ROMA – Quello dei ciclisti che imperversano nelle città, contromano nelle strade e fra i pedoni sui marciapiedi, può apparire come un problema marginale nel mare di guai in cui gli italiani hanno l’impressione di affondare, ma è un problema di civiltà, di comportamenti asociali e in fondo di qualità della vita della maggioranza di noi: da qui la necessità di imporre regole e disciplina al comportamento dei ciclisti.
Una sciagurata spinta verso comportamenti illegali è stata data, la scorsa primavera, dalla dichiarazione del Ministero dei Trasporti : “I ciclisti potranno andare contromano: c’è il via libera del Ministero“. A certe condizioni, è vero, ma il grido di trionfo di Antonio Dalla Venezia, presidente della Federazione Italiana Amici della Bicicletta, nel comportamento dei ciclisti si è subito trasformato nella più diffusa violazione delle leggi del traffico.
Tra i nostri lettori c’è stato un dibattito dai toni anche aspri. Citiamo il signor Ercole Folegati perché lui è ciclista e la sua testimonianza viene da una delle zone più ciclistiche d’Italia, Ferrara, in Emilia: “Questi tecnici del cavolo . Hanno trovato il modo per far aumentare gli incidenti e i morti per stada.. Io abito a Ferrara e in bici ci giro da anni, con la maleducazione che c’è in giro, se si da anche questa opportunità (SI SALVI CHI PUò). Gia ora non si riesce a circolare, nelle piste ciclabili, perché vengono contromano(figurarsi per strada). Anche nelle zone a 30km/h (che a Ferrara non esistono, perché i taxi e gli autobus, nella ZTL superano e qualche volta di molto i 50km/h). Figurarsi se il ciclista si salva in contromano (magari con un’altro al fianco, che la legge lo permette). MAMMAAIUTO !!”
Ma il danno ormai era fatto. senza contare i ciclisti morti e feriti, quasi uno al giorno, sulle strade italiane; senza contare i brividi che danno mamme e papà con i bambini sul sellino posteriore in bilico fra le auto mentre parlano al telefono; senza contare i sempre più numerosi cittadini pedoni che rischiano la silenziosa morte da bici che sfrecciano sui marciapiedi o contromano fra le colonne nelle stradine dei centri storici. Convinti di avere ragione, se protesti ti coprono di insulti e minacce.
Ha voglia a dire il signor Beppe Merlin, direttore presso la Fiab, che ha partecipato al dibattito dei nostri lettori: “Va innanzitutto precisato che si tratta di controsenso, non contromano. I termini non si equivalgono assolutamente. Chi va in contromano è quello che va a sinistra, anziché a destra”. Distinguo degno di un trattato di teologia. E prosegue: “Qui si tratta di autorizzare i ciclisti, prendendo le opportune precauzioni, a percorrere in doppio senso strade che sono a senso unico per gli automobilisti.
La pratica è usuale in molti paesi europei da me visitati, in bicicletta, e risponde ad un’esigenza semplice e chiara: chi va a piedi o in bicicletta deve essere agevolato per il fatto che meno auto circolano in città e meglio andiamo tutti”.
Ecco che affiora la mentalità anti industriale che pervade l’Italia. Lo vada a dire ai cinesi, che ai tempi di Mao andavano tutti in bicicletta, e ora si fanno felici le loro code in auto. Ma soprattutto si faccia un giro per il centro Roma, non in auto,ma a piedi, e veda come i suoi nervi se la caveranno dopo mezz’ora di percorso di guerra.
Tutto questo se vediamo il problema dal punto di vista dei pedoni, ma nel conto andrebbero messi anche i poveri automobilisti, che oggi sono minacciati non solo dalle bombe umane dei motorini ma anche dai kamikaze della bici. Ma non parliamone: c’è in giro da decenni in Italia uno spirito anti auto che fa tanto di sinistra, tanto verde ecologista specie quando i divieti riguardano gli altri.
Nessuno ci può né ci vuole fare niente: siamo in campagna elettorale, anche i voti dei ciclisti possono fare: così il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si fa fotografare in bilico sul sellino di una bici, sperando di arrestare il bilico politico in cui lo hanno messo scandali e performance assai deludente e aderisce con entusiasmo a un raduno di ciclisti in nome del quale ha bloccato il traffico della capitale come ai tempi della neve (annuncio trionfale: “Roma: il 14 ottobre torna la eco domenica”.
C’è poi da dire che chi va in bici nel centro di solito è gente con soldi, che si sposta per brevi tratti, avvocatesse quarantenni, giovanotti rampanti, tutti della zona. I poveri stanno in periferia e la bici sarebbe un lusso massacrante (salvo intasare le strade provinciali la domenica rischiando l’infarto a ogni salita).
I vigili sono impotenti, perché è impossibile fermare una bicicletta a tutta velocità a mani nude: se il ciclista cade e si fa male, il povero poliziotto locale è finito, se non va in galera certo lo aspettano processi e cause, la rovina.
C’è un passo importante che si potrebbe fare, tuttavia, per limitare i danni. Tradotto in uno slogan, si tratta di dotare anche le biciclette di una targa che ne permetta l’identificazione, così come è avvenuto, dopo anni di diffusa illegalità dei comportamenti, per i motorini. Le case produttrici sono contrarie, perché temono che qualsiasi vincolo freni le vendite. Avvenne lo stesso per il casco per moto e motorini: per anni la lobby delle aziende produttrici insabbiò una norma che in Inghilterra era in vigore dagli anni ’70.
Chiedere regole per i ciclisti può apparire come un capriccio fuori del tempo, in una Italia dove le sprangate sono il corollario di una disputa stradale e dove su cento euro che uno produce, lo Stato, nelle sue varie manifestazioni fiscali e assicurative, gliene lascia poco più di 40.
Ma sarebbe una svolta di civiltà: la targa porterebbe con sé l’assicurazione obbligatoria e, togliendo all’andare in bici in città quell’aria di sfida da ’68 perenne ai ciclisti di mezza età, darebbe maggiori garanzie alla stragrande maggioranza dei cittadini che in bici non va. Oggi un ciclista ti fa cadere (e spesso per le persone anziane è prodromo spesso di morte), sfreccia via e nessuno potrà nemmeno ringraziarlo. O ringraziarla.
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