minimo da fare.

E, poi, le riforme della Pubblica Amministrazione, della Giustizia, delle procedure di spesa per le opere pubbliche, tutte decise con decreti legge convertiti sulla base di un voto di fiducia che ha mortificato il Parlamento, che, soprattutto, non ha consentito miglioramenti del testo, anche sulla base delle riflessioni che andavano maturando tra chi ha esperienza di queste cose.

Tutto con un cronoprogramma, come si direbbe con linguaggio dei contratti di appalto, inadeguato ai tempi tecnici e ad un minimo di approfondimento delle tematiche affrontate e definite evidentemente da ghost writers del “cerchio magico”, giovani professionisti del privato poco esperti di amministrazione e giustizia o di procedure di appalto se, per semplificare, è stato prodotto un decreto che riempie ben 189 pagine fitte fitte della Gazzetta Ufficiale.

E, ancora, errori politici, come quello di farsi troppi nemici, a destra e a sinistra. Tra i dipendenti pubblici, i magistrati, i pensionati, e via enumerando. Un errore che il giovane Renzi rischia di pagare caro. Anche il domatore dei circhi entra nella gabbia delle tigri avendone una che in ogni caso è disposta a difenderlo.

Così, se il ridimensionamento dello strapotere dei sindacati, che poco ha portato di buono al Paese negli anni passati ingessandolo pesantemente, è stato generalmente apprezzato, non è stata una mossa intelligente manifestare un aperto disprezzo per le loro istanze. Come aveva fatto con i magistrati e gli altri che a lui si sono opposti, a volte con ragionevolezza.

“Macchè uomo solo al comando” ha replicato Renzi quando si è detto che si fosse circondato da mezze figure per poter decidere in solitudine.

E adesso si trova a combattere su più fronti, circondato da critiche anche in casa, da persone che è sbagliato dire che sono venti anni indietro, come ha affermato Debora Serracchiani riferendosi alla evocazione dell’Ulivo da parte di Rosi Bindi.

Quelle istanze hanno séguito, anche se minoritario, che potrebbe ampliarsi a seguito del malessere evidente nelle elezioni regionali in Emilia Romagna, una regione dove si votava senza se e senza ma. Come in Toscana, dove nel Mugello rosso è stato votato, perché imposto dal partito, Antonio Di Pietro, un uomo che è a destra di tutti.

Insomma, Renzi si sta facendo male da solo ed ha disperso un patrimonio di credibilità che si era conquistato con slogan e slide. E con la giovane età, peraltro troppo enfatizzata. La storia conosce di primi ministri giovani, in Italia Benito Mussolini è salito al potere a 45 anni, nel Regno Unito William Pitt, aveva da poco superato i 20.

Scendendo dal Colle, da dove il Capo dello Stato più volte lo ha ammonito a fare presto “e bene”, Matteo Renzi avrà riflettuto sugli errori fatti. Forse, c’è da aggiungere, perché il giovane fiorentino è un po’ presuntuoso. E questo nella vita, e in politica, non porta lontano.