Il braccino corto dei calciatori: vogliono tenersi sessanta milioni

di Sergio Carli
Pubblicato il 17 Agosto 2011 - 16:41| Aggiornato il 18 Agosto 2011 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il “braccino corto” dei calciatori italiani impugna e sventola i “contratti al netto”. Cioè quei contratti loro concessi dalle società di calcio dove c’è scritto che del “lordo” loro non devono preoccuparsi e nemmeno devono fare la fatica di calcolare quanto pagano di tasse, ne andrebbe della concentrazione in campo. Procuratori, calciatori e presidenti scrivono sul contratto: tot milioni di euro l’anno. E “netti” s’intende. I giocatori sono abituati così, è una sorta di loro diritto acquisito, mai hanno trattato e firmato “al lordo”, quella è roba da ragionieri e impiegati. Le società di calcio ci stanno, i tifosi e la stampa pure: quando si comunicano e si leggono gli importi degli ingaggi sono sempre al netto, in origine forse per far meno impressione al popolo festante e pagante o più semplicemente per semplicità, per non “affaticare” la mente e la trattativa. Succede però un giorno che il governo decida che chi guadagna più di 90mila e più di 150mila euro euro l’anno (alcuni di loro li guadagnano a settimana) debba versare al fisco un di più: il 5 per cento del percepito tra 90 e appunto 150mila euro annui e il 10 per cento di quanto percepito sopra i 150mila. Come accade e accadrà al mezzo milione circa di italiani che dichiarano al fisco sopra i 90 e sopra i 150mila euro, in gran parte lavoratori dipendenti e pensionati, pochissimi lavoratori autonomi. Ora i calciatori pensionati non sono, lavoratori autonomi nemmeno ma lavoratori dipendenti sì, infatti minacciano sciopero perché non è stato rinnovato ancora il contratto collettivo di lavoro, più o meno come i ferrotranvieri, gli insegnanti, i bancari, i tessili…più o meno.

Ma il sindacato calciatori, quello che ha raccolto in calce le firme di tutti i “capitani” della Serie A per siglare manifesto in cui si annuncia: no contratto-no campionato, obietta: lavoratori dipendenti sì, ma con contratto “a netto”. Quindi quel di più che vuole il fisco è “lordo” che non li riguarda, paghino altri, cioè le società di calcio. Il “braccino corto” dei calciatori non si agita e si contrae per un pugno di euro e neanche per una questione di principio. Sono soldi e bei soldi quelli che il braccino corto stringe e non vuole mollare. Quanti soldi? Nel tabellone del Sole 24 ore in cui si legge quanto paga chi subisce il 5 e il 10 per cento in più, insomma l’aliquota massima che passa dal 43 al 48 e 53 per cento dell’Irpef, la colonna si ferma ad un reddito di un milione di euro. Chi dichiara guadagni per un milione di euro dovrà pagare nel 2011/2013 264.000 euro do sovrattassa. Che però diventano 145.992 effettivi perché il “pagato” può l’anno dopo aver pagato essere sottratto dall’imponibile e quindi rientrano 118.008 degli originali 264.000. Non solo: sopra i 545mila euro lordi (un sopra sopra cui stanno quasi tutti i calciatori) conviene farsi applicare l’aliquota fissa del 48 per cento. E così la tassa effettiva per chi dichiara un milione di euro diventa di 138.750 euro da pagare. Roba da far venire il mal di testa al calciatore abituato a giocare sul netto. Con sdegno hanno sentenziato: “Roba da commercialisti”. Quindi, a scanso di ripercussioni su allenamenti e preparazione hanno pensato che la miglior cosa fosse tagliare la testa al toro: questa “roba da commercialisti” non li riguarda, non li può riguardare. Anche perché sono soldoni e non bruscolini: Totti, Ibrahimovic, Del Piero, Buffon? Moltiplicate per 138.750 i milioni di euro lordi del loro ingaggio e avrete il netto che ciascuno di loro dovrà pagare. Chi ha due milioni lordi di stipendio, circa 277mila euro. Chi ha tre milioni, circa 400mila. Chi quattro milioni, circa 550mila euro. A dieci milioni di ingaggio fa 1.380.750 euro. Insomma una barca di soldi: trecento calciatori in attività nella serie A, stipendio medio annuo un milione e mezzo lordo, 200mila euro a testa di tassa, fanno sessanta milioni di euro. La nobile battaglia di principio sul contratto al netto tanto vale.

Il ministro Calderoli che fa teatro e non perde una battuta di scena ha detto: “Gli raddoppio l’aliquota“. Non lo può fare e lo sa che non si può aumentare l’aliquota ad una sola categoria, ma gli interessa far scena. Fosse ministro di un governo non da operetta esigerebbe, darebbe ordini alla Agenzia delle Entrate di riscuotere tutte e subito le tasse dei calciatori che le società pagano un po’ per volta quando possono e se ne ricordano. Perchè le società hanno debiti con il fisco e riscuotere quei debiti significherebbe automaticamente abbassare gli stipendi, gli ingaggi e i contratti dei calciatori. Di fronte a questa mossa il braccino corto aprirebbe la mano: pagherebbero subito e in silenzio.